Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.728 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi nn. 9436, 9437, 9438, 9439, 9440 del 2015 proposti da:

COMUNE DI MELENDUGNO, in persona del Sindaco in carica, elettivamente domiciliato in Roma, Corso del Rinascimento, 11 presso lo studio dell’avvocato Amina L’Abbate e rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Porcari per procura speciale a margine del ricorso e Delib. Giunta Comunale 19 marzo 2015, n. 51;

– ricorrente –

Contro

A.S.P.I.C.A., – ASSUNZIONI SERVIZI PUBBLICI IMPIANTI COSTRUZIONI APPALTI, SOC. A R.L. IN LIQUIDAZIONE VOLONTARIA E IN CONCORDATO PREVENTIVO, IN PERSONA DEL LIQUIDATORE VOLONTARIO LEGALE RAPPRESENTANTE P.T.; LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE DI A.S.P.I.C.A. –

ASSUNZIONI SERVIZI PUBBLICI IMPIANTI COSTRUZIONI APPALTI, SOC. A R.L. IN LIQUIDAZIONE E IN CONCORDATO PREVENTIVO CON CESSIONE DEI BENI AI CREDITORI, IN PERSONA DEL LIQUIDATORE GIUDIZIALE P.T., elettivamente domiciliate in Roma, via Vaglia, 11 presso la dottoressa Gioia Quattrocchi e rappresentate e difese dall’avvocato Giacomo Massimo Ciullo per procura speciale alle liti a margine dei controricorsi;

– controricorrenti –

AMBIENTE E SVILUPPO SOCIETA’ CONSORTILE A R.L., in persona del legale rappresentante p.t.;

– intimata –

avverso le sentenze nn. 686, 687, 688, 689, 690 del 2014 della Corte di appello di Lecce, pubblicate il 07/10/2014;

udite le relazioni delle cause svolte dal Cons. Dott. Laura Scalia nella camera di consiglio del 15/10/2019.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Lecce con sentenze depositate rispettivamente in data 25.03.2013, 24.01.2013, 11.01.2013, 31.10.2012 e 25.02.2013, pronunciando sulle opposizioni, nei distinti giudizi riunite, proposte dal Comune di Melendugno e da A.S.P.I.C.A. S.r.l. avverso diversi decreti ingiuntivi con cui intimato agli opponenti, in solido, il pagamento, rispettivamente, delle somma di Euro 46.331,19, di Euro 38.388,02, di Euro 46.824,69, di Euro 79.135,51 e di Euro 401.192,72 in favore di Ambiente e Sviluppo – società consortile a r.l. che gestiva in concessione una piattaforma per il trattamento dei rifiuti solidi urbani sita nel territorio del Comune di ***** – a titolo di corrispettivi maturati dall’ingiungente all’esito del conferimento dei rifiuti operato dal Comune tramite la concessionaria A.S.P.I.C.A. S.r.l., in seguito alla transazione conclusa tra le parti in lite il 18.04.2012, dichiarava la cessazione della materia del contendere tra il Comune e Ambiente e Sviluppo s.c. a r.l., dichiarava estinta, ai sensi dell’art. 1304 c.c., l’obbligazione di A.S.P.I.C.A. e revocava i decreti opposti.

Il Tribunale nelle distinte sentenze riteneva inammissibili le domanda formulate con la citazione in opposizione dal Comune di Melendugno e dirette ad ottenere la condanna di A.S.P.I.C.A. “a manlevare, garantire e tenere indenne il Comune di Melendugno dalle pretese della ditta opposta”.

Nelle motivazioni rese, il Tribunale riteneva che rivestendo l’opponente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la posizione di convenuto in senso sostanziale, per ciò stesso egli avrebbe dovuto richiedere l’autorizzazione al giudice per chiamare in giudizio un terzo, richiesta che era mancata nelle scrutinate fattispecie.

I termini della questione non sarebbero poi mutati in ragione della circostanza che detto terzo, A.S.P.I.C.A., fosse uno dei destinatari del provvedimento monitorio, avendo il Comune, citando nell’atto di opposizione detta società, proposto nei suoi confronti una distinta domanda, nuova rispetto all’oggetto del ricorso monitorio.

Il Tribunale apprezzava altresì come tardiva la domanda di surroga avanzata dal Comune all’udienza di conclusioni all’esito dell’atto di transazione concluso tra le parti.

