LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16095/2018 proposto da:
S.O., elettivamente domiciliato in Civitanova Marche, alla Via G. Matteotti n. 146, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Lufrano, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****;
– intimato –
e contro
Ministero Dell’interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2670/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 10/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.
FATTI DI CAUSA
1.- S.O. propose ricorso innanzi al Tribunale di Bologna avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna – sez. dist. di Forlì Cesena – che aveva rigettato la sua domanda ritenendo insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. L’adito Tribunale respinse il ricorso in considerazione della ritenuta inattendibilità della narrazione dell’interessato.
2.-Avverso tale provvedimento S.O. propose gravame innanzi alla Corte d’appello di Bologna, che, con sentenza del 10 novembre 2017, lo rigettò. Il giudice di secondo grado osservò che l’appellante aveva affermato innanzi alla Commissione Territoriale di essere ricercato da un gruppo terroristico filogovernativo denominato “*****” (indicazione poi mutata, nel corso del giudizio di primo grado, in quella di “*****”) per essersi opposto al sequestro, da parte di componenti dello stesso gruppo, del proprio zio; di essersi allontanato una prima volta da *****, sua città di provenienza, per circa quattro anni, in ragione di tale timore, e di avervi poi fatto ritorno. Dopo 1-3 giorni suo zio lo aveva avvertito che il luogo non era sicuro per lui, che, pertanto, aveva deciso di lasciare definitivamente il suo Paese. Rappresentò il timore che, una volta rientrato, potesse essere arrestato per il descritto problema. Ciò posto, la Corte felsinea ritenne tale narrazione del tutto inattendibile alla luce delle circostanze del mutamento della denominazione del gruppo terroristico che lo avrebbe ricercato, effettuata, come precisato, nel corso del giudizio di primo grado, dopo che la Commissione Territoriale aveva, nel provvedimento di rigetto della domanda, evidenziato la inesistenza di un gruppo terroristico denominato “*****” in *****; della riscontrata inesistenza altresì di un gruppo denominato “*****”; della non verosimiglianza dell’affermazione secondo la quale, dopo essersi allontanato dal Gambia per circa quattro anni, il richiedente vi sarebbe rientrato, valutando evidentemente che il pericolo fosse cessato, per allontanarsene di nuovo dopo appena un paio di giorni, a seguito di un colloquio con lo zio. Evidenziò la Corte al riguardo che gli altri familiari di S.O. avevano continuato a vivere in Gambia. Infine, il giudice di secondo grado revocò la concessione del gratuito patrocinio in favore dell’appellante.
3.-Per la cassazione di tale sentenza ricorre S.O. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Il ricorso è inammissibile.
1.1.-Ed infatti, il suo primo motivo si rivolge non già nei confronti della sentenza della Corte d’appello di Bologna, ma del provvedimento del Tribunale di Bologna, come reso evidente dalla rubrica dello stesso (“motivazione omessa, carente, insufficiente e/o contraddittoria su fatti o questioni controverse e decisive ai fini del giudizio, ed in particolare per aver fornito il Tribunale di Bologna solo una motivazione meramente apparente relativamente alla richiesta di protezione umanitaria, nonchè violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis, per non averne accertato la fondatezza mediante il potere-dovere istruttorio spettante al giudice”) nonchè dalla illustrazione della censura, in cui si fa espresso riferimento alla ordinanza del giudice di primo grado, addebitando ad essa la omissione di alcun tipo di motivazione circa le ragioni del rigetto della domanda.
1.2.-Del resto, anche il secondo motivo di ricorso, che, invece, prende in esame la sentenza della Corte d’appello di Bologna, censurando la revoca, con essa disposta, dell’ammissione del richiedente al gratuito patrocinio, dà luogo ad un secondo profilo di inammissibilità del ricorso stesso, posto che, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 non comporta mutamenti nel regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 stesso D.P.R. n., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 D.P.R. citato (cfr., ex aliis, Cass., n. 32028 del 2018).
2. – Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente, in ossequio al criterio della soccombenza, deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2100,00 oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020