Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.96 del 07/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9273/2018 proposto da:

S.O., elettivamente domiciliato in Roma Via C. Dossi 15 presso lo studio dell’avvocato Marini Elisabetta e rappresentato e difeso dall’avvocato Sasso Gianluca per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1588/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 16/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza n. 1588/2017 pubblicata il 16-9-2017, la Corte d’appello di Catanzaro ha respinto l’appello di S.O., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Catanzaro con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente, nel riferire la propria vicenda personale, aveva dichiarato di essere stato militante del *****, partito attualmente al governo ed infiltrato da un’organizzazione mafiosa chiamata *****, e di essere fuggito dal proprio Paese dopo aver ricevuto minacce di morte dal capo della confraternita ***** perchè si era rifiutato di uccidere il capo del partito di *****. La Corte territoriale ha ritenuto che le vicende personali narrate dal richiedente fossero irrilevanti ai fini del riconoscimento delle misure di protezione richieste, nonchè in ogni caso generiche ed inverosimili perchè prive di riferimenti a specifiche circostanze di fatto. I Giudici d’appello hanno affermato che nell'***** non vi fossero allarmanti situazioni di conflitto armato interno e di instabilità politica, considerato che nella zona di provenienza del richiedente non operava l’organizzazione *****. La Corte territoriale ha infine ravvisato la manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale prospettata dall’appellante, rilevando l’insussistenza, nella normativa di riferimento, della dedotta violazione derivante dall’infungibilità tra la protezione relativa allo status di rifugiato e il diritto di asilo di cui all’art. 10 Cost., comma 3.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, e artt. 2 e 3 CEDU, nonchè difetto di motivazione, travisamento dei fatti e omesso esame dei fatti decisivi”. Il ricorrente deduce di aver fornito sufficienti allegazioni circa la persecuzione attuata nei suoi confronti, avendo specificato di essere stato vittima, dopo il suo ingresso in Italia, di ulteriori aggressioni da parte dell'*****, tutte denunziate all’autorità giudiziaria italiana. La Corte d’appello era tenuta a rispettare l’obbligo di cooperazione istruttoria e a valutare tutti i fatti pertinenti riguardanti il Paese d’origine, con particolare riferimento alla pericolosità delle confraternite, di cui, peraltro, si dà atto nella sentenza impugnata. Ad avviso del ricorrente la Corte d’appello, nel ritenere mancanti elementi idonei a definire l’esposizione a rischio del richiedente, non ha valutato con la dovuta ponderazione il contenuto dei molteplici report allegati, che attestano lo stato di violenza indiscriminata esistente in Nigeria.

2.Il motivo è inammissibile.

2.1.Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

2.2. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale della Nigeria, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, sia quanto alla credibilità dei fatti narrati sia quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.

La Corte territoriale ha ritenuto generico ed inverosimile il racconto del richiedente, ha esaminato, richiamando le fonti di conoscenza (pubblicazioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiato, di Amnesty International e dei siti ufficiali del Ministero degli Affari Esteri e le altre fonti indicate a pag.n. 7 della sentenza impugnata), la situazione generale della Nigeria ed in particolare della regione di provenienza del ricorrente (*****) ed ha concluso affermando che non è interessata da violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale, dando conto della situazione del Paese anche con riguardo all’ordine pubblico.

Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e sono sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Per quanto si è detto la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018), così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa ed alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”.

2.3. Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali della Nigeria e della zona di provenienza, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e lett.b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

3. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 10 Cost., commi 2 e 3 errata motivazione, travisamento dei fatti”. Ad avviso del ricorrente l’orientamento espresso da questa Corte con l’ordinanza n. 10686/2012 e con la sentenza n. 25028/2005 merita un ripensamento. Segnatamente, con diffuse ed articolate argomentazioni sostiene il ricorrente che vi sia una netta differenza tra la nozione di rifugiato e quella del titolare del diritto di asilo e che non possa esservi alcuna equiparazione, sotto molteplici profili, tra rifugio ed asilo, non potendo operarsi una restrizione della sfera di applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, pena l’illegittimità costituzionale, prospettata in subordine, qualora si adotti l’interpretazione, in materia di asilo, indicata nella citata sentenza n. 25028/2005.

3.1. Il motivo è infondato.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, a cui il Collegio intende dare continuità, il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, (tra le tante Cass. n. 16362/2016 e Cass. n. 11110/2019).

In disparte ogni considerazione sulla mancanza di profili, non allegati dal ricorrente, nè desumibili dalla ricostruzione fattuale effettuata dai giudici di merito, di concreta rilevanza, nel caso di specie, dell’eccepita illegittimità costituzionale, la tutela complessivamente risultante dai tre istituti suindicati è idonea a garantire la protezione di ogni condizione di vulnerabilità rilevante in base ad obblighi costituzionali o internazionali e neppure si ravvisa configurabile, alla stregua dell’indirizzo di questa Corte richiamato, l’equiparazione, in via interpretativa, tra rifugio ed asilo lamentata dal ricorrente.

4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

5. Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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