LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16079/2018 proposto da:
S.S.M., elettivamente domiciliato in Roma L.go Somalia 53 (tel. 06.86203950) presso lo studio dell’avvocato Pinto Guglielmo che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Tarchini Maria Cristina;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****, Pm Procuratore Generale Repubblica;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1723/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 15/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 da Dot. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.
FATTI DI CAUSA
1.- S.S.M., con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 16 e art. 702-bis c.p.c., chiese al Tribunale di Brescia, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, impugnando il provvedimento di diniego emesso dalla competente Commissione territoriale. Nel corso dell’audizione presso detta Commissione il richiedente aveva esposto di essere nato a *****, dalla quale era fuggito all’età di sei anni con la famiglia per via della guerra ivi scoppiata e di essersi trasferito in *****, Paese del quale aveva conseguito la cittadinanza, e di essere vissuto colà con la madre e due fratelli, essendo stato il padre ucciso durante la fuga. Dichiarò di avere avuto, mentre giocava in un campo di calcio, una lite con i compagni di squadra, che intendevano ucciderlo, e di avere per questo ferito uno di essi con un coltello, dandosi poi alla fuga e lasciando il Paese, dove i familiari del ragazzo ferito – e che egli ignorava se fosse deceduto – volevano vendicarsi, e continuavano a cercarlo presso sua madre. Egli temeva, perciò, di esporsi, tornando in *****, alla vendetta di costoro e di essere dagli stessi ucciso ovvero di essere arrestato. Il Tribunale adito, ritenendo non credibile la versione dei fatti fornita dal richiedente, ne rigettò le domande con ordinanza del 29 aprile 2016, impugnata dallo stesso innanzi alla Corte d’appello di Brescia, che rigettò il gravame con sentenza del 15 dicembre 2017. Il giudice di secondo grado confermò la valutazione di non credibilità della riferita narrazione, giudicata vaga e contraddittoria, ponendo in evidenza la diversa ricostruzione dei fatti operata dall’appellante nella dichiarazione in lingua francese prodotta e nella esposizione operata dal suo legale rispetto a quella resa innanzi alla Commissione territoriale, risultando sia da detta dichiarazione che dagli atti difensivi che il litigio sul campo di calcio fosse stato ivi sedato e che solo successivamente uno dei compagni di squadra si fosse recato presso l’abitazione del Sanoko. Qui sarebbe sorta una colluttazione nel corso della quale costui, allo scopo di difendersi, avrebbe impugnato un coltello e pugnalato il compagno. Avuto riguardo a tale contraddittorietà, la Corte di merito ritenne che il richiedente avesse violato il dovere di lealtà e collaborazione e che la sua narrazione non fosse nel complesso credibile, mancando pertanto nella specie i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale. In ogni caso – aggiunse la Corte – i fatti esposti avevano evidenziato la commissione di un reato comune nell’ambito di una vicenda privata, nella quale, pertanto, sarebbero comunque mancati detti presupposti. Quanto alla situazione generale del *****, il giudice di secondo grado rilevò la inesistenza della denunciata violenza indiscriminata, essendo le notizie al riguardo riportate dal richiedente riferibili alla sola regione della *****, estranea alla città di provenienza del S., nella zona orientale del Paese. Peraltro dal rapporto sulla situazione dei diritti umani in *****, relativo al 2016 e pubblicato il 3 marzo 2017 dal Dipartimento di Stato degli USA (reperibile nel sito *****) emergeva che anche il conflitto generato dai ribelli indipendentisti nella ***** era in via di risoluzione, continuando ormai da quattro anni un “cessate il fuoco” di fatto tra l’esercito e le bande di separatisti ed essendo in corso trattative per una soluzione negoziale dell’annoso conflitto. Il ***** – aggiunse la Corte di merito – è uno dei Paesi con maggiore stabilità politica e sociale fra quelli del continente africano, e la sua Costituzione garantisce il rispetto dei diritti umani. Nemmeno poteva, nella specie, essere riconosciuta la protezione umanitaria, non risultando allegata una condizione di peculiare vulnerabilità del richiedente, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
2.-Per la cassazione di tale sentenza ricorre S.S.M., affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.-Con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.
