LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7430/2018 proposto da:
U.E., elettivamente domiciliato in Roma, viale Angelico n. 38, presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze, Ministero dell’Interno;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1326/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, del 25/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/04/2019 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTI DI CAUSA
1.- Con ordinanza del 17 giugno 2016, il Tribunale di Ancona ha respinto il ricorso presentato da U.E., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento della Commissione territoriale di diniego di riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria) come pure della protezione umanitaria.
La successiva impugnazione avanti alla Corte di Appello di Ancona è stata pure rigettata, con sentenza depositata il 25 agosto 2017.
Ha osservato in particolare la Corte territoriale che “gli elementi offerti” dal racconto de ricorrente “non consentono di ritenere che vi sia un fondato timore” per lo stesso di “subire una persecuzione personale e diretta ovvero un danno grave alla sua persona ove tornasse in patria”; che il ricorrente, “specificamente interrogato dalla Commissione su quali fossero i timori in caso di rientro in patria, ha fatto esclusivamente riferimento alla generica circostanza che la Confraternita degli ***** con il proprio comportamento mette in pericolo la popolazione civile, senza il minimo cenno, neppure sotteso, a gestioni relative al contesto socio politico della Nigeria e ai rischi connessi alla professione della fede cattolica rispetto all’attività degli *****”, che, in punto di protezione umanitaria, “non sono state allegate, nè possono ritenersi dimostrate specifiche situazione soggettive, tali da giustificare” la relativa misura di protezione.
2.- Avverso questo provvedimento U.E. ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensive.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.- Il ricorrente censura la decisione della Corte territoriale: (i) col primo motivo, “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, quale la “condizione di pericolosità e le situazioni di violenza generalizzata esistenti in Nigeria”; (ii) col secondo motivo, “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni personale del ricorrente”; (iii) col terzo motivo, “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio politiche del paese di origine: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14”; (iv) col quarto motivo, “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il Tribunale ha errato a non applicare la protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniere, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese di origine o che vi possa correre gravi rischi; (v) col quinto motivo, “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione del principio di non refoulement”.
4.- I primi tre motivi di ricorso, che tutti gravitano attorno al tema della protezione sussidiaria, sono inammissibili.
Quanto al primo motivo, è da rilevare che il ricorrente non specifica il “fatto” il cui esame sarebbe stato omesso, nè riporta le dichiarazioni che assume siano state non considerate dalla Corte di Appello; nè le localizza all’interno della documentazione del fascicolo dei gradi del merito. Con la conseguenza che il Collegio non è messo in condizione di verificare la fondatezza della censura.
Non diversamente, nella sostanza, è da ripetere in ordine al secondo motivo, con particolare riferimento all’individuazione delle “dichiarazioni” del ricorrente, che non sarebbero state esaminate, e delle “allegazioni portata in giudizio”. Anche questo motivo, in definitiva, risulta formulato in termini affatto generici.
Così come avviene, del resto, per il terzo motivo, che si sostanzia nel fare riferimento ad alcune pronunce di questa Corte. Nonchè nel “richiamare quelle che sono le condizioni del Paese, condizioni che peraltro devono essere attualizzate secondo quanto recentemente riportato sui maggiori organi di stampa e, soprattutto, per quanto di nostro interesse, dal sito Amnesty International”.
Il resoconto che segue (p. 19 del ricorso) contiene – come suo passo di maggior precisione – il rilievo che “il gruppo ***** ha continuato a commettere crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel nord-est della Nigeria”. Secondo quanto accertato dalla Corte di Appello, peraltro, il richiedente proviene dalla zona di Benin City, che è situata nell’Edo State, nella parte meridionale della Nigeria.
5.- Il quarto e il quinto motivo, che entrambi fanno riferimento al tema della protezione umanitaria, seno inammissibili.
Tali motivi non indicano, nè rivelano, la presenza di situazioni di vulnerabilità specifiche alla persona del richiedente, come prescritto dalla legge, limitandosi a richiamare – in termini del tutto generici – le gravissime condizioni sociali e politico economiche attualmente esistenti in Nigeria.
6.- In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il richiedente risulta ammesso al beneficio del patrocino a spese dello Stato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 8 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020