LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22501/2018 proposto da:
K.A., elettivamente domiciliato in Roma al Largo Somalia n. 53, presso lo studio dell’avvocato Pinto Guglielmo che lo rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Tarchini Maria Cristina, giusta procura rilasciata con separato atto allegato al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro-tempore;
– resistente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositata il 20/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2019 dal cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso al Tribunale di Brescia, K.A., cittadino del Bangladesh, chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, denegata al medesimo dalla competente Commissione territoriale. Con decreto n. 2386/2018, depositato il 20 giugno 2018, l’adito Tribunale rigettava il ricorso.
2. Il giudice adito escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento allo straniero dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, reputando, ai fini della concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) non attendibili le dichiarazioni del richiedente circa le ragioni che l’avevano indotto ad abbandonare il suo Paese, nonchè insussistente, nel Paese di origine, uno stato di pericolo diffuso, e rilevando che non erano state allegate specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.
3. Per la cassazione di tale provvedimento ha, quindi, proposto ricorso K.A. nei confronti del Ministero dell’interno, affidato a tre motivi. l’intimato non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente propone, sotto diversi profili, la questione di costituzionalità del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito nella L. n. 46 del 2017, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione degli artt. 3,24,111, e 77 Cost.
1.2. Le denunce di incostituzionalità sono manifestamente infondate.
1.2.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, è da reputarsi, invero, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito con modifiche in L. n. 46 del 2017, per il preteso difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza ex art. 77 Cost., poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime.
1.2.2. E’ manifestamente infondata, altresì, la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, sia in quanto il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte.
1.2.3. E’, del pari, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento (cfr., su tutti i profili suindicati, Cass., 05/07/2018, n. 17717; Cass., 05/11/2018, n. 28119).
1.2.4. Neppure coglie nel segno, infine, il rilievo secondo cui la soppressione dell’appello comporterebbe la violazione del principio del doppio grado del giudizio di merito, atteso che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, è finalizzato a soddisfare esigenze di celerità, e non essendo tale principio garantito a livello costituzionale, come più volte affermato dalla Consulta (cfr, tra le tante, Corte Cost., 25/09/2007, n. 351; Corte Cost., 21/02/2007, n. 107; Corte Cost., 12/02/2003, n. 84). Al riguardo va, peraltro, tenuto conto anche del fatto che il procedimento giurisdizionale è comunque preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass., 30/10/2018, n. 27700; Cass., 05/11/2018, n. 28119).
2. Con il secondo motivo di ricorso, K.A. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.1. L’istante lamenta che il Tribunale abbia ritenuto – ai fini della concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – non attendibile la narrazione dei fatti che lo avrebbe determinata a lasciare il Paese di origine, consistiti nel timore di essere esposto a violenze da parte dei sostenitori del partito antagonista (*****) di quello (*****) del quale il richiedente era attivista e segretario locale.
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.2.1. Nel caso di specie, il giudice adito ha, invero, ampiamente ed adeguatamente motivato circa le ragioni per le quali ha ritenuto non attendibili, e comunque non idonee a fondare la domanda di protezione internazionale, le dichiarazioni del richiedente, non essendo stato il medesimo in grado sebbene si fosse dichiarato un personaggio talmente importante nel suo partito, da avere indotto gli avversari politici a cercare di farlo entrare nel loro gruppo, sì da indurre altri soggetti a seguirlo – di illustrare, neppure in minima parte, gli obiettivi del suo schieramento politico, al di là di un generico riferimento allo scopo di dare “maggiore democrazia al Paese”. La narrazione è apparsa, poi, del tutto inverosimile anche in riferimento alla pretese minacce di morte, che sarebbero state limitate a due soli episodi di “attacchi” alla sua abitazione, durati pochi minuti, non seguiti da nessuna altra iniziativa e, per di più, effettuati (*****) a distanza di un anno e mezzo l’uno dall’altro, periodo nel corso del quale l’istante non avrebbe ricevuto più alcuna molestia. A fronte di tali motivate argomentazioni, le censure in esame si traducono, in concreto, in una richiesta – peraltro del tutto generica – di rivisitazione del merito della vicenda, improponibile in questa sede (Cass., 04/04/2017, n. 8758). E neppure risulta che l’istante abbia allegato e dimostrato, nel giudizio di merito, di essersi rivolto alle autorità di polizia e di non avere ricevuto protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. c).
Va, pertanto, esclusa in radice – attesa la non credibilità dello straniero – la concessione al medesimo dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).
2.2.2. Quanto alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) decreto succitato, va osservato che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 28/09/2015, n. 19197). Pertanto, soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c) (Cass., 28/06/2018, n. 17069; Cass., 31/01/2019, n. 3016).
Nel caso concreto, il Tribunale ha accertato che i fatti allegati nel giudizio di merito non attengono a situazioni di violenze indiscriminate, derivanti da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative ad una vicenda personale del richiedente, in relazione alla quale il medesimo è stato, peraltro, ritenuto inattendibile.
3. Con il terzo motivo di ricorso, K.A. denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
3.1. Il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale non abbia inteso concedere al medesimo neppure la protezione umanitaria, sebbene sussistessero, nella specie, evidenti ragioni di vulnerabilità del richiedente.
2.2. Il mezzo è inammissibile.
2.2.1. Il giudice territoriale ha, invero, motivato il diniego di tale forma di protezione in considerazione del fatto che la narrazione delle vicende che avrebbero determinato l’abbandono del Paese di origine da parte del richiedente non evidenzia situazione alcuna di vulnerabilità personale. Del resto l’accertata non attendibilità della narrazione dei fatti operata dal medesimo e la mancato allegazione di una generale situazione socio-politica negativa, nella zona di provenienza, correttamente hanno indotto il Tribunale a denegare la misura in esame (cfr. Cass., 23/02/2018, n. 4455), operando una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U., 13/11/2019, nn. 29459, 29460, 29461). Nè il ricorrente – al di là di un riferimento del tutto generico all’inserimento nel tessuto sociale italiano ed alla riproposizione di temi di indagine già sottoposti al giudice a quo – ha dedotto di avere allegato, nel giudizio di merito, ulteriori, specifiche, situazioni di vulnerabilità.
2.2.2. La censura deve essere, di conseguenza, dichiarata inammissibile.
3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese del presente giudizio, attesa la mancata costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono – allo stato – i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020