Avrebbe errato la Corte di merito nell’interpretazione e nell’applicazione della normativa in materia di protezione internazionale con riferimento all’onere della prova gravante sul richiedente, in quanto l’art. 3 D.Lgs. fa carico a costui di presentare tutti gli elementi ed i documenti necessari a sorreggere la domanda di protezione, nel contempo affidando all’autorità procedente un ruolo attivo ed integrativo nella istruzione della domanda. La Corte, anzichè limitarsi a rilevare presunte carenze probatorie, avrebbe dovuto compiere di ufficio attività istruttoria disponendo l’audizione del richiedente o chiedendo delucidazioni sui documenti prodotti.
2. – La doglianza è inammissibile. Essa, pur sotto la veste formale di una denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è in realtà all’evidenza rivolta a conseguire un riesame delle valutazioni già operate dal giudice di merito, non consentito nella presente sede di legittimità. La Corte di merito ha, con ampia e completa motivazione, escluso la credibilità della narrazione del richiedente, alla stregua delle evidenziate contraddizioni fra il racconto reso innanzi alla Commissione Territoriale e quello oggetto degli atti difensivi innanzi all’autorità giurisdizionale. Il giudice di merito ha poi ulteriormente chiarito che perfino in caso di rispondenza al vero di dette affermazioni, la situazione denunciata dall’attuale ricorrente sarebbe inquadrabile in una vicenda privata originata da un reato comune, non tutelata, come tale, dalla normativa sulla protezione internazionale. Ed ha, infine, per completezza, fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali alla stregua delle quali ha potuto escludere una situazione di violenza indiscriminata o di violazione dei diritti umani in *****, descritto come Paese politicamente e socialmente stabile.
3. – Le medesime argomentazioni sono alla base della declaratoria di inammissibilità del secondo motivo, con il quale si censura ancora la sentenza impugnata per la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Secondo il ricorrente, la situazione da lui dedotta sarebbe riconducibile alla ipotesi di cui al richiamato art. 14, lett. b quella, cioè, della tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; nonchè alla ipotesi di cui allo stesso art. 14, lett. c) per il quadro di pericolosità per l’incolumità del richiedente, rappresentato, pur in assenza di una situazione di generale conflitto armato, dalla conservazione di un sistema di vendette private non efficacemente contrastato.
Come chiarito sub 2, la Corte di merito ha diffusamente illustrato la situazione generale del *****, offrendo un quadro di stabilità interna sia sul piano politico che su quello sociale, ed escludendo, per ciò stesso, implicitamente, la possibilità di immaginare l’esistenza di alcuna forma di trattamento inumano, del resto non fatta valere nel giudizio di merito, in cui il richiedente ha dichiarato di temere di essere arrestato per il reato commesso ovvero di essere esposto alla vendetta dei familiari del suo compagno. Parimenti, quanto alla possibilità di ricomprendere la fattispecie in esame nella ipotesi di cui all’art. 14, lett. b, invocato, essa non è stata presa in considerazione dalla Corte attesa la esclusione, dalla stessa operata, di una situazione di conflitto armato, non sostenuta peraltro nemmeno dallo stesso ricorrente.
4.- Con la terza censura si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La Corte avrebbe omesso di verificare la ricorrenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria. Deduce il ricorrente che la Corte di merito non avrebbe considerato che, avuto riguardo all’attuale situazione del *****, caratterizzata da ripetute violazioni dei diritti umani, qualora egli dovesse farvi ritorno correrebbe un serio rischio di non poter realizzare i fondamentali diritti alla casa, al lavoro, alla salute ed alla stessa vita.
5.- La doglianza è inammissibile per genericità. Il ricorrente invoca la tutela umanitaria senza dedurre alcuna specifica ragione di peculiare vulnerabilità, ma limitandosi ad enunciazioni formali dei diritti fondamentali dell’uomo che non riceverebbero concreta attuazione in ***** a causa della situazione generale di instabilità politica, peraltro – come dianzi chiarito motivatamente esclusa dalla Corte di merito.
6. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non vi è luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo il Ministero intimato svolto alcuna attività difensiva. Si dà atto che non sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, stante l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020