Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.694 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30233-2017 proposto da:

D.C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER 43, presso lo studio dell’avvocato ROMANO GIOVANNI ed LIZZA EGIDIO, che lo rappresentano e difendono giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *****;

– intimato –

avverso il decreto n. 4674/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 18/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie del ricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La Corte d’Appello di Roma con decreto n. 4674 del 18 maggio 2017 ha rigettato l’opposizione proposta da D.C.L. avverso il decreto della stessa Corte d’Appello di Roma con il quale il Ministero della Giustizia era stato condannato a pagare la somma di Euro 2.400,00 a titolo di indennizzo per la durata irragionevole del processo civile, iniziato in primo grado dinanzi al Tribunale di Latina con atto di citazione notificato il 18 gennaio 2004, e conclusosi dinanzi alla Corte d’Appello di Roma (a seguito di impugnazione della sentenza di primo grado del 2/7/2007), con sentenza del 26/1/2016.

Il decreto emesso in sede di opposizione riteneva corretta la quantificazione dell’indennizzo nell’importo di Euro 400,00 per ogni anno di ritardo (essendosi ritenuto che tale ritardo ammontasse a sei anni), disattendendo le contestazioni mosse sul quantum dall’opponente D.C., il quale lamentava la carenza di una valutazione approfondita ed idonea con riguardo ai parametri normativi e giurisprudenziali dettati sul punto.

In tal senso la Corte d’Appello reputava generiche le contestazioni mosse dall’opponente, tenuto conto anche della limitata entità della somma liquidata nel giudizio presupposto e della non particolarità complessità dello stesso.

Per la cassazione di questo decreto l’originaria parte ricorrente ha proposto ricorso sulla base di un motivo.

Il Ministero non ha svolto difese in questa fase.

In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato memorie che contengono però deduzioni difensive evidentemente riferite ad altra vicenda processuale (si riferisce di un giudizio presupposto avente ad oggetto un credito di lavoro, interessato anche da una procedura concorsuale).

Con il motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis e art. 2056 c.c., dell’art. 6 della CEDU nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 41 della stessa CEDU.

Assume il ricorrente che il decreto ha ritenuto di quantificare l’indennizzo arrestandosi alla soglia minima di Euro 400,00 annui, ma senza tenere conto dei criteri pur enunciati dalla legge idonei ad orientare la liquidazione equitativa del pregiudizio, omettendo quindi di considerare la tipologia della controversia introdotta e la circostanza che il ricorrente fosse ivi risultato vittorioso in entrambi i gradi.

Tale soluzione ha quindi violato le previsioni della CEDU le quali mirano ad assicurare alla parte un indennizzo commisurato al reale pregiudizio patito per la durata irragionevole del processo, discostandosi in tal modo anche dall’interpretazione che delle norme è stata offerta dalla Corte EDU, la quale ha indicato dei parametri di quantificazione ben più elevati di quelli ai quali si sono attenuti il legislatore nonchè il giudice di merito.

Il motivo è infondato.

Ritiene la Corte di dover dare seguito alla propria giurisprudenza che già ha affermato che (Cass. n. 14974/2015) in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2-bis, relativo alla misura ed ai criteri di determinazione dell’indennizzo, rimette al prudente apprezzamento del giudice di merito – sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti ammessi dall’art. 360 c.p.c., n. 5 – la scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ivi indicati, da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto, orientando il “quantum” della liquidazione equitativa sulla base dei parametri di valutazione, tra quelli elencati nel comma 2 della stessa disposizione, che appaiano maggiormente significativi nel caso specifico.

Il precedente citato, sebbene relativo alla formulazione dell’art. 2-bis anteriore a quella in concreto applicata (che differisce solo in minima parte quanto alla soglia minima di liquidazione, senza che ciò possa incidere sulla valutazione anche di conformità della previsione alla Costituzione, già ravvisata da Cass. n. 14047/2016), ha condivisibilmente precisato che il legislatore ha nei fatti recepito le stesse indicazioni provenienti dalla giurisprudenza Europea al fine di contemperare la serietà dell’indennizzo con l’effettiva consistenza della pretesa fatta valere nel giudizio presupposto.

La scelta circa l’entità della somma liquidata, purchè compresa tra il minimo ed il massimo legislativo, è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, il quale deve decidere tenendo conto (come recita la norma) dei parametri di valutazione elencati nel medesimo art. 2-bis, comma 2, lett. da a) a d), che costituiscono indicatori cui il giudice può variamente attingere per orientare il quantum della liquidazione equitativa dell’indennizzo. La norma, se da un lato esclude che siano valorizzabili fattori di natura diversa, dall’altro non detta dei tassativi temi di accertamento, tutti e ciascuno oggetto di specifica indagine e di singola valutazione in punto di fatto. Il giudice di merito, pertanto, nel determinare l’ammontare dell’equa riparazione non è tenuto ad esaminare ognuno dei suddetti parametri, ma deve tenere conto di quelli tra questi che ritiene maggiormente significativi nel caso specifico.

Lo scrutinio e la valutazione degli elementi della fattispecie che consentono di formulare il giudizio di sintesi sul patema derivante dalla durata irragionevole del processo, costituisce un caratteristico apprezzamento di puro fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti ammessi dall’art. 360 c.p.c., n. 5. Correlativamente, non è censurabile che il giudice di merito non abbia considerato tutti gli elementi del fatto ovvero li abbia valutati in maniera difforme dalle aspettative della parte. Infatti, l’art. 360 c.p.c., n. 5, riformulato dal D.L. n. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciatile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, invece, non integra di per sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14). Ne deriva che allorquando il ricorrente lamenti che la sentenza impugnata abbia omesso di “considerare” elementi di prova o deduzioni logiche favorevoli alla propria tesi difensiva, si verte nell’ambito non del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 nuovo testo, ma di un’inammissibile censura di puro merito.

Nello specifico, la Corte territoriale non ha omesso l’esame del fatto, ossia della connotazione del paterna d’animo secondo le indicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, comma 2, ma ha valutato con un tipico apprezzamento di merito la natura degli interessi coinvolti, ponendo in rilievo che l’oggetto del giudizio presupposto atteneva al riconoscimento di una somma di denaro, sebbene a titolo risarcitorio, di limitata entità e che il giudizio non si presentava di particolare complessità.

Pertanto, avendo il giudice di merito dato corretta applicazione alle norme di cui si denuncia la violazione, anche in assenza di una specifica censura in punto di motivazione, il ricorso va respinto.

Nulla a disporre quanto alle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

Ancorchè il ricorso sia stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, e sia rigettato, non sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto, al testo unico di cui D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, trattandosi di procedimento esente dal versamento del detto contributo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 settembre 2019 Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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