LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21609/2015 proposto da:
T.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICCARDO GRAZIOLI LANTE 16, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO SCHIAVONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO COCULO;
– ricorrente –
contro
CILIA S.R.L., (già CILIA S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO TOVAGLIERI 397, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DI FRANCESCO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4834/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/07/2015, R.G.N. 1102/2011.
RILEVATO
che:
– con sentenza in data 20 luglio 2015, la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato la Cilia S.p.A. al pagamento, in favore di T.D., della minor somma di Euro 843,68 a titolo di tfr, oltre accessori, in luogo della maggior somma liquidata dal Tribunale;
– in particolare, il giudice di secondo grado ha ritenuto non provata la natura a tempo pieno del rapporto reputando, invece, che lo stesso avesse avuto la configurazione di rapporto “part time”;
– avverso tale pronunzia propone ricorso T.D., affidandolo a cinque motivi;
– resiste, con controricorso, la Cilia s.r.l..
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè art. 1362 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al periodo di lavoro espletato “in nero”; con il secondo motivo, si deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 115-116 c.p.c., art. 2697 c.c., sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riguardo al ritenuto orario di lavoro, mentre, con riguardo al quarto motivo di ricorso, si deduce in esso la violazione degli artt. 115,116 e 232 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5;
– i tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono inammissibili;
– premesso che la piana lettura della formulazione del primo motivo lo rende illogico ed incomprensibile là dove, nel censurare la decisione di secondo grado, in realtà, riferisce lo stesso periodo lavorativo in termini temporali ritenuto in sentenza, ma, soprattutto, con esso si mira ad ottenere una rivisitazione del merito, auspicandosi l’applicazione di un regime retributivo diverso al periodo asseritamente svolto in nero, mentre, in ordine al secondo motivo, si chiede una diversa valutazione delle risultanze probatorie, da cui discenderebbe un diverso regime anche con riguardo all’orario di lavoro;
– con il quarto motivo, infine, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha recepito le conclusioni della CTU in ordine all’ammontare delle differenze retributive relative al solo tfr – immuni da vizi e non oggetto di contestazione;
– chiedendosi siffatte valutazioni, si dimentica che, con riguardo all’omesso esame, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017);
– conseguentemente, le valutazioni richieste a questa Corte, sono sottratte al regime del giudizio di legittimità;
– con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 – 116 c.p.c., art. 2094 c.c., nonchè art. 61 CCNL Autoferrotranvieri, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;
– il motivo è inammissibile;
– sebbene parte ricorrente lamenti una violazione di legge, in realtà le argomentazioni da essa sostenute si limitano a criticare sotto vari profili la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, in particolare con riguardo al ritenuto orario “part time” del lavoro espletato, con doglianze intrise di circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad attività asseritarnente compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad aspetti di mero fatto tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di legittimità una valutazione fattuale e, cioè, l’indagine concernente la durata del rapporto e le modalità di svolgimento dello stesso, senza l’adduzione di qualsivoglia elemento di diritto a sostegno della richiesta diversa valutazione;
– orbene, attiene alla violazione di legge la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente una attività interpretativa della stessa;
– nella specie, a stessa piana lettura delle modalità di formulazione del motivo considerato ed il riferimento ad una diversa valutazione dei mezzi istruttori, di spettanza esclusiva del giudice di merito, induce ad escludere, ictu oculi, la deduzione di una erronea sussunzione nelle disposizioni normative mentovate della fattispecie considerata, apparendo, invece, chiarissima l’istanza volta ad ottenere una inammissibile rivalutazione del merito della vicenda;
– con il quinto ed ultimo motivo, parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., con riguardo al governo delle spese, compensate integralmente;
– orbene, giova premettere che, per effetto della novella introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, in vigore a decorrere dal 4 luglio 2009, in assenza di soccombenza reciproca, è stata riconosciuta la possibilità di compensazione delle spese di lite esclusivamente in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione”.
– sul punto, consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 22310 del 25/09/2017; Cass. n. 4251 del 21/02/2017; Cass. n. 6059 del 19/03/2017) ha ritenuto che le “gravi ed eccezionali ragioni”, da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che legittimano la compensazione totale o parziale delle spese ai sensi dell’art. 92 c.p.c., devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica – come la natura della controversia, la peculiarità della materia del contendere, ovvero le alterne vicende dell’iter processuale, formula inidonea a consentirne il necessario controllo in sede di legittimità (si vedano, altresì, Cass.n. 14411 del 14/07/2016; Cass. n. 11217 del 31/05/2016);
– per effetto dell’ulteriore modifica apportata all’art. 92 c.p.c., comma 2, D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, conv. in L. 10 novembre 2014, n. 162, entrata in vigore il giorno 11/11/2014 ed applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo e, pertanto, dall’11/12/2014, la formulazione è diventata ulteriormente stringente, richiedendosi, per la compensazione integrale o parziale delle spese in assenza di reciproca soccombenza, l'”assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”;
– l’integrale revisione del testo della norma considerata per effetto della novella, ha rimosso il carattere “aperto” originariamente riconosciuto alla norma lasciando residuare una previsione tassativa limitata alle due sole ipotesi descritte, in aggiunta alla soccombenza reciproca delle parti;
– con la sentenza del 19 aprile 2018 n. 77, la Corte costituzionale ha affermato che il giudice civile, in caso di soccombenza totale di una parte, può compensare le spese di giudizio, parzialmente o per intero, non solo nelle ipotesi di “assoluta novità della questione trattata” o di “mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti” ma anche quando sussistano “altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”. Il perimetro della compensazione delle spese è stato ampliato rispetto alla riduzione effettuata dal legislatore nel 2014 allo scopo di contenere il contenzioso civile. La tassatività introdotta è stata ritenuta dalla Corte costituzionale lesiva del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto lascia fuori altre analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa;
– nel caso di specie, anche alla luce del nuovo regime sulle spese introdotto dalla novella, il parziale accoglimento della domanda giustifica ex se l’integrale compensazione delle spese di lite;
– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso va respinto;
– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;
– sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 2.300,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020
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