LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 146/2016 proposto da:
S.R., elettivamente domiciliata in Roma, Via Tacito 23, presso lo studio dell’avvocato Cinzia De Micheli e rappresentata e difesa dall’avvocato Maria Pia Albini, in forza di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Banca Unicredit s.p.a.;
– intimato –
e contro
M.L., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Angelico 78 presso lo studio dell’avvocato Antonio Ielo e rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Gagliardini, in forza di procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 975/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 21/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/11/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato l’8/7/2011 S.R. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Verbania M.L. e la s.p.a. Unicredit Banca, proponendo opposizione avverso il decreto di ammortamento del Presidente del Tribunale emesso in data 28/3/2011, relativo al libretto di deposito al portatore n. *****, denominato “*****”, richiesto e ottenuto da M.L..
L’attrice ha sostenuto che le affermazioni della M. erano false, perchè il libretto era sempre stato nella sua disponibilità sin dall’apertura, avvenuta a fini di piccola rendita personale.
Si è costituita Unicredit Banca, rilevando di aver separatamente proposto anch’essa opposizione al decreto di ammortamento, a cui chiedeva la riunione, perchè in seguito alle affissioni pubblicitarie relative al provvedimento impugnato si era presentata presso la sua sede la S., chiedendo il pagamento del saldo, con il conseguente contrasto fra il possessore del libretto e l’autrice della richiesta di ammortamento; Unicredit manifestava solo l’interesse all’accertamento dell’effettivo soggetto creditore delle somme portate dal titolo.
Si è costituita in giudizio pure M.L., chiedendo la conferma del provvedimento impugnato e l’accertamento del proprio diritto alla riscossione delle somme portate dal libretto.
Riunite le cause, il Tribunale di Verbania con sentenza dell’11/3/2013 ha respinto l’opposizione di S.R. e ha accertato che titolare del libretto era M.L., unica legittimata alla riscossione delle somme da esso portate (Euro 10.536,37), con vittoria di spese per la M. a carico della S..
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto appello S.R., a cui ha resistito l’appellata M.L., mentre Unicredit, costituendosi, ha ribadito la propria posizione assunta in primo grado.
La Corte di appello di Torino con sentenza del 21/5/2015 ha respinto il gravame, ordinando la restituzione a M.L. dell’originale del libretto di deposito, revocando il decreto di ammortamento e condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado a favore delle altre parti.
3. Avverso la predetta sentenza con atto notificato il 19/12/2015 ha proposto ricorso per cassazione S.R., svolgendo unico motivo.
Con atto notificato ha proposto controricorso M.L., chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.
In data 17/12/2016 la ricorrente ha provveduto alla rinotifica del ricorso a Unicredit s.p.a., che non si è costituita in giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.
1.1. La Corte territoriale aveva omesso di considerare i limiti della produzione documentale che era stata posta a fondamento dell’accertamento della proprietà del libretto in capo alla M..
La ricorrente afferma poi che non era vero che l’appellante non avesse censurato le valutazioni del Tribunale sia circa l’inattendibilità della perizia grafologica di parte sulla sottoscrizione attribuita alla M., sia circa la mancata contestazione da parte sua della conformità della copia all’originale ex art. 2719 c.c.; l’errore così compiuto aveva platealmente inficiato l’intero giudizio; l’efficacia rappresentativa della scrittura contestata sotto il profilo della conformità della copia all’originale era soggetta a valutazione da parte del Giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie che deponevano a favore della tesi della ricorrente; non era poi vero che la perizia grafologica non era stata prodotta nel giudizio (vedi verbale del 10/12/2012); la deposizione del teste G. era stata valutata dalla Corte in maniera del tutto contraddittoria; la S. aveva spiegato inoltre come la M. avesse saputo dell’esistenza del libretto a suo nome: era stata la Banca nell’ambito dell’emersione dei c.d. titoli dormienti; la Corte infine aveva omesso di motivare circa la produzione da parte della S. di due altri libretti con nomi di fiori aperti nello stesso periodo temporale.
1.2. Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134, in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).
Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
1.3. Le deduzioni critiche formulate dalla ricorrente non soddisfano l’onere a suo carico per la proposizione di una censura alla motivazione della sentenza impugnata e, per vero, neppure identificano, come sarebbe stato necessario, un fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti il cui esame sia stato omesso dalla Corte torinese.
1.4. “I limiti della produzione documentale” che era stata posta a fondamento dell’accertamento della proprietà del libretto in capo alla M., ossia della copia del libretto di deposito a risparmio ***** “*****” prodotto sub a) da Unicredit, non sono un fatto storico, ma una valutazione relativa a un documento.
Per altro verso, la Corte di appello nell’affrontare e respingere il primo motivo di appello di S.R. ha ben tenuto presente il fatto che il libretto de quo era stato prodotto dalla Banca in copia semplice, non conforme all’originale, tanto da ritenere irrilevante la mancata produzione dell’originale, sotto il profilo del contenuto del documento (sentenza impugnata, pag. 9-10).
1.5. La ricorrente afferma che non era vero che ella con il gravame non avesse censurato le valutazioni del Tribunale circa l’inattendibilità della perizia grafologica di parte sulla sottoscrizione attribuita alla M..
