Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.709 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3900/2018 proposto da:

COLEMAN S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO N. 18, presso lo studio degli avvocati NUNZIO RIZZO e AMALIA RIZZO, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente principale –

D.V.C., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE FERRARA;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 8241/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 29/11/2017 R.G.N. 1786/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/09/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA CIRIELLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 8241/2017 depositata il 29.11.2017, in conferma della pronuncia di primo grado, ha rigettato i reclami proposti da Coleman s.p.a e D.V.C., contro la sentenza del Tribunale di Nola, n. 1193/2017 che, all’esito del giudizio L. n. 92 del 2012, ex art. 1, commi 51-57, aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento e disposto la reintegra del lavoratore.

1.1. – La Corte di merito, investita del reclamo da entrambe le parti, ha condiviso il giudizio svolto dal giudice di primo grado circa la decadenza della Coleman dalle istanze istruttorie, non tempestivamente articolate nella fase di opposizione, sul rilievo che il giudizio di opposizione ex lege cd. Fornero costituisce una fase a cognizione piena del giudizio sommario, soggetta al meccanismo delle decadenze e delle preclusioni dell’art. 416 c.p.c., ed ha escluso la inammissibilità dell’opposizione dedotta in appello poichè la stessa sarebbe stata notificata al difensore della società, ex art. 170 c.p.c. e non alla parte personalmente, in quanto conferita sin dall’inizio della fase sommaria anche con riferimento al prosieguo del giudizio.

1.2. Nel merito la corte territoriale ha ritenuto il reclamo principale proposto dalla società infondato, poichè così come ritenuto in primo grado, ricorreva l’ipotesi dell’insussistenza del fatto di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4; ha quindi ritenuto infondato anche il reclamo incidentale proposto dal lavoratore, poichè il licenziamento non sarebbe discriminatorio, non risultando allegati gli elementi della discriminazione, nè essendo emersa dagli atti prova dell’intento ritorsivo rispetto alla attività e alla qualifica sindacale del lavoratore.

2. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione la COLEMAN s.p.a., affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso D.V. che ha proposto a sua volta ricorso incidentale, con un unico motivo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Col primo motivo di ricorso, COLEMAN s.p.a. ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per violazione e falsa applicazione della L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 53, artt. 244 c.p.c. e segg., artt. 414 e 416 c.p.c., artt. 2721 c.c. e segg., L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 5.

Avrebbe errato la Corte di Appello di Napoli nel condividere il giudizio del primo giudice circa la tardività della costituzione in giudizio della società, poichè se tale tardività derivava dalla natura autonoma della fase di opposizione, doveva essere considerata allora inammissibile la opposizione proposta dal lavoratore, come dedotto in appello dalla società, poichè notificata al procuratore della società costituito nella fase sommaria e non alla persona giuridica.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso, la società ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3, in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, nel ritenere insussistente il fatto contestato, poichè la denuncia inoltrata dal ricorrente costituirebbe espressione di un diritto di critica, come tale legittimo, frutto della convinzione in buona fede, del lavoratore circa la verità dei fatti denunciati.

Avrebbe errato la corte nel rigettare, in relazione alla ritenuta decadenza di cui al primo motivo, le istanze istruttore formulate dalla ricorrente, comprimendone il diritto di difesa, ed avrebbe erroneamente proceduto ad una valutazione frazionata degli addebiti che, invece, esaminati in maniera globale dimostravano la consapevolezza del lavoratore di denunciare fatti non veritieri, di offendere la società e i suoi dirigenti e di contestare le decisioni aziendali, tutti elementi da cui doveva desumersi la grave insubordinazione.

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, D.V.C., ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 3,L. n. 604 del 1966, art. 4,L. n. 300 del 1970, art. 15, nonchè del D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 4, punto 4, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 20, in relazione agli art. 2727 e 2729 c.c. e in relazione all’art. 2697 c.c., in cui sarebbe incorsa la corte di merito escludendo il carattere di discriminazione antisindacale del licenziamento intimato al D.V., poichè questi non avrebbe allegato alcun elemento di comparazione o altre circostanze significative da cui presumere la discriminatorietà del licenziamento adottato nei suoi confronti.

Avrebbe errato la corte nel valutare le allegazioni offerte dal D.V., dalle quali avrebbe potuto agevolmente desumere, facendo uso delle presunzioni valorizzate dalla normativa antidiscriminatoria, la natura discriminatoria e ritorsiva del licenziamento, atteso che aveva già accertato l’insussistenza del fatto e la assenza di intento calunnioso e considerata la natura di rappresentante sindacale del controricorrente, che aveva agito nell’esercizio delle proprie funzioni di RSA per tutelare i propri colleghi.

