LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29698/2017 proposto da:
A.K., elettivamente domiciliato in Roma Via Cunfida N 16 presso lo studio dell’avvocato Visentin Maria che lo rappresenta e difende per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 957/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 17/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 957/2017 depositata il 17-11-2017, la Corte d’appello di Cagliari ha respinto l’appello di A.K., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Cagliari con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha rilevato che il richiedente, il quale riferiva di aver lasciato il proprio Paese dopo essere stato estromesso dalla successione ereditaria del padre e cacciato di casa dalla matrigna, non aveva neppure specificamente censurato l’affermazione del primo giudice circa l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato ed ha pertanto dichiarato inammissibile il motivo relativo a detta domanda. Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) la Corte d’appello ha evidenziato che il richiedente proveniva dal sud della Nigeria (*****), nel quale non vi erano allarmanti situazioni di conflitto armato interno, violenza indiscriminata ed instabilità politica, in base al report 2016 di Amnesty International e al sito della Farnesina, avendo, peraltro, lo stesso appellante dato atto dell’insussistenza in quell’area di conflitti armati e violenza indiscriminata. I Giudici d’appello hanno ritenuto che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non avendo il richiedente allegato un proprio coinvolgimento specifico in situazioni di rischio oppure elementi peculiari della propria situazione personale, nonchè essendo irrilevante il percorso di integrazione in Italia, in mancanza del diritto di soggiornarvi, come da giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 26641/2016).
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e degli artt. 2 e 3 C.E.D.U.”. Lamenta che la Corte territoriale non abbia valutato “se l’allontanamento forzato del richiedente di giovanissima età (anni 22) dalla casa familiare, senza alcuna possibilità di aiuto delle autorità locali, costituisca una realtà sociale accettata nel paese di provenienza del ricorrente”. Lamenta omessa valutazione, in tema di protezione sussidiaria, del trattamento degradante, integrante danno grave, proveniente anche da soggetti diversi dallo Stato, e dell’assenza di protezione da parte delle autorità del Paese di origine in caso di rimpatrio.
2. Con il secondo motivo denuncia “Violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3”. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato la condizione di estrema vulnerabilità del richiedente “a causa della giovanissima età e della probabilità di rimanere sprovvisto di tutela dei diritti da parte delle autorità istituzionali a ciò preposte, in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale” (pag. n. 7 ricorso). Inoltre deduce che la Corte territoriale ha falsamente applicato i parametri normativi propri della protezione umanitaria, mentre “i problemi del ricorrente nel Paese di origine (problemi non contestati dalla Corte d’appello, pur se non ritenuti idonei a giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria), l’integrazione, per contro, del ricorrente in Italia, giustificano pertanto il riconoscimento della protezione umanitaria” (pag. n. 9 ricorso).
3. Il primo motivo è infondato.
Il ricorrente si duole, in buona sostanza, dell’omessa considerazione, ai fini della ricorrenza del danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) del suo allontanamento forzato dalla casa familiare, da valutarsi congiuntamente alla sua giovanissima età (22 anni), e ritiene trattarsi di trattamento degradante. Il ricorrente riferiva di aver lasciato il proprio Paese dopo essere stato estromesso dalla successione ereditaria del padre e cacciato di casa dalla matrigna. Riferiva altresì di non aver ricevuto l’appoggio degli abitanti del villaggio perchè, in quanto di religione cristiana, si era rifiutato di prendere il posto del padre defunto, che era oracolo.
Correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che la situazione fattuale prospettata non fosse affatto idonea ad integrare il danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) non essendo stati allegati elementi peculiari di rischio, in caso di rimpatrio, correlati alla vicenda personale o alle condizioni soggettive del richiedente, ma solo problematiche di carattere economico.
4. Anche il secondo motivo non è fondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che “La protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di ” estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. ord. N. 3681/2019). La valutazione deve essere autonoma, nel senso che il diniego di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass. n. 28990/2018). Ciò nondimeno il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato ed il potere istruttorio ufficioso può esercitarsi solo in presenza di allegazioni specifiche sui profili concreti di vulnerabilità (Cass. n. 27336/2018).
Nel caso di specie il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte dei giudici di merito, che hanno escluso con idonea motivazione, nonchè facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, l’esistenza di fattori particolari di vulnerabilità del ricorrente, valutando le allegazioni dello stesso e ritenendo perciò irrilevante, nella fattispecie concreta, il percorso di integrazione.
5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
6. Nulla si dispone per le spese del presente giudizio, essendo rimasto intimato il Ministero.
7.Infine deve dichiararsi che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile, il 28 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020