2. La Corte di appello di Lecce pronunciando sulle impugnazioni proposte dal Comune di Melendugno, con le sentenze in epigrafe indicate rigettava gli appelli, confermando le decisioni di primo grado, in applicazione dell’indirizzo della giurisprudenza di legittimità per il quale l’opponente-debitore deve essere autorizzato dal giudice a chiamare in causa un terzo, potendo egli con l’atto di opposizione citare unicamente il soggetto che nei suoi confronti ha ottenuto decreto ingiuntivo. Le parti del giudizio di opposizione non avrebbero potuto essere altre che il soggetto ingiungente e quello ingiunto.

Nè la situazione avrebbe conosciuto modifiche in ragione della circostanza che il terzo, quale condebitore in solido, fosse già destinatario del decreto ingiuntivo.

Che il condebitore non fosse parte necessaria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sarebbe stato sostenuto dall’evidenza che il titolo monitorio acquista autorità di giudicato sostanziale nei confronti dell’intimato non opponente con una efficacia che resta non incisa dall’eventuale accoglimento dell’opposizione proposta.

L’autorizzazione del giudice con fissazione di nuova udienza per consentire la citazione del terzo, da valere fuorchè nell’ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., non avrebbe integrato un inutile formalismo e tanto in ragione della valutazione discrezionale da svolgersi dal giudice, chiamato a motivare la propria scelta su esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo.

3. Ricorre per la cassazione delle indicate sentenze il Comune di Melendugno, per i distinti ricorsi indicati in epigrafe, ciascuno con quattro motivi, cui resistono con controricorso A.S.P.I.C.A. Assunzioni Servizi Pubblici Impianti Costruzioni Appalti, Soc. a r.l. in liquidazione volontaria e in Concordato Preventivo, in persona del liquidatore volontario legale rappresentante p.t., e liquidazione giudiziale di A.S.P.I.C.A. – Assunzioni Servizi Pubblici Impianti Costruzioni Appalti, Soc. a r.l., in liquidazione e in Concordato Preventivo con cessione dei beni ai creditori, in persona del liquidatore giudiziale p.t.

Le parti costituite nei distinti giudizi hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare va disposta la riunione dei ricorsi avverso le distinte sentenze indicate in epigrafe, in applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c. che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza.

Pur trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti deve ritenersi che la riunione dei ricorsi, connessi tra loro, anche se non espressamente prevista dalla norma del codice di rito, risponda alla medesima ratio sottesa all’indicata disciplina.

La riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria ai sensi dell’art. 335 c.p.c. ove le prime investano lo stesso provvedimento, può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove le impugnazioni siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero siano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (Cass. SU 23/01/2013 n. 1521; Cass. 30/10/2018 n. 27550).

L’istituto della riunione delle impugnazioni in sede di legittimità ben può trovare pertanto applicazione in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi che presentino identità di soggetti e causa petendi, quali quelli relativi ai corrispettivi maturati nel tempo all’interno di un medesimo rapporto dispiegatosi tra le stesse parti, rispondendo la riunione all’esigenza, altresì, di non gravare le parti dell’aumento degli oneri processuali per lievitazione dei costi a carico della parte soccombente (su quest’ultimo profilo, vd. Cass. 30/04/2014 n. 9488).

2. In ricorso il Comune di Melendugno articola una premessa e quattro motivi.

3. Nella premessa il ricorrente deduce il nesso di interdipendenza esistente tra le posizioni del Comune di Melendugno e della concessionaria ASPICA derivato dalla legge istituiva della T.I.A. (tariffa di igiene ambientale), nei Comuni, come quello di Melendugno, in cui l’imposizione era stata introdotta, e reiterato dal meccanismo di pagamento degli oneri di smaltimento rifiuti.

La concessionaria, in conformità agli obblighi previsti nel Decreto Ronchi (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, commi 9 e 13) e ribaditi nel Capitolato Speciale di Appalto e nel contratto di appalto stipulato tra le parti, era infatti tenuta ad applicare e riscuotere, attraverso Equitalia S.p.A., all’epoca So.Ba.Rit. S.p.A., la cd. tariffa Ronchi sui rifiuti comprensiva dei costi di smaltimento in discarica “senza aggravio dei costi per le amministrazioni interessate”.

