LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 9717 – 2015 R.G. proposto da:
B.I., – c.f. ***** – elettivamente domiciliata in Roma, alla piazza Capranica, n. 78, presso lo studio dell’avvocato Federico Mazzetti che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Antonino Bongiorno Galiegra la rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
M.G., – c.f. ***** – rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine del controricorso dall’avvocato Mario Cozza ed elettivamente domiciliata in Roma, al viale Mazzini, n. 41, presso lo studio dell’avvocato Francesco Saverio Insabato;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della corte d’appello di Genova n. 164 dei 27.1/5.2.2015;
udita la relazione nella camera di consiglio del 4 luglio 2019 del consigliere Dott. Luigi Abete.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con ricorso al tribunale di Chiavari B.I., agente immobiliare, iscritta al relativo albo, esponeva che era stata incaricata ai fini della vendita dell’immobile in *****, dal proprietario, Ma.Fr.; che a tale scopo aveva reperito quale interessata all’acquisto M.G. ed aveva provveduto a porla in relazione con il venditore, tant’è che di seguito le parti, assistite dai rispettivi legali, avevano sottoscritto la proposta di acquisto e la correlata accettazione; che la fattura n. ***** emessa per il pagamento della provvigione di Euro 27.600,00 ad ella dovuta dalla M. era nondimeno rimasta insoluta.
Chiedeva ingiungersi a M.G. il pagamento della somma anzidetta, oltre interessi e spese.
Con decreto n. 557/2007 il tribunale pronunciava l’ingiunzione.
2. M.G. proponeva opposizione.
Deduceva che la mediatrice, in violazione – tra gli altri – dell’obbligo di cui all’art. 1759 c.c., non aveva provveduto a comunicarle la provenienza donativa e talune irregolarità urbanistiche ed edilizie dell’immobile.
Instava per la revoca dell’ingiunzione.
Si costituiva B.I..
Invocava il rigetto dell’opposizione.
All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza del 30.1.2009 l’adito tribunale rigettava l’opposizione e confermava l’ingiunzione.
3. Proponeva appello M.G..
Resisteva B.I..
La corte d’appello di Genova disponeva farsi luogo a nuova istruzione; indi, con sentenza n. 164/2015, accoglieva il gravame, revocava l’ingiunzione e condannava l’appellata – iniziale opposta – alle spese del doppio grado.
3.1. Premetteva la corte che era fuor di contestazione che le trattative volte all’acquisto del complesso immobiliare non avevano avuto seguito.
Indi evidenziava che era pacifico che alla data della proposta di acquisito il complesso immobiliare fosse interessato da tre abusi edilizi e che l’iter per la relativa sanatoria fosse in corso alla stessa data.
Evidenziava altresì che la sanatoria degli abusi era sopraggiunta unicamente nell’autunno del 2008, sicchè non sarebbe stato possibile addivenire alla stipula del definitivo entro il 30.10.2007.
Evidenziava inoltre che l’appellata, all’uopo onerata, non aveva dimostrato di non aver avuto conoscenza, alla data di sottoscrizione della proposta di acquisto, degli abusi edilizi e comunque che era del tutto inverosimile che, alla medesima data, la B. non ne avesse avuto conoscenza.
4. Avverso la suddetta sentenza B.I. ha proposto ricorso; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.
M.G. ha depositato controricorso, contenente ricorso incidentale articolato in un unico motivo; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso ed accogliersi il ricorso incidentale; in ogni caso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.
La ricorrente ha depositato memoria.
Del pari ha depositato memoria la controricorrente.
5. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione dell’art. 1759 c.c., la violazione dell’art. 2697 c.c..
Deduce che la corte di merito ha invertito l’onere probatorio, allorchè ha affermato che ella appellata non aveva assolto l’onere, asseritamente a suo carico, di non aver avuto conoscenza degli abusi edilizi; che invero era onere di controparte, che aveva addotto il suo inadempimento, darne dimostrazione, dimostrazione per nulla assolta.
6. Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’errata applicazione degli artt. 1175 e 1759 c.c..
Deduce che non le era stato conferito lo specifico incarico di eseguire indagini tecnico – giuridiche in ordine alla situazione urbanistico – edilizia dell’immobile, sicchè non vi era motivo che a tanto provvedesse; che d’altronde ai fini delle indagini tecniche aveva provveduto a porre M.G., già assistita dal proprio legale, in contatto con l’architetto Be..
7. I motivi del ricorso principale sono strettamente connessi; il che ne suggerisce la disamina simultanea; ambedue i motivi comunque sono destituiti di fondamento.
8. A nulla vale – si premette – dedurre che M.G. aveva con il secondo motivo di gravame addotto che ella principale ricorrente “era a conoscenza delle irregolarità edilizie e nonostante ciò non aveva informato la promissaria” (così ricorso principale, pag. 16), sicchè la corte di seconde cure avrebbe dovuto circoscrivere a tale prospettazione la sua valutazione e non estenderla “alla sussistenza, o meno, (…) di un obbligo di indagine da parte del mediatore” (così ricorso principale, pag. 16).
