Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.793 del 16/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(380-bis.1 c.p.c.) sul ricorso (iscritto al N. R.G. 10197/’15) proposto da:

M.R., (C.F.: *****), rappresentata e difesa, in virtù

di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Giuseppe Miuccio e Giovanni Calcagni ed elettivamente domiciliata presso il loro studio, in Roma, v. Taranto, 44;

– ricorrente –

contro

M.D., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù

di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Dino Quaglietta ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma, v. Trionfale, 160;

– controricorrente –

Avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Roma n. 1441/2015, depositata il 3 marzo 2015 (non notificata), e l’ordinanza di rimessione sul ruolo a seguito della citata sentenza non definitiva.

RILEVATO IN FATTO

Con atto di citazione dell’ottobre 2011 il sig. M.D. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Tivoli – sez. dist. di Castelnuovo di Porto, la figlia M.R. al fine di ottenere la risoluzione dei contratti di compravendita relativi a due immobili stipulati, rispettivamente, in data 20 ottobre 2008 e 12 maggio 2009, deducendo l’inadempimento della stessa convenuta, per omessa corresponsione del prezzo, e chiedendo, altresì, la condanna della medesima al rilascio dell’immobile oggetto del secondo contratto oltre al pagamento della somma di Euro 24.000,00 per l’illegittimo godimento degli immobili e al risarcimento del danno quantificato in Euro 50.000,00 per l’impossibilità di ricevere in restituzione l’immobile che aveva costituito oggetto del primo contratto.

La convenuta, costituendosi in giudizio, contestava i dedotti inadempimenti (assumendo che in entrambi gli atti era stato attestato il rilascio delle relative quietanze di pagamento del prezzo) e faceva rilevare che, in effetti, il secondo contratto era riconducibile ad una donazione (stipulata in presenza di due testimoni), proponendo, perciò, domanda riconvenzionale per l’accertamento della simulazione relativa al suddetto secondo contratto.

L’adito Tribunale, con sentenza n. 74 del 2013, rigettava la domanda di risoluzione del primo contratto di compravendita sul presupposto dell’insussistenza dell’addotto inadempimento (essendo risultato corrisposto il relativo prezzo) ed accoglieva, invece, la richiesta di risoluzione riguardante il secondo contratto di compravendita, non essendo stata provata la simulazione prospettata con la formulata domanda riconvenzionale.

Decidendo, in via non definitiva, sull’appello principale avanzato dalla M.R. e su quello incidentale proposto dal M.D. (con riferimento al rigetto della domanda pronunciata dal giudice di prime cure), la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 1441/2015 (depositata il 3 marzo 2015), rigettava il gravame principale e, in parziale riforma dell’impugnata sentenza (confermata nel resto), accoglieva, per quanto di ragione, il gravame incidentale, dichiarando il diritto del M.D. ad ottenere il pagamento di un’indennità per il godimento dell’immobile, da parte della M.R., oggetto del contratto concluso in data 28 ottobre 2008, oltre che al rilascio del bene stesso.

Con separata ordinanza la Corte laziale rimetteva la causa sul ruolo per la prosecuzione del giudizio in ordine alla determinazione dell’indennità per l’illegittima occupazione da parte della M.R. del predetto immobile.

Avverso la suddetta sentenza non definitiva della Corte di appello di Roma la M.R. ha proposto immediato ricorso per cassazione, riferito a due motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimato M.D..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 2702 e 2703 c.c., avuto riguardo alla ritenuta insussistenza, da parte del giudice di appello, della prova circa l’intervenuto pagamento del prezzo relativo alla compravendita dell’immobile stipulata con il secondo contratto del 12 maggio 2009, che si sarebbe – a suo avviso – dovuto ritenere come intervenuto per effetto della quietanza emergente dal relativo atto (da considerarsi avente piena efficacia ai sensi dei citati artt. 2702 e 2703 c.c.), assumendo che sulla relativa circostanza il M.D. non aveva mosso alcuna contestazione.