Di ogni previsione contenuta nella Convenzione del gennaio 2001 stipulata tra il Comune conferente – e tale era quello di Melendugno -, e quello nel cui territorio si trovava la discarica nella specie il Comune di ***** -, avrebbe pertanto dovuto darsi una lettura compatibile con l’indicata legge o comunque destinata a spingersi fino alla non applicazione della fonte convenzionale in quanto in contrasto con la norma primaria.

Sarebbe stata errata quindi l’interpretazione della Convenzione offerta dalla Corte di merito che aveva ritenuto una responsabilità solidale in forma “semplice”, o concorrente, dell’Amministrazione comunale con la concessionaria del servizio là dove nella Convenzione era stabilito che “agli obblighi… sono tenuti, altresì, i soggetti concessionari e/o affida tari a qualunque titolo del servizio di raccolta e trasporto di r.s.u. che ne rispondono in solido con il Comune” (art. 3 lett. e) Convenzione 11.01.2002).

La concessionaria secondo il modello di gestione del servizio previsto dalla legge, o decreto Ronchi, doveva rispondere invece direttamente del pagamento degli oneri di discarica alle imprese preposte, e quindi alla creditrice Ambiente e Sviluppo, gestore della discarica nel Comune di *****, in quanto unico debitore obbligato per legge.

La necessità di conformare il vincolo solidaristico previsto nella successiva Convenzione del 2001 alla disciplina di legge avrebbe imposto di ricondurre il primo al modello della solidarietà alternativa in cui figurava un obbligato in via principale, quello previsto dalla legge, e tale era il soggetto riscossore, ed in cui il Comune avrebbe esaurito ogni propria attività nella determinazione ed imposizione della tariffa.

Ciò posto il ricorrente denuncia quanto segue.

3.1. Con il primo motivo fa valere la violazione degli artt. 102,183,269 e 645 c.p.c. e del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, commi 9 e 13 (Decreto Ronchi).

La Corte di merito aveva erroneamente ritenuto il carattere nuovo della domanda di manleva proposta dal Comune con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo che avrebbe comportato, come tale, l’introduzione nel processo di una serie di questioni ulteriori rispetto a quelle relative al rapporto tra opponente ed ingiungente ed all’oggetto del giudizio monitorio, e, quindi, aveva qualificato come inammissibile la domanda proposta dall’opponente con citazione diretta del terzo e senza autorizzazione del giudice ex art. 269 c.p.c.

I giudici di appello avrebbero ritenuto in modo erroneo la natura solidale “semplice” o “concorrente” del rapporto in essere tra il Comune e ASPICA e non quella “alternativa”, e tanto nell’interdipendenza ed inscindibilità, negata nell’impugnata sentenza, delle posizioni sostanziali del Comune e della concessionaria del servizio escludendo in tal modo l’ipotesi, ivi presente, di un litisconsorzio necessario.

La pregiudizialità sostanziale delle posizioni e la loro interdipendenza nei rapporti interni tra Comune e ASPICA, con conseguente necessità di trattare le cause in un simultaneo processo secondo lo schema del processo litisconsortile cd. successivo e unitario, avrebbe comportato la possibilità per il Comune di formulare nei confronti di ASPICA, in uno stesso processo, domanda di manleva e di regresso anticipato.

Il creditore, di contro a quanto ritenuto dai giudici di merito, avrebbe potuto agire nei confronti del Comune, in ragione delle previsioni di cui all’art. 3 lett. e) della Convenzione stipulata nel gennaio del 2002 – ove correttamente intese – non in via diretta, ma solo all’esito, e subordinatamente, all’escussione di Aspica, unico soggetto tenuto al pagamento degli oneri secondo il Decreto Ronchi, dimostrandone l’inadempimento.

Avendo l’amministrazione comunale da tempo istituito la tariffa di igiene ambientale o TIA, unico obbligato al pagamento sarebbe stata l’A.T.I. appaltatrice ovverosia A.S.P.I.C.A. in qualità di capogruppo.

L’interpretazione censurata avrebbe così comportato che il Comune pagasse due volte la quota parte della T.I.A. destinata a remunerare i servizi svolti da Ambiente e Sviluppo: una prima volta con la riscossione della T.I.A. da parte di ASPICA – che aveva trattenuto il denaro pubblico invece di corrisponderlo alla società di conferitaria dei rifiuti sì da determinare il Comune a presentare atto di denuncia-querela il 19/06/2012 – e una seconda volta con il decreto ingiuntivo esecutivo riconosciuto ad Ambiente e Sviluppo.