Si tratta evidentemente – e contrariamente all’assunto della principale ricorrente – di un profilo che il motivo d’appello in ogni caso involgeva.
8.1. Difatti questa Corte insegna – e tale insegnamento appropriatamente la corte distrettuale ha richiamato nella motivazione dell’impugnato dictum (cfr. pag. 7) – che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico specifico, a svolgere nell’adempimento della sua prestazione particolari indagini di natura tecnico – giuridica (come l’accertamento della libertà da pesi dell’immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie) allo scopo di individuare fatti rilevanti ai fini della conclusione dell’affare, è pur tuttavia gravato, in positivo, dall’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che è richiesta in relazione al tipo di prestazione, nonchè, in negativo, dal divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su fatti dei quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poichè il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle; cosicchè, qualora il mediatore infranga tali regole di condotta, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l’effetto, dal cliente (cfr. Cass. 16.7.2010, n. 16623 (Rv. 614511 – 01)).
In particolare – con lo stesso insegnamento (cfr. Cass. 16.7.2010, n. 16623 (Rv. 614512 – 01)) – questa Corte soggiunge che la mancata informazione del promissario acquirente sull’esistenza di una irregolarità urbanistica non ancora sanata relativa all’immobile oggetto della promessa di vendita, della quale il mediatore stesso doveva e poteva essere edotto, in quanto agevolmente desumibile dal riscontro tra la descrizione dell’immobile contenuta nell’atto di provenienza e lo stato effettivo dei luoghi, legittima il rifiuto del medesimo promissario di corrispondere la provvigione.
9. Per nulla si giustifica l’asserita illegittima inversione dell’onere della prova circa la conoscenza o meno delle irregolarità urbanistiche ed edilizie dell’immobile.
Invero la corte territoriale, alla stregua della complessiva valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. 29.11.2000, n. 15312, secondo cui nel sistema processualcivilistico vigente opera il principio cosiddetto dell’acquisizione della prova, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza; Cass. 21.5.1979, n. 2945, secondo cui l’indagine sull’incidenza dell’onere della prova è superflua quando il giudice, dalle prove acquisite, possa trarre il proprio convincimento sulla verità dei fatti allegati a fondamento della domanda e dell’eccezione: in questo caso il giudice ha il potere di valutare le prove nel loro complesso e, indipendentemente dalla loro provenienza, ciascuna delle parti deve subirne l’esito, senza che possa tenersi conto del fatto che l’onere della prova fosse o meno a suo carico), ha assunto che alla data di sottoscrizione della proposta di acquisto era del tutto inverosimile che B.I. non avesse avuto conoscenza delle medesime irregolarità.
Più esattamente (e, ben vero, in rapporto alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione alla quale la censura di cui al primo motivo, in parte qua, a rigore si qualifica, ed alla luce, conseguentemente, dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte) la corte di Genova ha correlato in via logico – inferenziale, nondimeno in modo congruo ed esaustivo, il riferito postulato al rilievo per cui la mediatrice aveva da epoca significativamente antecedente ricevuto l’incarico e la relativa documentazione, siccome si desumeva dalla missiva in data 26.10.2007 a firma dell’avvocato Calcagno, difensore di Ma.Fr., proprietario dell’immobile in *****, ed al rilievo ulteriore dell’elevato valore economico del compendio immobiliare (nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, giacchè è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità: cfr. Cass. 5.7.1990, n. 7084).
10. La ricorrente principale adduce che le dichiarazioni testimoniali rese dall’architetto Be. ed il contenuto missiva datata 26.10.2007 sono del tutto “indifferenti” (cfr. ricorso principale, pag. 19); che “la deposizione del notaio S. conferma che le irregolarità urbanistiche furono da lui accertate solo dopo la firma della convenzione tra promittente e promissario e non provano certo che la B. fosse a conoscenza, prima, di una circostanza accertata solo successivamente” (così ricorso principale, pag. 19); che mai le è stata consegnata la documentazione relativa alla situazione urbanistica dell’immobile (cfr. ricorso principale, pag. 20); che dalla missiva dell’avvocato Calcagno “si ricaverebbe che al momento della sottoscrizione della proposta le irregolarità urbanistiche erano già definite” (così ricorso principale, pag. 21); che “la promissaria conosceva da tempo l’immobile oggetto di vendita” (così memoria della ricorrente principale, pag. 8).
E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153) (in parte qua si condividono appieno i rilievi della controricorrente: cfr. controricorso, pagg. 28 e 35).
