Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.87 del 07/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17546/2017 proposto da:

E.S., elettivamente domiciliata in Fermo, Viale della Carriera, 109, presso lo studio dell’avv.to Lara Petracci, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno Commissione Territoriale Per il Riconoscimento Protezione Internazionale Di Ancona;

– intimato –

avverso la sentenza n. 42/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 11/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

FATTI DI CAUSA

1.- E.S., cittadina nigeriana, ha richiesto alla Commissione territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di ***** – Sez. di Ancona – il riconoscimento dello status di rifugiato, o, in via subordinata, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ha dedotto di essere vissuta con la nonna nella città di *****, di aver intrapreso una relazione omosessuale con una studentessa universitaria, e, una volta scoperta questa da parte della madre, di essere stata destinata ad un rito sacrificale di purificazione da parte dei membri del villaggio, per sottrarsi al quale aveva lasciato il villaggio stesso e si era recata presso un’amica a *****. Costei le aveva poi proposto di entrare a far parte di una “gang” denominata “*****”, e, a seguito del suo rifiuto, la aveva allontanata. Successivamente aveva accettato l’invito di un uomo che le aveva offerto ospitalità, ma poi la aveva importunata. Ella era fuggita con un figlio dell’uomo, e poi era stata rapita. Scappata, aveva incontrato un uomo che le aveva offerto di vivere con sè e con la moglie a Tripoli procurandole anche un lavoro come domestica. Quindi, accusata di aver rubato del danaro, era stata fatta imbarcare per l’Italia.

2.-A seguito del rigetto della domanda da parte della Commissione, la donna ha proposto ricorso al Tribunale di Ancona, che lo ha respinto ritenendo la insussistenza dei requisiti per il riconoscimento richiesto, per la mancanza di dettagli nel racconto della donna tali da rendere credibile l’esistenza di una fattispecie persecutoria e per la inidoneità della documentazione prodotta a fornirne riscontro.

3.-L’ordinanza del Tribunale è stata impugnata innanzi alla Corte d’appello di Ancona, deducendosi la erroneità del mancato riconoscimento quanto meno della protezione sussidiaria o di quella umanitaria. Il giudice di secondo grado ha confermato la decisione del Tribunale, rilevando che il racconto della donna non era credibile per le medesime ragioni poste in evidenza dal Tribunale, anche alla luce del fatto che non sussistevano ostacoli ad un eventuale suo rientro in patria in un luogo diverso dal villaggio di *****. Inoltre, non erano dedotti elementi di dettaglio in ordine alla situazione del Paese di provenienza da collegare alle vicende personali della richiedente, nonostante l’attenuato onere probatorio. Pertanto non era possibile valorizzare la storia della appellante nell’ambito della protezione internazionale, nè era possibile riscontrare un grave pericolo per la sua incolumità personale in caso di rientro. Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, non se ne avvisavano i presupposti – osservava la Corte – ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 (grave danno in caso di rimpatrio per condanna a morte, tortura o altro trattamento degradante, minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno o internazionale). Ed anche quanto alla richiesta di protezione umanitaria, non sussisteva, secondo la Corte, un concreto pericolo per la richiedente di subire atti di persecuzione in caso di rientro nel proprio Paese, anche perchè dalle fonti consultate, indicate dalla Commissione, si evinceva che la regione di provenienza dell’istante non era attualmente interessata da una situazione di conflitto o violenza generalizzata. Nè la richiedente aveva allegato la esistenza di gravi motivi umanitari, diversi da quelli posti a fondamento delle altre richieste, tali da giustificare il riconoscimento della misura richiesta in via gradata.

4.-Per la cassazione di tale sentenza ricorre la E. sulla base di cinque motivi. Il Ministero dell’interno non si è costituito.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.-Con la prima censura si deduce “violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, 3, 5, 6 e 14, lett. c), per avere la Corte d’appello fondato la propria valutazione negativa in ordine alla credibilità della narrazione della ricorrente su parametri diversi da quelli normativi ed in particolare dalla “mancanza di dettagli specifici che possano rendere credibile l’esistenza di una fattispecie persecutoria nei confronti dell’appellante e all’inidoneità della documentazione prodotta da quest’ultima a fornirne valido riscontro. Trattasi infatti di allegazioni, oltre che del tutto prive di qualsiasi elemento di autenticità, di contenuto estremamente generico e vago, tale da non consentire di ricavare qualsiasi connessione oggettiva con la specifica storia narrata””. Nella valutazione della credibilità del ricorrente, da svolgere alla stregua dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, il giudice della protezione internazionale sarebbe venuto meno, nella specie, al suo obbligo di cooperazione istruttoria, che deve riguardare in particolare la specifica situazione di rischio di persecuzione o di pericolo qualificato rappresentata dal richiedente e non genericamente ed esclusivamente la condizione generale del suo Paese di origine. La Corte di merito non avrebbe compiuto i necessari approfondimenti officiosi in merito alla esistenza e diffusione di sette e società segrete in Nigeria ed al loro potere di controllo sociale del territorio, pur in presenza di un riscontro documentale, ancorchè parziale, fornito dalla richiedente in ordine alla situazione esposta.