La corte, sottraendosi all’esercizio dei propri poteri di valutazione della prova, e di formazione del proprio convincimento attraverso le presunzioni, si sarebbe limitata a recepire acriticamente la decisione di primo grado.

4.- Il ricorso principale è infondato.

4.1. Correttamente la corte di appello ha confermato la decisione del giudice di primo grado, con la quale questi aveva considerato decaduto dalla prova l’opponente poichè costituitosi tardivamente.

Ed infatti, dalla mera lettura della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 53, emerge come, nella fase di opposizione ad ordinanza resa nella fase sommaria “L’opposto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria di memoria difensiva a norma e con le decadenze di cui all’art. 416 c.p.c.”, tra cui, come è noto, rientrano le preclusioni cd. istruttorie.

Questa corte, del resto, con giurisprudenza richiamata dallo stesso ricorrente ha da tempo evidenziato come la fase di opposizione nel rito cd. Fornero introduca un giudizio a cognizione piena, prosecuzione di quello sommario (Cass. 25046/2015) cosicchè la delimitazione del thema decidendum (e probandum) è rimessa alla fase di opposizione.

Pertanto non sussiste la violazione di legge denunciata, e correttamente fu instaurata la fase di opposizione con notifica al difensore ai sensi dell’art. 170 c.p.c., come ritenuto dalla corte di appello che ha pure evidenziato la novità della deduzione, non formulata in primo grado.

4.2. Inammissibile appare, ancora, il secondo motivo di ricorso principale sotto vari profili. Dalla semplice lettura del motivo emerge come la ricorrente chieda, in realtà, un nuovo esame dei fatti contestati, formulando una critica che esprime il mero disaccordo rispetto alla motivata valutazione fornita dalla Corte di appello (cfr. pag. 12-13).

Dunque, nonostante l’invocazione solo formale di violazioni o false applicazioni di norme, nella sostanza le censure investono l’accertamento in fatto compiuto dai giudici del merito in ordine alla ritenuta insussistenza del fatto; tale accertamento non è suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità perchè prospettato attraverso un rinnovato apprezzamento del merito ben oltre i limiti imposti dall’art. 360, comma 1, n. 5, novellato, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, per di più in una ipotesi in cui detto vizio non è deducibile rispetto ad un appello proposto dopo la data indicata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012, con un ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di prime cure con un fatto ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (v. Cass. n. 23021 del 2014), ai sensi dell’art. 348 ter, u.c..

5.- Anche il ricorso incidentale è inammissibile, per analoghe ragioni.

Ed infatti con tale doglianza il controricorrente, formulando promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di disposizioni di legge o di codice, sostanziale e processuale, lamenta contemporaneamente errores in iudicando ed in procedendo, senza adeguatamente specificare quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono invece essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dell’art. 360 c.p.c., comma 1, in tal modo non consentendo una sufficiente identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da… irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016).

Dalla semplice lettura del motivo emerge come il controricorrente chieda, in realtà, un nuovo esame dei fatti, formulando critiche che esprimono il mero disaccordo rispetto alla motivata valutazione fornita dalla Corte di appello (cfr. pag. 6 e ss.); le plurime censure di violazione e falsa applicazione di legge trascurano di considerare che il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).

In realtà il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte (in caso positivo vertendosi in controversia sulla “lettura” della norma stessa), non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007). Sicchè il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti.

Nella specie, nonostante l’invocazione solo formale di violazioni o false applicazioni di norme, nella sostanza le censure investono l’accertamento in fatto compiuto dai giudici del merito in ordine alla mancata allegazione di elementi da cui desumere la discriminatorietà del licenziamento (cfr. quartultima pagina della sentenza impugnata); come già osservato sub 4.2. si tratta di un giudizio non consentito in questa sede di legittimità, poichè implica la deduzione di un vizio di motivazione, deducibile solo nel rispetto dei limiti imposti dall’art. 360, comma 1, n. 5, novellato (così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) ma nel caso di specie non concretamente invocabile vertendosi in caso di doppia conforme (art. 348 ter c.p.c., u.c.).

11. Per tutte le considerarsi finora svolte, il ricorso principale e quello incidentale devono essere rigettati e compensate le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi.

Compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto per il ricorso principale e incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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