11. L’incidentale affermazione della corte genovese, secondo cui “l’appellata ha tra l’altro rinunciato all’udienza del 9.12.10 tenutasi nel presente grado del giudizio ai testi indicati e non escussi” (cfr. pag. 8), alla stregua del contesto logico in cui è inserita, viepiù alla stregua della locuzione “tra l’altro”, è stata sicuramente formulata ad abundantiam.
Il rilievo della ricorrente principale, a tenor del quale “è stato proprio, al contrario, la signora M. a rinunciare alla escussione (…) del teste che avrebbe dovuto confermare le sue affermazioni” (così ricorso principale, pag. 20), è quindi inammissibile (cfr. Cass. sez. lav. 22.11.2010, n. 23635, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam” e perciò non costituente “ratio decidendi” della medesima).
12. Il passaggio motivazionale dell’impugnato dictum – “in ogni caso, anche a voler ritenere che la B. non fosse a conoscenza di tali irregolarità, ella aveva l’obbligo con la diligenza professionale specificamente richiesta al mediatore di acquisire informative circa la regolarità edilizia del complesso immobiliare, obbligo non assolto” (cfr. pag. 8) – in toto ascrivibile all’insegnamento di questo Giudice del diritto in precedenza menzionato (cfr. Cass. 16.7.2010, n. 16623 (Rv. 614512 – 01)), costituisce propriamente una ratio decidendi ulteriore rispetto a quella, sostanziatasi nel riscontro presuntivo dell’effettiva conoscenza delle irregolarità, alla quale la corte ligure ha ancorato l’accoglimento del gravame ed il disconoscimento della pretesa creditoria in via monitoria azionata da B.I..
12.1. In questi termini, a giustificazione del rigetto del secondo motivo di ricorso, specificamente della parte che alla censura di tale ratio è rivolta, è sufficiente il rinvio all’elaborazione di questa Corte.
Ovvero all’elaborazione secondo cui, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Cass. 14.2.2012, n. 2108).
13. Nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – al di là beninteso del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, di certo insussistente nel caso di specie – non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).
Su tale scorta immeritevoli di seguito sono i dedotti profili di asserita contraddizione che inficerebbero il dictum della corte di Genova (cfr. ricorso principale, pagg. 17 e 22).
14. I rilievi finali veicolati dal secondo mezzo – gli abusi edilizi erano di modesta portata e la relativa procedura di condono è stata definita in breve tempo (cfr. ricorso principale, pag. 24) – involgono evidentemente il profilo della gravità dell’inadempimento ascritto alla ricorrente principale.
14.1. In tal guisa si osserva quanto segue.
Da un canto, la valutazione della gravità dell’inadempimento, prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo, è rimessa al giudice del merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti – è il caso di specie – immune da vizi logici o giuridici (cfr. Cass. 7.6.2011, n. 12296; Cass. 30.3.2015, n. 6401).
D’altro canto, la valutazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 c.c., della non scarsa importanza dell’inadempimento deve ritenersi implicita, ove l’inadempimento stesso si sia verificato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto – è il caso di specie (“deve ritenersi che la B. non abbia impiegato la diligenza professionale richiestale nell’espletamento dell’incarico di mediazione”: così sentenza d’appello, pag. 8) – ovvero quando, dal complesso della motivazione, emerga che il giudice lo abbia considerato tale da incidere in modo rilevante sull’equilibrio negoziale (cfr. Cass. 28.10.2011, n. 22521; Cass. 17.8.2011, n. 17328).
15. M.G. con la memoria depositata il 21.6.2019 ha dato atto che con decreto in data 16/20.7.2015 la corte d’appello di Genova ha disposto la correzione della sentenza in questa sede impugnata, ovvero ha decretato integrarsi il dispositivo del medesimo dictum con la “condanna (di) B.I. alla restituzione di tutte le somme percepite in forza del decreto ingiuntivo n. 557/2007 e dell’ordinanza del 27.6.2008 del Tribunale di Chiavari”.
Conseguentemente con atto notificato alla ricorrente principale in data 18.6.2019 (vedansi allegati alla depositata memoria) la controricorrente ha rinunciato ai sensi dell’art. 390 c.p.c. al ricorso incidentale, con cui aveva dedotto la nullità della sentenza n. 164 dei 27.1/5.2.2015 della corte genovese per omessa pronuncia in ordine alla domanda di condanna di B.I. alla restituzione delle somme percepite.
Nessuna statuizione pertanto va assunta in ordine al ricorso incidentale.
16. In dipendenza del rigetto del ricorso principale B.I. va condannata a rimborsare a controparte le spese del presente giudizio di legittimità.
La liquidazione segue come da dispositivo.
16.1. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.
16.2. Non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, M.G. sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis medesimo D.P.R..
P.Q.M.
La Corte così provvede:
rigetta il ricorso principale;
condanna la ricorrente principale, B.I., a rimborsare alla controricorrente, M.G., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge;
ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto; dà atto che non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, M.G. sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis medesimo D.P.R..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 4 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020
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