2.-Con il terzo motivo di ricorso – da esaminare congiuntamente al primo avuto riguardo alla connessione logico-giuridica che ad esso lo avvince – si lamenta “violazione di legge nella parte in cui il giudice di secondo grado (pag. 5 della sentenza impugnata) rilevava l’insussistenza di ostacoli ad un eventuale rientro in patria della ricorrente in un luogo diverso dal villaggio di ***** in cui era stata condannata per la sua relazione omosessuale con altra donna, implicitamente richiamando l’art. 8 della direttiva 2004/83/CE”. Sarebbe illegittimo il richiamo alla possibilità della ricorrente di trasferirsi in altra zona del territorio dello Stato, in quanto tale assunto, contenuto nell’art. 8 della direttiva richiamata, risulta non recepito nell’ordinamento italiano con riguardo alla valutazione della legittimità del diniego di protezione internazionale.

3.- Le censure risultano meritevoli di accoglimento nei termini di seguito specificati.

In tema di accertamento del diritto ad ottenere una misura di protezione internazionale, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il giudice non può formare il proprio convincimento esclusivamente sulla base della credibilità soggettiva del richiedente e sull’adempimento dell’onere di provare la sussistenza del fumus persecutionis a suo danno nel paese d’origine, essendo, invece, tenuto a verificare la condizione di persecuzione di opinioni, abitudini, pratiche sulla base di informazioni esterne e oggettive relative alla situazione reale del Paese di provenienza (cfr., ex aliis, Cass., sent. n. 26056 del 2010). In particolare, in tema di protezione sussidiaria, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, incombendo al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (v., ex multis, Cass., ord. 19716 del 2018).

Nella specie, la Corte di merito, in violazione dei principi di diritto richiamati, non ha operato alcun riferimento all’espletamento di tale doverosa attività istruttoria, limitandosi, per un verso, a stigmatizzare la vaghezza della narrazione della richiedente e la mancanza di documentazione idonea ad avvalorarla, per l’altro a sottolineare la mancanza di ostacoli ad un eventuale rientro in patria della attuale ricorrente in un luogo diverso dal villaggio di *****, in cui era stata condannata per la sua relazione omosessuale. Siffatta affermazione, in particolare, si pone poi, all’evidenza, in contrasto con il dettato normativo. L’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, recante norme sulla qualifica di rifugiato e sulla protezione minima riconosciuta, prevede che:

“1. Nell’ambito dell’esame della domanda di protezione internazionale, gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese d’origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese.

2. Nel valutare se una parte del territorio del paese d’origine è conforme al paragrafo 1, gli Stati membri tengono conto delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese nonchè delle circostanze personali del richiedente all’epoca della decisione sulla domanda”.

La norma in esame lascia, dunque, agli Stati membri la scelta se trasporla o meno del proprio ordinamento. Nel caso dell’Italia, l’attuazione della direttiva è avvenuta tramite il D.Lgs. n. 251 del 2007, che non ne ha ripreso la disposizione dell’art. 8. Ciò significa che quella disposizione non è entrata nel nostro ordinamento e non costituisce dunque un criterio applicabile al caso di specie. Conseguentemente la Corte d’appello non poteva avvalersi di tale criterio, che prende in considerazione la possibilità del richiedente lo status di rifugiato di trasferirsi in altra regione del proprio paese, per escludere la possibilità di riconoscere lo status di rifugiato ovvero la protezione sussidiaria o altre forme di protezione ove fossero esistenti i requisiti per qualcuno dei detti riconoscimenti (cfr., sul punto, Cass., ord. n. 2294 del 2012).

4.- Resta assorbito dall’accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso l’esame del secondo, che lamenta il mancato riconoscimento della sussistenza di una minaccia grave alla vita della ricorrente derivante da una situazione di violenza indiscriminata, in contrasto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e il D.Lgs. n. 251 del 2007, gli art. 3 e art. 14, lett. c); del quarto, con il quale si deduce, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34 il mancato esame della effettiva ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria; del quinto motivo, che fa valere la omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatti o questioni controverse e decisive ai fini del giudizio per avere la Corte di merito escluso che i fatti narrati dalla ricorrente integrino i requisiti per la protezione umanitaria.

5. – In definitiva, devo essere accolti il primo ed il terzo motivo, assorbitigli altri. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, che la deciderà facendo applicazione dei principi di diritto richiamati sub 3, ed alla quale si demanda altresì la statuizione sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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