LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32059/2018 proposto da:
G.A., elettivamente domiciliato Roma, Piazza Cavour, presso la CANCELLERIA civile della Corte Suprema di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Daniela Gasparin del Foro di Milano, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1057/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 02/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/11/2019 da Dott. IOFRIDA GIULIA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 1057/2018, ha respinto il gravame di G.A., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, aveva respinto la richiesta dello straniero di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.
In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, una prima volta, per timore di essere ucciso dai membri del partito PMLN, avendo egli, assieme al fratello, denunciato alcuni di loro, in quanto spacciavano droga nel college che frequentavano, ed essendo stato poi il fratello effettivamente ucciso, e, dopo otto anni, essendo rientrato nel Paese dopo un lungo soggiorno nel Regno Unito, sempre per il timore di violenze da parte dei militanti del partito antagonista) presentava diverse lacune ed incongruenze e risultava poco credibile; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, il Punjab, zona di provenienza dello straniero, non era interessato da violenza indiscriminata, come emergeva dal Rapporto annuale Amnesty International 2016-2017; non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero.
Avverso la suddetta pronuncia, G.A. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, sia la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,4,5,7, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, nonchè la “violazione dei parametri normativi relativi” agli atti di persecuzione e minacce subite in relazione all’attività politica, alla morte del fratello, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, rappresentato sia dalle persecuzioni sofferte in passato, di eccezionale gravità, sia dalla situazione politica nel Paese di provenienza; 2) con il secondo motivo, sia la violazione “dei parametri normativi relativi” alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati nel D.Lgs. n. 2511 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, dei parametri normativi per la definizione di un danno grave degli artt. 6 e 13 CEDU, art. 47 della Carta dei diritti fondamentali UE e art. 46 della Direttiva Europea 2013/32, sia l’omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione sia al vaglio di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, sia alla necessaria acquisizione officiosa di informative sulla situazione di insicurezza generale e di assenza di protezione delle autorità statuali ai fini della chiesta protezione sussidiaria (avendo la Corte di merito indicato un’unica fonte, il Rapporto di Amnesty International 2016-2017); 3) con il terzo motivo, in relazione al rigetto della richiesta di protezione umanitaria, sia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6 e art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10 comma 3, artt. 4,7,14,16,17, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10,32, art. 10 Cost., sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, sia la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione degli artt. 112,132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost., comma 6.
2. Le prime due censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono inammissibili, in quanto pongono in discussione la valutazione di non credibilità operata dal giudice di merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede di legittimità, in applicazione del principio secondo cui, in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati.
La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503). Infatti, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Dott. Cass. n. 16295 del 2018; Cass. n. 7333 del 2015). Nella specie, la Corte di merito ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità del richiedente sulla base di plurimi elementi, ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti per quanto si è già detto), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, vizio che nella specie non ricorre.
Quanto dedotto dal ricorrente nei motivi, pur formalmente prospettato come vizio motivazionale e di violazione di legge, si risolve in una critica al complessivo vaglio del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie.
3. Anche il terzo motivo, inerente al rigetto della richiesta di protezione umanitaria, è inammissibile.
La Corte d’appello ha spiegato le ragioni per cui riteneva insussistente una situazione di vulnerabilità del richiedente, in relazione alla zona di provenienza nel Paese d’origine; nel ricorso, si contesta che la valutazione dei presupposti richiesti ai fini della protezione umanitaria possa essere, in astratto, autonoma rispetto alle altre misure di protezione internazionale, ma non si indicano fatti diversi da quelli già esaminati in sede di merito, proponendosi soltanto una diversa valutazione della situazione socio-politica del Pakistan. 4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020