3.2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere delle sentenze di merito la violazione della normativa Ronchi istitutiva della T.I.A. (tariffa igiene ambientale) e la violazione della disciplina negoziale di corredo: artt. 1 e 6 del contratto di appalto del 23/05/2006; art. 21 del C.S.A.; art. 3 della Convenzione del 11/01/2002.

In forza del decreto Ronchi unico soggetto obbligato sarebbe stata ASPICA, evidenza confermata nei rapporti interni tra concessionaria e Comune dall’adottata disciplina convenzionale per la quale le parti interessate, in considerazione dei contratti pendenti, avrebbero potuto convenire modalità diverse di pagamento.

3.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 167 e 183 c.p.c. e dell’art. 1201 c.c. e art. 1203 c.c., comma 1, n. 3.

La Corte di appello avrebbe erroneamente apprezzato la transazione intervenuta in corso di causa, il 18.04.2012, tra il Comune di Melendugno e la creditrice Ambiente e Sviluppo, nella parte in cui si riconosceva al primo di surrogarsi al creditore nei diritti azionati; la transazione, a carattere novativo, non avrebbe integrato una eccezione in senso stretto, così sottraendosi alla preclusione di cui all’art. 167 c.p.c., comma 2.

La transazione avrebbe introdotto invero una questione processuale idonea a chiudere la lite con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere su di un fatto non attinente al merito della controversia e la Corte di merito avrebbe dovuto accertare, anche d’ufficio, nel carattere dichiarativo della stessa, l’intervenuta surroga, effetto prodottosi per volontà del creditore e per legge, e così il perdurante contrasto tra le parti e la sopravvivenza del loro interesse alla definizione del giudizio.

Il Comune si sarebbe avvalso della transazione per ottenere la declaratoria indicata a cui si sarebbe accompagnata l’ulteriore richiesta accessoria, ancora di carattere dichiarativo e non capace di incidere sul merito introducendo profili di novità, dell’intervenuta surroga sostanziale.

3.4. Con il quarto motivo il ricorrente reclama il riconoscimento del debito e la confessione giudiziale resa da ASPICA, da leggersi nel messaggio inoltrato via PEC al Comune dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado dal legale rappresentante di Ambiente e Sviluppo che, inserita nella definitiva proposta di Concordato Preventivo allegata alla relazione L. Fall., ex art. 172 del Commissario giudiziale, era pari alla complessiva somma di Euro 851.510,70 comprensiva della quota parte oggetto di giudizio.

4. Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono trovare congiunta trattazione perchè entrambi muovono dalla ammissibilità della chiamata del terzo in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo da parte dell’opponente.

Secondo deduzione del ricorrente non verrebbero in applicazione le preclusioni di cui all’art. 269 c.p.c. che, dettate per il convenuto, non varrebbero per l’opponente e tanto nella posizione sostanziale dal medesimo sostanzialmente assolta nel giudizio di cui all’art. 645 c.p.c.

Il rapporto in esterno tra il Comune di Melendugno, opponente, e la terza chiamata, A.S.P.I.C.A., concessionaria del servizio di raccolta dei rifiuti, dovrebbe ascriversi ad una ipotesi di solidarietà alternativa e non concorrente.

La concessionaria secondo il D.Lgs. n. 22 del 1997 sarebbe stata responsabile ex lege del pagamento – una volta istituita la I.T.A. dal Comune, in forza dei compiti di imposizione e riscossione ivi attribuiti alla prima – degli oneri di smaltimento in discarica rispetto alla società di gestione, nella specie Ambiente e Sviluppo, una volta riscossa l’imposizione.

La concessionaria avrebbe dovuto definirsi quindi quale litisconsorte necessario nel giudizio in cui il Comune era stato chiamato al pagamento degli oneri di smaltimento dalla società di gestione della discarica.

Tanto avrebbe consentito al Comune di essere manlevato dalla responsabilità azionata per un meccanismo che, fissato nella legge istitutiva, avrebbe dovuto lasciare indenni le amministrazioni comunali dai costi dell’imposta da sopportarsi invece dalla concessionaria previa verifica del suo inadempimento.