Anche ammesso che la proposizione della censura possa essere considerata nella prospettiva indicata, la ricorrente non indica come e in qual modo ella abbia con l’atto di appello censurato tale valutazione, fondata, come risulta dalla pagina 6 della sentenza impugnata sia sul fatto che fosse stata redatta su di un documento in copia, sia sull’irrilevanza in relazione all’oggetto del giudizio; anzi alle pagine 7 e 8 del suo ricorso, nel compendiare i motivi di appello non indica affatto il contenuto delle sue asserite censure, in ipotesi pretermesse dalla Corte di appello.
1.6. La ricorrente nega di non aver censurato con il gravame le valutazioni del Tribunale circa la mancata contestazione da parte sua della conformità della copia all’originale ex art. 2719 c.c..
Anche ammesso che la proposizione della censura possa essere considerata nella prospettiva indicata, la ricorrente non indica come e in qual modo ella abbia con l’atto di appello criticato tale valutazione; anzi, alle pagine 7 e 8 del suo ricorso, nel compendiare i motivi di appello, non riporta affatto il contenuto delle sue asserite censure, in ipotesi pretermesse dalla Corte di appello.
Sembra poi di capire dalle ulteriori argomentazioni svolte dalla ricorrente (ad esempio, ultimo capoverso di pag. 11 del ricorso) che la sua contestazione di conformità non attenga propriamente alla conformità della copia prodotta da Unicredit all’originale del libretto (unico tema rilevante ex art. 2719 c.c.), ma piuttosto alla ben diversa questione della autenticità della sottoscrizione ” M.L.” che su di esso figura.
Al proposito tuttavia tale circostanza è stata valutata dalla Corte che non l’ha ritenuta affatto decisiva (pag. 10 della sentenza impugnata) e anzi ha mostrato di prescindere dalla questione dell’autenticità della firma della M..
Non vi è quindi omesso esame e il fatto non è comunque decisivo.
1.7. Non sarebbe vero, secondo la ricorrente, che la perizia grafologica non era stata prodotta nel giudizio (come risultava dal verbale del 10/12/2012).
A parte il fatto che il documento non è stato posto a base della decisione, nè ritenuto rilevante, come sopra ricordato, è dirimente il rilievo che la Corte, nell’ottava riga di pag. 10 ha semplicemente affermato che la perizia non risultava prodotta nel fascicolo di parte appellante.
L’art. 74 disp. att. c.p.c., riserva solo al cancelliere il potere di certificare, con la sua sottoscrizione, la effettiva presenza nel fascicolo di parte dei documenti elencati nell’indice per cui deve escludersi la possibilità di attribuire un analogo effetto certificativo alla sottoscrizione dell’indice da parte del difensore; ne consegue che la mancanza della firma del cancelliere in calce all’indice dei documenti prodotti, anche se non rende irrituale la produzione, determina, in caso di contestazione, la necessità, per la parte interessata, di fornire, sia pure solo indirettamente ed anche attraverso il comportamento della controparte, la prova della produzione dei documenti di cui intende avvalersi (Sez. 6 – 1, n. 27313 del 29/10/2018, Rv. 651354 – 01; Sez. 2, n. 3778 del 20/04/1996, Rv. 497197 – 01).
La ricorrente, a fronte della ricordata affermazione della Corte torinese, avrebbe dovuto allegare e provare che tale documento figurava nell’indice sottoscritto dal cancelliere o altrimenti dimostrare aliter in modo inequivocabile che esso vi era effettivamente stato inserito.
1.8. La ricorrente lamenta che la deposizione del teste G. sia stata valutata dalla Corte in maniera del tutto contraddittoria, così articolando una critica, peraltro del tutto generica, non riconducibile all’attuale previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, mentre la valutazione delle prove rientra nei poteri del giudice del merito, insindacabili in sede di legittimità.
1.9. La ricorrente sostiene che, diversamente da quanto affermato in sentenza, la S. aveva spiegato come la M. avesse saputo dell’esistenza del libretto a suo nome e cioè che era stata la Banca ad informarla nell’ambito dell’emersione dei c.d. titoli dormienti.
Tale circostanza, peraltro rappresentata del tutto genericamente, non attiene evidentemente a un fatto decisivo, trattandosi solo di un elemento fra i molti esposti alle pagine 13 e 14 della sentenza impugnata ritenuti militare a conforto della tesi dell’appellata M. (inattendibilità deposizione G., identificazione del soggetto che apre il libretto da parte dell’impiegato allo sportello, inverosimiglianza dell’indicazione di un diverso nominativo dal depositante per iniziativa dell’impiegato; dichiarazioni della S. che non aveva mai detto di aver dato lei il falso nome G. e di aver apposto la relativa sottoscrizione; assenza di rapporti pregressi fra le parti; irrazionalità del comportamento della S. che non avrebbe reagito all’indicazione di un diverso nominativo da parte dell’impiegato).
1.10. La Corte infine avrebbe omesso di motivare circa la produzione da parte della S. di due altri libretti con nomi di fiori aperti dalla S. nello stesso periodo temporale.
La citata circostanza risulta dalla sentenza (pag. 13) e non può comunque ritenersi decisiva.
2. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.300,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020