LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17448/2015 proposto da:
M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AGRI 1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO NAPPI;
– ricorrente –
contro
FINTECNA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO LEOPOLDO FREGOLI 8, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO SALONIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO MASSIMO COZZOLINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 22/2015 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. di TARANTO, depositata il 12/02/2015, R.G.N. 253/2010.
RILEVATO
che:
– con sentenza in data 28 gennaio 2015, la Corte d’Appello di Lecce, respingendo l’appello del ricorrente M.V., ha confermato la sentenza del giudice di primo grado che aveva parzialmente accolto la domanda da quest’ultimo formulata nei confronti di Fintecna S.p.A., volta al risarcimento del danno derivato al ricorrente dall’inadempimento della società datrice all’accordo stipulato in data 24/10/1991 e mediante la quale, ridotta a complessivi Euro 655,89 oltre accessori l’originaria pretesa, quantificata in Euro 7.990,74, aveva condannato la resistente al relativo pagamento oltre a quello delle spese del giudizio;
– in particolare, oggetto di entrambi i gradi del giudizio erano state le pretese del M. relative al periodo successivo alla risoluzione di un accordo intercorso fra le parti ed aventi ad oggetto il ritenuto inadempimento della società agli obblighi assunti dall’azienda “sino al completamento del piano di studi individuale” che, secondo quanto asserito dal ricorrente, avrebbero dovuto ritenersi vigenti pur dopo la risoluzione dell’accordo, nonchè altri accessori;
– avverso tale pronunzia propone ricorso M.V., affidandolo a quattro motivi;
– resiste, con controricorso, Fintecna S.p.A..
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 1218,1223,1224,1353,1453,1458,1460 c.c. e dell’art. 113 c.p.c., deducendosi la violazione di legge in relazione al diritto al risarcimento del danno anche in ipotesi di risoluzione unilaterale dell’accordo per eccessiva onerosità, mentre, con il secondo motivo, si deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c., asserendosi il non aver la Corte tenuto nel debito conto le prove documentali versate in atti dall’appellante;
– i due motivi, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono inammissibili;
– sebbene parte ricorrente lamenti in entrambi i casi una violazione di legge, in realtà le argomentazioni da essa sostenute si limitano a criticare sotto vari profili la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, con doglianze intrise di circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad attività asseritamente compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad aspetti di mero fatto tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di legittimità una valutazione del tutto fattuale e, cioè, l’indagine concernente la risoluzione consensuale dell’accordo – ritenuta in primo ed in secondo grado nonchè il rigetto della domanda risarcitoria per aver contratto un prestito bancario, senza l’adduzione di qualsivoglia elemento di diritto a sostegno della richiesta diversa valutazione;
– orbene, attiene alla violazione di legge la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente una attività interpretativa della stessa;
– nella specie, la stessa piana lettura delle modalità di formulazione del motivo considerato ed il riferimento ad una diversa valutazione dei mezzi istruttori, di spettanza esclusiva del giudice di merito, induce ad escludere, ictu oculi, la deduzione di una erronea sussunzione nelle disposizioni normative mentovate della fattispecie considerata, apparendo, invece, chiarissima l’istanza volta ad ottenere una inammissibile rivalutazione del merito della vicenda;
– con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 2114,2115,2116 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;
– premesso che, per la ritenuta violazione di legge devono ribadirsi le considerazioni svolte ai punti precedenti e, in particolare, l’apparente adduzione di una violazione di legge in luogo, invece, di una richiesta di rivisitazione del fatto, va rilevato, con riguardo all’omesso esame, che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017), talchè la verifica di tutti gli altri aspetti è sottratta al giudizio di legittimità;
– con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 416 – 420 e 194,195,201 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5;
– ancora una volta, parte ricorrente, nel lamentare la omissione, da parte della Corte d’Appello, della valutazione e dell’esame delle puntuali eccezioni, controdeduzioni e contestazioni inerenti l’erroneità della consulenza tecnica d’ufficio, non fa che riproporre in sede di legittimità, inammissibilmente, eccezioni già fatte valere nei gradi di merito inerenti valutazioni non censurabili con il ricorso per cassazione;
– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso va dichiarato inammissibile;
– le spese seguono a soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;
– sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020
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