Il ricorrente sostiene l’esistenza di un litisconsorzio necessario processuale per avere prospettato in sede di opposizione a decreto ingiuntivo in primo e secondo grado una responsabilità alternativa, alla propria, di altro soggetto, la concessionaria, e tanto in ragione di una inestricabile interrelazione tra le posizioni dei coobbligati destinata ad operare anche sul piano del diritto sostanziale e tale che la responsabilità dell’uno presupponga la responsabilità dell’altro, premessa a cui si accompagna l’esigenza processuale di dare corso al simultaneus processus.

4.1. I motivi sono infondati e presentano, anche, profili di inammissibilità nei termini di seguito indicati e precisati.

Il principio su cui i proposti motivi vorrebbero fondare la bontà della pretesa del ricorrente è eccentrico rispetto alla fattispecie in esame per essersi il primo formato su ipotesi diverse.

La diversità delle fattispecie a confronto preclusiva di ogni estensione dell’affermazione in diritto per la quale il vincolo di solidarietà passiva che si sia affermato in giudizio in ragione della pluralità di domande preposte nei confronti dei pretesi responsabili secondo una prospettata dipendenza, tale da determinare l’inscindibilità della cause, si misura innanzitutto sulla natura processuale del litisconsorzio e quindi su di una inscindibilità tra cause.

L’inscindibilità, maturata in primo grado, proietta la sua valenza processuale nel giudizio impugnatorio nella necessità che il giudizio di secondo grado venga celebrato nei confronti di tutti coloro che sono state parti in quello di primo grado, secondo il meccanismo di cui all’art. 331 c.p.c.

Nella specie in scrutinio, l’esigenza di rispettare un litisconsorzio processale necessario nel rapporto tra giudizio di primo e secondo grado non vi è mai stata, per non avere i giudici di primo grado autorizzato l’estensione del contraddittorio a colei, la concessionaria del servizio ASPICA, che era stata dedotta dal Comune di Melendugno quale unica o principale responsabile del mancato pagamento della creditrice, ingiungente in monitorio, Ambiente e Sviluppo S.r.l.

4.2. D’altra parte, l’accezione sostanziale del principio invocato e per la quale “l’esistenza di un vincolo di solidarietà passiva tra più convenuti in distinti e riuniti giudizi di risarcimento dei danni genera un litisconsorzio processuale, per dipendenza della causa da quella intrapresa dall’attore, solo quando almeno uno dei primi chieda accertarsi la responsabilità esclusiva di altro tra loro, ovvero rideterminarsi, nell’ambito di un’azione di regresso anticipato, la percentuale di responsabilità ad essi ascrivibile “pro quota”, in tal modo presupponendo, sia pure in via eventuale e subordinata, la corresponsabilità affermata dall’attore” (Cass. n. 19584 del 27/08/2013; in termini: Cass. n. 1771 del 08/02/2012), non realizza la dedotta attinenza con l’ipotesi di specie.

Se è pur vero che in primo grado si è avuta riunione delle due opposizioni proposte avverso il medesimo decreto ingiuntivo dal Comune di Melendugno ed ASPICA, destinatari, entrambi, quali debitori solidali, del ricorso monitorio di Ambiente e Sviluppo, ogni ulteriore iniziativa coltivata dal Comune di Melendugno – che quale convenuto in solido ha fatto valere la responsabilità, in via alternativa e principale, dell’altra coobbligata ASPICA – come correttamente ritenuto dalla Corte di appello di Lecce con l’impugnata sentenza, deve misurarsi con la peculiare struttura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e con la correlata declinazione del meccanismo di autorizzazione di cui all’art. 269 c.p.c., comma 2.

Ricondotta invero la posizione dell’opponente a quella di convenuto sostanziale, il disposto dell’art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con l’opposizione al decreto.

L’opponente deve citare in giudizio unicamente il soggetto che ha ottenuto il provvedimento monitorio, non potendo le parti del giudizio di opposizione essere diverse da quelle originarie della fase monitoria, così che l’opponente deve necessariamente chiedere al giudice, con l’atto di opposizione, l’autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritenga comune la causa sulla base dell’esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto (Cass. 01/03/2007 n. 4800; Cass. 19/10/2015 n. 21101).

Nell’ulteriore rilievo che in tema di chiamata in causa di un terzo su istanza di parte, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario, il provvedimento del giudice di fissazione di una nuova udienza per consentire la citazione del terzo è discrezionale.

