LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23481/2018 proposto da:
M.Y.B., elettivamente domiciliato in Roma, piazza dei Consoli n. 62, presso lo studio dell’avvocato Inghilleri Enrica, rappresentato e difeso dall’avvocato Paolinelli Lucia, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 79/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, del 22/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/04/2019 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTI DI CAUSA
1.- Con ordinanza del 13 luglio 2016, il Tribunale di Ancona ha parzialmente accolto il ricorso presentato da M.Y.B., cittadino bengalese, avverso il provvedimento della Commissione territoriale, che aveva negato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria), come pure di quelli relativi alla protezione umanitaria. In particolare, il Tribunale gli ha riconosciuto il diritto al permesso per ragioni umanitarie, “per potersi curare in Italia”.
2.- Il Ministero ha impugnato il provvedimento avanti alla Corte di Appello di Ancona. Il richiedente ha interposto appello incidentale.
Con sentenza depositata il 20 gennaio 2018, la Corte territoriale ha accolto il ricorso principale, respingendo quello incidentale.
3.- Ha osservato in particolare la Corte territoriale che le dichiarazioni del ricorrente presentano incongruenze e contraddizioni e non sono supportate dalla denuncia prodotta perchè la medesima non può ritenersi autentica”; che “i fatti narrati dall’appellato attengono effettivamente a una vicenda di giustizia ordinaria che esclude la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ma anche per il riconoscimento della protezione sussidiaria”; che, “nella specie” non emerge l’esistenza di una situazione di conflitto nella zona di provenienza del ricorrente” tale da determinare il ricorrere del presupposto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); che non può ritenersi che il “dedotto intervento chirurgico, di lieve entità, abbia determinato uno stato di vulnerabilità tale da integrare un’esigenza qualificabile come umanitaria”.
4.- Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso M.Y.B., sviluppando un motivo di cassazione.
In data 17 gennaio 2019, l’Avvocatura dello Stato ha depositato un “atto di costituzione”, in cui dichiara che – “non essendosi costituita nei termini di legge” – viene ora a costituirsi al “fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5.- Il motivo di ricorso denunzia vizio di violazione di legge, con riferimento all’art. 1 Convenzione di Ginevra; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 11; nonchè D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32.
Il motivo risulta sostanzialmente articolato in tre ordini di censure distinte.
La prima censura riguarda la “denuncia presentata contro la sua persona per il reato di omicidio della fidanzata dai parenti di costei” (nel racconto del richiedente, la fidanzata, essendo stata “promessa in sposa ad altro uomo, si era avvelenata”: per malanimo e vendetta, i parenti della ragazza avevano “denunciato il richiedente per omicidio”). La Commissione territoriale ha attivato un procedimento interno di verifica della genuinità del documento presso l’EASO, che tuttavia “non ha dato indicazioni in merito all’autenticità del documento, ma ha precisato che si tratta di un FIR, che equivale sostanzialmente alla nostra denuncia querela”. Ora, la Corte territoriale ha ritenuto senz’altro “non autentica” la denuncia.
Osserva, per contro, il ricorrente che, “se il documento fosse apparso un falso, l’Ufficio incaricato della verifica lo avrebbe espressamente dichiarato”: in difetto, “esso deve ritenersi autentico”.
La seconda censura concerne la situazione politica e sociale del Bangladesh in relazione alla previsione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il ricorrente evidenzia, in proposito, che la “Corte di Appello omette di indicare la fonte delle proprie affermazioni riguardanti la situazione interna del Paese alle quali non fa alcun riferimento.
La terza censura riguarda il punto della protezione umanitaria. Rileva dunque il ricorrente che la Corte – nel negare la protezione – ha omesso di considerare la “situazione di grave instabilità politica e sociale, che nell’oggi colpisce il Bangladesh” e pure ha omesso di tenere conto dell’elevato grado di integrazione che nel frattempo il ricorrente è riuscito a raggiungere.
6.- La seconda censura, di cui si compone il motivo di ricorso, risulta fondata.
Si deve invero sottolineare che l’assolvimento del dovere di cooperazione istruttoria, che in materia della protezione internazionale grava sul giudice dei merito, comporta l’assunzione – e quindi pure la relativa indicazione nell’ambito del tessuto motivazionale – di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate sulla situazione sociale e politica del Paese di origine del richiedente (tra le altre, cfr. in particolare Cass., 12 dicembre 2108, n. 28990 e Cass., n. 28 giugno 2018, n. 17069, ove pure ulteriori riferimenti). Dal che deriva pure, inter alia, la necessità di riportare, nel contesto della motivazione svolta, le fonti di informazione utilizzate, come quelle che per l’appunto stanno a fondamento e giustificazione del convincimento che nel concreto viene espresso dal giudice (cfr., in proposito, le recenti pronunce di Cass. 19 aprile 2019, n. 11101 e di Cass., 19 aprile 2019, n. 11096; Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass., 17 maggio 2019, n. 13449).
D’altro canto, la disposizione del D.Lgs. n. 25 del 2008, dell’art. 8, comma 3 non manca di prescrivere, e con nettezza, che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale nel Paese di origine dei richiedenti asilo”.
Per contro, la sentenza impugnata ha negato la ricorrenza, nella specie, di presupposti fissati dalla norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) con riferimento alla situazione attuale del Bangladesh (paese di origine del richiedente), senza curarsi di verificare e accertare – e di riportare, quindi, nel contesto della motivazione svolta – l’attualità e aggiornamento delle fonti informative richiamate.
7.- L’accoglimento della seconda censura del ricorso comporta assorbimento della terza censura, in quanto relativa alla protezione umanitaria.
E’ da ritenere invece inammissibile la censura che per prima espone il motivo. Il tema dell’autenticità, o meno, della denunzia presentata contro il richiedente è quindi quello del “peso” di prova del relativo documento appartengono infatti novero degli accertamenti di fatto, come tali non sindacabili da questa Corte.
8.- In conclusione, il ricorso va accolto nei termini e limiti appena sopra esposti e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Ancona che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese inerenti al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie la seconda censura del motivo di ricorso, inammissibile la prima, assorbita la terza. Cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Ancona che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese inerenti al giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 8 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020