Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.666 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28239/2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Roma V.le Angelico 38, presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto che lo rappresenta e difende per mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****,

– intimato –

avverso la sentenza n. 2738/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/11/2019 da SAMBITO Dott. MARIA GIOVANNA C..

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 23 marzo 2018, la Corte d’Appello di Roma ha confermato il rigetto delle istanze volte al riconoscimento della protezione internazionale, avanzate da M.M., cittadino del Senegal, il quale ha narrato di esser partito dopo la morte del padre, perchè uno zio si era impossessato della terra che coltivava, di essere andato in Gambia da una sua sorella, di aver, in quel Paese, aperto una bottega di alimentari, poi chiusa, per un problema insorto in casa della sorella. Lo straniero ha proposto ricorso per tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, si deduce l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente”. Il ricorrente evidenzia che la Corte non ha approfondito la situazione generale del Paese di origine, come avrebbe dovuto, e non ha considerato la sua integrazione in Italia.

2. Col secondo motivo, si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, per non avere la Corte concesso la protezione sussidiaria alla quale aveva diritto in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del Paese di origine, evidenziando che l’art. 10 Cost., attribuisce un diritto perfetto all’asilo, individuando quale unico presupposto che sia impedito allo straniero l’esercizio effettivo delle libertà democratiche.

3. Col terzo motivo, si lamenta che la Corte d’Appello ha omesso di valutare i presupposti per l’applicabilità della protezione umanitaria in riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, che vietano l’espulsione allo straniero che possa esser perseguitato nel suo Paese o sottoposto a tortura.

4. I motivi, da valutarsi congiuntamente, presentano profili d’inammissibilità e d’infondatezza.

5. Escluso, in fatto, che la Corte non si sia riportata alle dichiarazioni del ricorrente, che, al contrario, sono state testualmente trascritte, occorre premettere che il riconoscimento della forma di protezione sussidiaria presuppone che il richiedente rappresenti una condizione, che, pur derivante dalla situazione generale del paese, sia, comunque, a lui riferibile e sia caratterizzata da una personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ed il relativo accertamento costituisce un apprezzamento di fatto, demandato, in quanto tale, al giudice del merito, il quale nel compiere tale valutazione deve far ricorso ai suoi poteri istruttori ed acquisire comunque le informazioni sul paese di origine del richiedente, previste al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; la relativa conclusione potrà esser censurata in sede di legittimità nei ristretti limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5. E, nella specie, il ricorso, totalmente generico nell’esposizione in fatto, da una parte, non critica l’accertamento del giudice del merito che ha dato atto che il Tribunale aveva qualificato il ricorrente come un migrante economico, e, dall’altra, non considera che la sentenza ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in riferimento alla zona di provenienza del richiedente, laddove il riferimento alla disposizione che individua gli atti di persecuzione resta del tutto oscuro.

6. Contrariamente, poi, a quanto deduce il ricorrente, il diritto di asilo è interamente regolato attraverso la previsione delle situazioni disciplinate dai tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 19 novembre 2007, n. 251, art. 8 e di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6; con la conseguenza che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 e che l’esame della domanda di asilo va scrutinata alla stregua delle vigenti norme sulla protezione (Cass. 10686 del 2012; n. 16362 del 2016).

7. In riferimento specifico alla protezione umanitaria, va rilevato che la sentenza, dopo aver dato atto che tutte le istanze del richiedente erano state disattese non enuncia tra i due motivi scrutinati uno relativo alla protezione umanitaria, di cui non tratta. La censura, secondo cui sarebbe così ravvisabile un’omissione da parte del giudice del gravame, è tuttavia generica, non avendo il ricorrente esposto, neppure per sommi capi, il contenuto della sentenza di prime cure e dei relativi motivi d’appello e, dunque l’ambito del giudizio devoluto in appello, e tenuto conto che l’omissione presuppone un obbligo di pronuncia. Circa la dedotta condizione d’inespellibilità, va rilevato che la sentenza ha escluso che il ricorrente sarebbe esposto a pericoli gravi caso di rimpatrio in Senegal, ed a parte l’estrema genericità della doglianza, le questioni prospettate non rientrano in alcun modo nel paradigma dell’invocato principio del non refoulement, laddove il riferimento alla tortura è totalmente fuori luogo non essendo in alcun modo precisato come l’innovazione legislativa (di cui al comma 1.1, introdotto dalla L. 14 luglio 2017, n. 110, art. 3) possa interessare la persona del ricorrente, che si limita a riportare stralci del Rapporto di Amnesty International relativi alla situazione nazionale del Senegal.

Non si fa luogo a statuizioni sulle spese, in assenza di attività difensiva da parte dell’Amministrazione intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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