Con l’effetto che, conseguentemente, sebbene sia stata tempestivamente chiesta dal convenuto la chiamata in causa del terzo ex art. 269 c.p.c., in manleva o in regresso, il giudice può rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo (Cass. 12/05/2015 n. 9570; Cass. SU 23/02/2010 n. 4309).

La valenza squisitamente processuale della domanda di manleva o regresso non può invero integrare un litisconsorzio necessario che preesiste al processo ed attinge, direttamente, alla natura sostanziale del rapporto.

L’istituto del litisconsorzio necessario postula infatti la pluralità soggettiva e sostanziale del rapporto che, come tale, nasce e si connota al di fuori del processo ex art. 102 c.p.c. ed al quale il processo deve adeguarsi attraverso lo strumento dell’integrazione necessaria del contraddittorio, restando altrimenti la sentenza adottata a contraddittorio non integro inidonea a produrre un qualsivoglia effetto giuridico (Cass. 22/09/2004 n. 19004).

Il condebitore solidale non è infatti parte necessaria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che, richiesto ed ottenuto dal creditore contro più debitori solidali, acquista autorità di giudicato sostanziale nei confronti dell’intimato che non proponga opposizione e la relativa efficacia resta insensibile all’eventuale accoglimento dell’opposizione avanzata da altro intimato (Cass. 20/05/2003 n. 7881).

Escluso che tra debitori solidali evocati in giudizio sussista una ipotesi di litisconsorzio necessario, le eventuali domande di manleva o anche quelle dirette a sostenere la responsabilità esclusiva di uno solo, in ragione possono dar luogo alla diversa ipotesi di un litisconsorzio processuale che non essendo mai necessitato, non rispondendo ad una lettura del rapporto che sussiste prima ed indipendentemente dal giudizio, deve confrontarsi con la struttura stessa del giudizio in cui voglia al primo darsi ingresso da parte del convenuto che, evocando la responsabilità di un terzo, intenda alleggerire o esonerare la propria persona da responsabilità.

Ciò posto, il litisconsorzio processuale destinato nella sua soggettiva struttura a informare di sè il processo – ove affermatosi in primo grado per vincoli di pregiudizialità – dipendenza e connessione tra la domanda di pagamento avanzata nei confronti del debitore e quella di manleva o regresso anticipato da questi avanzata nei confronti del terzo coobbligato solidale per lo stesso, o altro, titolo – si trova a non operare ab origine nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Valgono in tal senso ragioni di economia processuale e di ragionevole durata del processo nella diversità della domanda introdotta a mezzo della chiamata del terzo rispetto all’oggetto del giudizio monitorio che è relativo al rapporto di credito tra opponente ed opposto.

Nè che l’opponente ed il terzo siano tenuti entrambi in forza dei medesimo decreto ingiuntivo a rispondere in via solidale del credito azionato in via monitoria muta i termini della questione.

La solidarietà passiva tra gli intimati non esclude infatti che nel successivo giudizio di opposizione ove l’opponente voglia chiamare in lite l’altro coobbligato – ingiunto, per far valere nei suoi confronti rivalsa o regresso, per ciò stesso egli si trovi ad azionare un rapporto che è altro da quello principale ex art. 645 c.p.c. e che, come tale, richiede accertamenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli della pretesa creditoria in origine azionata.

Il motivo con cui si deduce l’esistenza di un litisconsorzio processuale tra l’opponente ed il terzo chiamato si espone ad una valutazione di inammissibilità non provvedendo il primo ad indicare i puntuali termini e le correlate fonti in forza dei quali il rapporto tra il Comune di Melendugno e la concessionaria ASPICA, tenuta allo svolgimento del servizio rifiuti nel territorio comunale e quindi ed anche al pagamento dei servizio di consegna in discarica, vedrebbe quest’ultima quale primo condebitore tenuto al pagamento.

Non vale in tal senso il richiamo alla normativa Ronchi ex D.Lgs. n. 22 del 1997 – che, deduce il ricorrente, farebbe della concessionaria del servizio l’obbligato ex lege in una più ampia cornice in cui la prima, secondo virtuoso ed utile percorso, impone e riscuote attraverso il competente agente la tassa rifiuti dai cittadini e ne utilizza quindi gli introiti per il mantenimento del servizio – ed il suo combinarsi con le convenzioni del 2002 che avrebbero visto invece il Comune quale obbligato d’elezione.

