LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30239/2018 proposto da:
S.A., domiciliato presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione in Roma, piazza Cavour, e rappresentato e difeso dall’avvocato Livio Neri in forza di procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale Milano, Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1124/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 01/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/11/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 S.A. ha impugnato dinanzi al Tribunale di Milano il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.
Il ricorrente, cittadino del *****, di etnia *****, aveva raccontato di essere nato da madre ***** e padre *****, non sposati fra loro; che le famiglie dei suoi genitori avevano pessimi rapporti fra loro per motivi religiosi; di essere rimasto con la famiglia della madre, pur avendo contatti con il padre; di essere stato cresciuto da nonna e zio materno, perchè la madre nel frattempo si era sposata ed era andata a vivere con un *****; di essersi avvicinato sempre di più alla famiglia paterna e alla religione ***** dopo la morte del padre, avvenuta nel *****; che il figlio dello zio materno lo aveva visto andare alla moschea e lo aveva minacciato; che in una occasione era stato scoperto mentre frequentava la religione ***** dallo zio materno che si era molto adirato e lo aveva picchiato, mandandolo in ospedale; che per la paura di nuove violenze e di essere ucciso era fuggito dal Gambia, andando prima in Mali e poi in Libia, e arrivando in Italia nel dicembre del 2014.
Il Tribunale di Milano con ordinanza del 24/2/2017 ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.
2. L’appello proposto da S.A. è stato rigettato dalla Corte di appello di Milano, con aggravio di spese, con sentenza del 1/3/2018.
3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso S.A., con atto notificato il 2/10/2018, svolgendo tre motivi.
L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4, 11 e 14 e D.Lgs. n. 25/2008, art. 8, comma 3, in merito alla sussistenza di un fondato timore di subire un danno grave nella sua regione di provenienza.
1.1. Il Giudice di primo grado aveva valutato le dichiarazioni del ricorrente sulla base di un preconcetto di tipo religioso sul grado di tolleranza della religione *****, evidentemente fondato sulla esperienza italiana, senza valutarle, come avrebbe dovuto, sulla base della coerenza interna e alla luce delle informazioni disponibili sul paese di origine.
La Corte di appello avrebbe dovuto “cassare” la valutazione del primo Giudice, provvedendo a una autonoma valutazione della credibilità del richiedente asilo, e invece si era limitata ad avallare la decisione di primo grado e a pretendere una prova dei fatti mentre il ricorrente aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per supportare la sua domanda di protezione.
1.2. La Corte di appello non ha affatto giudicato inattendibile il racconto del richiedente per il presunto atteggiamento tollerante degli aderenti alla religione ***** e la censura, in realtà diretta contro la decisione di primo grado, non è pertinente.
La Corte di appello, invece, ha valutato autonomamente la credibilità del racconto, rimarcando che non era assistito da alcuna prova, atteneva a una sfera meramente privata e al timore del richiedente di cagionare problemi a sua madre ed era infine generico nella deduzione di elementi circostanziali e temporali.
La Corte ha comunque aggiunto, con statuizione non specificamente censurata, che le ragioni di allontanamento dal Gambia erano strettamente connesse a fatti privatistici non meritevoli di tutela attraverso gli istituti di protezione internazionale e semmai tutelabili con il ricorso alle autorità locali.
1.3. Con la seconda parte del primo motivo il ricorrente lamenta che la Corte di appello, quanto alla situazione socio politica del Gambia, ai fini della richiesta di protezione sussidiaria fondata su situazioni di conflitto armato interno e violenza indiscriminata, abbia omesso di assumere informazioni aggiornate in proposito nell’espletamento dell’obbligo di cooperazione istruttoria previsto dalla legge.
1.4. La censura è fondata. La Corte di appello si è limitata a escludere, del tutto assertivamente, tali tipi di situazione, affermando che nel Gambia sussiste una rinnovata stabilità politica a seguito del cambiamento del Presidente e della apertura alla democrazia, all’ammodernamento del paese e alla tolleranza religiosa e politica, senza dar atto di aver assunto informazioni aggiornate in proposito e soprattutto senza dar conto, neppur genericamente, delle fonti da cui ha tratto il proprio convincimento.
1.5. Il dovere di cooperazione istruttoria trova fondamento non solo nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in tema di regole per l’esame delle domande di protezione internazionale ma anche nel D.L. 22 agosto 2014, n. 119, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis (aggiunto dall’art. 5, comma 1, lett. b-quater), convertito con modificazioni dalla L. 17 ottobre 2014, n. 146) del D.Lgs. n. 25 del 2008 (ora anche 35 bis, comma 9), secondo cui ciascuna domanda deve essere esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall'*****, dall'*****, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale.
Questa Corte ha ribadito più volte che ai fini dell’accertamento della fondatezza o meno di una domanda di protezione internazionale, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ad assolvere ad un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri – doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente.
Ciò in particolare quando lo straniero, che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto; in tal caso sorge il potere – dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez.6-1, 26/04/2019, n. 11312; Sez.6-1, 25/07/2018, n. 19716; Sez. 6-1, 28/06/2018, n. 17069; Sez.6-1, 10/04/2015, n. 7333). Inoltre la verifica delle condizioni socio-politiche del paese di origine non può fondarsi su informazioni risalenti ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità. (Sez. 1, 12/11/2018, n. 28990).
1.6. Per altro verso, nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1, 22/05/2019, n. 13897) Il riferimento, operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle c.d. fonti informative privilegiate, va interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione internazionale (Sez. 1, 17/05/2019, n. 13452; Sez. 6-1, 26/04/2019, n. 11312; Sez. 6 – 1, n. 16202 del 24/09/2012,Rv. 623728 – 01).
2. Resta assorbito il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, con cui il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, art. 10 Cost. e art. 3 CEDU in relazione ai presupposti per il rilascio di un permesso umanitario, perchè la Corte di appello aveva trascurato fattori rilevanti dedotti dal ricorrente come il reperimento documentato di un lavoro in Italia, la difficoltà di reinserimento in Gambia presso la famiglia materna, e le violenze subite in Libia.
3. La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il primo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 25 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020