1.1. Con la seconda censura la ricorrente ha denunciato – ponendo riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la violazione del combinato disposto degli artt. 1350 e 2725 c.c., avuto riguardo all’omesso esame del fatto decisivo sempre con riferimento all’avvenuto pagamento del prezzo relativo al secondo contratto di compravendita del 2009 e alla rilevabile contraddittorietà tra la parte motiva ed il dispositivo dell’impugnata sentenza, avendo essa argomentato, nella prima, sul contratto del 12 maggio 2009 e richiamato, nel dispositivo, quello del 28 ottobre 2008, così rimanendo involta pure l’ordinanza di rimessione sul ruolo, anch’essa da annullare in via consequenziale.

2. Rileva il collegio che, in via pregiudiziale, vanno respinte le eccezioni di inammissibilità formulate dal controricorrente sia perchè l’art. 366-bis c.p.c. non è applicabile “ratione temporis” nella causa di cui trattasi sia perchè il ricorso appare sufficientemente specifico nella prospettazione di entrambi i motivi.

3. Ciò premesso, osserva il collegio che i due motivi possono essere esaminati congiuntamente siccome connessi e riguardanti, in effetti, la medesima questione sotto un duplice profilo di diritto.

Essi sono inammissibili per la ragione assorbente di seguito indicata.

Va, infatti, ritenuto come, dallo svolgimento del giudizio come trascritto nel ricorso, emerga che effettivamente la ricorrente (v. pag. 7 del ricorso) aveva chiesto, in via subordinata (per il caso in cui fosse stata ritenuta inammissibile la prova orale per dimostrare la natura simulata del secondo contratto del 12 maggio 2009), che, in ogni caso, la prova del pagamento del prezzo si sarebbe dovuta desumere dall’attestazione – contenuta nel contratto (ove, per l’appunto, non accertato come simulato) – della verificazione di tale circostanza per effetto della dichiarazione in esso contenuta fatta dal M.D. in ordine al rilascio di quietanza liberatoria avuto riguardo alla ricezione del prezzo dichiarato (sul presupposto della sua natura giuridica di confessione stragiudiziale soggetta alla disciplina di cui all’art. 2732 c.c. ai fini della sua revoca).

Senonchè, osserva il collegio, il contenuto della indicata quietanza liberatoria alla quale avrebbe potuto essere riconosciuta efficacia di confessione stragiudiziale non risulta affatto trascritto nei motivi del ricorso nè emerge la trascrizione del contratto nella parte in cui sarebbe stata rilasciata la suddetta quietanza, con la conseguenza, perciò, che il ricorso deve considerarsi difettante della necessaria specificità al fine sia di rilevare la possibile violazione di legge come prospettata con la prima censura sia l’apprezzamento della effettività dell’omesso esame della relativa circostanza assunta come decisiva (concernente, per l’appunto, l’asserito pagamento del prezzo riguardante il secondo contratto del 12 maggio 2009) con la seconda doglianza, non potendosi, ovviamente, supplire a tale mancanza con un mero rinvio “per relationem” ad atti prodotti in giudizio.

Al riguardo deve evidenziarsi come la giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 8569/2013, Cass. n. 14784/2015 e Cass. n. 13625/2019) sia consolidata nel ritenere che il ricorso per cassazione – per il principio di necessaria specificità che lo deve caratterizzare in virtù del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – deve contenere in sè tutti gli elementi indispensabili a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza poter far meramente rinvio a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè anche quando denuncia l’omessa valutazione di prove documentali (alla quale si possa ricondurre il mancato esame di fatti potenzialmente decisivi ai fini della controversia) – il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione – e, quindi, la trascrizione – del contenuto che sorregge la censura.

Alla stregua di tale principio le censure formulate nell’interesse della ricorrente non possono che essere ritenute inammissibili, evidenziandosi, altresì, come diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente – non sussista alcuna contraddittorietà tra motivazione e dispositivo con riguardo alla decorrenza del diritto all’ottenimento dell’indennità del godimento riconosciuto in favore del M.D., siccome riferito univocamente – nello svolgimento del percorso motivazionale – alla data di stipula del secondo contratto del 12 maggio 2009 (che deve, perciò, ritenersi quella effettivamente esatta), donde l’indicazione nella parte dispositiva dell’impugnata sentenza del decorso dal 28/10/2008 costituisce il frutto di un mero errore materiale.

4. In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo e con attribuzione al difensore del controricorrente per dichiarato anticipo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge, con distrazione in favore del difensore del controricorrente per dichiarato anticipo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020

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