Non è chiaro neppure, per come dedotto nel confronto tra fonti normative e negoziali, in quale modo si atteggi la responsabilità dell’uno rispetto all’altro coobbligato sicchè, secondo conclusioni del ricorrente, l’accertamento della responsabilità del Comune debba necessariamente transitare attraverso quella della concessionaria secondo uno schema che mutua quello della responsabilità per fatto altrui ex art. 2049 c.c. (Cass. 08/02/2012 n. 1771).

3. Il terzo motivo è infondato.

Non pregiudicato l’interesse del ricorrente alla proposizione dei primi due motivi di ricorso avendo ad oggetto la transazione novativa, in siffatti termini qualificata dallo stesso ricorrente, il rapporto tra debitore e creditore Ambiente e Sviluppo e lasciando come tale non assorbita la diversa domanda di garanzia proposta dal debitore nei confronti del terzo ASPICA.

La figura del cd. assorbimento ricorre, in senso proprio, quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, che, con la pronuncia sulla domanda assorbente – rispetto alla quale la questione assorbita si pone in rapporto di esclusione -, ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno.

E’, invece, configurabile l’assorbimento in senso improprio quando la decisione cd. assorbente comporta una pronuncia, sulla quale si forma il giudicato, anche sulla questione assorbita, in quanto ad essa legata da un rapporto di implicazione (Cass. 30/05/2018 n. 13534).

Quanto alla valenza processuale della transazione novativa conclusa nelle more del giudizio tra il ricorrente ed Ambiente e Sviluppo, creditrice, si osserva.

La transazione novativa maturata in corso di lite non integra un’eccezione in senso stretto, perchè introduce una questione processuale idonea a chiudere la lite per adozione della dichiarazione della cessazione della materia del contendere sulla base di un fatto che non attiene al merito della controversia, e, dunque, non soggiace alle regole ed alle preclusioni che governano, nei vari gradi di giudizio, l’allegazione delle circostanze che ad esso si riferiscono.

Ciò posto, però, l’accertamento della surrogatoria ex art. 1201 c.c. del Comune di Melendugno nei diritti vantati dalla Ambiente Italia verso ASPICA, contenuta nella transazione conclusa tra il primo e la creditrice, non può qualificarsi in termini di mera questione processuale destinata a rilevare, come già il negozio transattivo in sè, producendo l’effetto di cessazione della materia del contendere.

La richiesta di accertamento della surroga non vale a sancire la mera chiusura della lite per cessazione della materia del contendere, ma, spostando l’accertamento su una domanda di merito – peraltro nuova rispetto a quella originaria – si espone, come correttamente ritenuto con l’impugnata sentenza, ad una valutazione di inammissibilità per la sua estraneità al giudizio.

5. L’ulteriore motivo con il quale il ricorrente chiede qualificarsi come confessione giudiziale la dichiarazione effettuata dal legale rappresentante di Aspica ed inserita nell’ultima proposta di concordato preventivo denominata “Piano di risanamento e ristrutturazione dei debiti di Aspica srl L. Fall., ex art. 160”, allegata alla relazione del commissario giudiziale L. Fall., ex art. 172 è poi inammissibile nella univoca novità della prospettata questione.

6. I ricorsi in via conclusiva vanno rigettati per loro infondatezza.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate in Euro 17.355,00 per compensi (Euro 13.350,00 in misura prossima ai medi di scaglione individuato sul valore complessivo delle controversie riunite, pari ad Euro 611.871,94, incrementato ex art. 4, comma 2, ultimo periodo, nella misura del 30%, pari ad Euro 4.005,00, che viene conteggiata una sola volta in ragione del numero delle parti, due, assistite dal difensore delle controricorrenti, vincitrici) oltre Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna il Comune di Melendugno a rifondere a A.S.P.I.C.A. – Assunzioni Servizi Pubblici Impianti Costruzioni Appalti, Soc. a r.l. in liquidazione volontaria e in Concordato Preventivo, in persona del liquidatore volontario legale rappresentante p.t. ed alla Liquidazione Giudiziale di A.S.P.I.C.A. Assunzioni Servizi Pubblici Impianti Costruzioni Appalti, Soc. a r.l. in liquidazione e in Concordato Preventivo con cessione dei beni ai creditori, in persona del liquidatore giudiziale p.t., le spese processuali che liquida in Euro 17.355,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 1 5 % forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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