Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.92 del 07/01/2020

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18152/2018 proposto da:

I.P., elettivamente domiciliato in Ravenna, Viale della Lirica n. 43, presso lo studio dell’avv.to Francesco Bonatesta, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****;

– intimato –

e contro

Ministero Dell’interno *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 574/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 26/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

FATTI DI CAUSA

1.-Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 12 agosto 2016, rigettò il ricorso proposto da I.P., nigeriano, avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale – sezione di Bologna, che ne aveva respinto le domande di riconoscimento in via gradata dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria ed umanitaria. Con riguardo alla prima domanda, il giudice adito non rilevò la sussistenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e). Nè ravvisò gli estremi per il riconoscimento della protezione sussidiaria con riferimento al rischio per il richiedente di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani o degradanti, secondo le previsioni del citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e nemmeno elementi tali da integrare i gravi motivi di carattere umanitario richiesti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

2.- I.P. impugnò la ordinanza innanzi alla Corte d’appello di Bologna, deducendo che il primo giudice aveva omesso di considerare che varie fonti internazionali attesterebbero una situazione di violenza indiscriminata sull’intero territorio della Nigeria, tale da comportare un serio pericolo per l’incolumità dei residenti.

La Corte felsinea, con sentenza del 26 febbraio 2016, rigettò il gravame. La Corte di merito, premesso che la proposizione del ricorso nella materia della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato in maniera congrua, coerente e credibile, rilevò che nel caso di specie mancava completamente di credibilità, come osservato anche dal giudice di primo grado, la narrazione della sua vicenda da parte dell’appellante, che si inseriva nel quadro di una storia dai contorni assolutamente stereotipati, di un generico episodio di accusa da parte del proprio padre di omosessualità con esclusivo riferimento alla frequentazione da parte sua di un gruppo di cristiani per letture bibliche, e della presunta persecuzione da parte di una setta di cui avrebbe fatto il padre, peraltro asseritamente deceduto, per essersi egli rifiutato di prenderne il posto all’interno della setta. Tale narrazione era risultata priva della benchè minima circostanza a suo supporto. Peraltro, anche il riferimento alla situazione nigeriana, già di per sè succinto e non circostanziato, era rimasto privo di alcun collegamento con la situazione di vita del richiedente tale da legittimare il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria.

3.-Per la cassazione di tale sentenza ricorre I.P. sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unica censura il ricorrente lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè all’art. 360, comma 1, n. 5, per omessa motivazione su di un punto decisivo per il giudizio (valutazione della ricorrenza dei requisiti relativi alla protezione umanitaria)”. La Corte d’appello di Bologna, nel rigettare la domanda di protezione umanitaria, avrebbe omesso ogni valutazione della posizione del richiedente con riferimento alle condizioni poste dalla legge alla base del relativo riconoscimento, e non avrebbe affatto motivato il proprio convincimento in ordine alla insussistenza dei requisiti della richiamata forma di tutela. Il giudice di secondo grado avrebbe dovuto, invece, valutare le allegazioni del richiedente relative alla situazione di violazione grave dei diritti umani desumibile dalla narrazione delle vicende umane dello stesso. Peraltro, il semplice fatto che il racconto del ricorrente fosse simile ad altri non avrebbe dovuto portare alla conclusione della non veridicità dello stesso. La Corte di merito avrebbe dovuto condurre una indagine rigorosa, massimamente alla stregua del riferimento operato dal ricorrente ad una accusa nei suoi confronti di omossessualità, punita in Nigeria con la detenzione.

2. – Il motivo è inammissibile.

Secondo la prospettazione dello stesso ricorrente, i presupposti del riconoscimento della protezione umanitaria in suo favore erano rinvenibili proprio nelle circostanze oggetto della sua narrazione della vicenda che lo aveva riguardato. Ciò posto, in difetto di una specifica censura delle ragioni poste dalla Corte di merito a fondamento della valutazione di non credibilità di detto racconto, l’invocata protezione risulta priva di base fattuale.

3. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Il ricorrente, in ossequio al criterio della soccombenza, deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2100,00 oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472