LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10038/2018 proposto da:
A.S.M.Z., elettivamente domiciliato in Roma Via Otranto, 12 presso lo studio dell’avvocato Grispo Marco che lo rappresenta e difende per procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Siracusa e Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimati –
avverso la sentenza n. 60/2018 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 07/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/05/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 60/2018 depositata il 7-2-2018, la Corte d’appello di Caltanissetta ha respinto l’appello di A.S.M.Z., cittadino del *****, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Caltanissetta con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente, nel riferire la propria vicenda personale, aveva dichiarato di professare la religione musulmana sciita e di essere fuggito dal proprio Paese perchè accusato, ingiustamente e per motivi di persecuzione religiosa, di aver dato fuoco ad alcuni locali del *****, ove era ubicato il negozio di suo padre. La Corte territoriale, nel confermare il diniego di riconoscimento di una qualsiasi forma di protezione internazionale, ha ritenuto non credibili i fatti narrati dal richiedente ed insussistente una situazione generale del Paese caratterizzata da violenza indiscriminata.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 1 della Convenzione di Ginevra, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4 e 5”. Lamenta che la Corte territoriale non abbia correttamente sussunto i fatti oggetto di causa nei postulati dettati dalla normativa in tema di status di rifugiato. Il ricorrente, professante e praticante la religione musulmana sciita, deduce che la motivazione della sentenza impugnata circa la scarsa attendibilità delle vicende narrate è contraddittoria e incomprensibile, dato che le lacune ed incongruenze evidenziate dalla Corte territoriale non sono idonee a screditare la versione dei drammatici fatti riferiti con ricchezza di dettagli dal richiedente. In particolare rimarca l’irrilevanza di alcune circostanze valorizzate nella sentenza impugnata, segnatamente circa il mancato verificarsi di atti di persecuzione prima dell’arrivo del nuovo vice K. e la mancanza di atti di discriminazione generalizzati, nonchè contraddittorietà motivazionali, circa la connotazione di matrice solo terroristica degli atti di persecuzione nei confronti della minoranza sciita e circa la dovizia di particolari del racconto, ritenuto, ciò nonostante, “evanescente”. Lamenta inoltre che la Corte d’appello abbia omesso la valutazione della documentazione, in parte allegata al ricorso (doc. n. 3- traduzione giurata della denuncia sporta contro (l’ A.), nonchè abbia omesso di valutare la tempestività della presentazione della domanda di protezione e gli sforzi del richiedente atti a circostanziare la domanda. Richiama la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 8053/2014 e ritiene evidenti la carenza, l’incongruità e l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Ad avviso del ricorrente la Corte ha omesso di correttamente valutare la sua situazione personale, anche quanto alla sussistenza di danno grave in caso di rimpatrio non solo per le persecuzioni perpetrate nel Pakistan in danno degli sciiti, ma anche perchè la sua famiglia era stata distrutta ed il negozio incendiato, nonchè in considerazione della situazione socio-politica dell’area del Punjab, da cui proviene, caratterizzata da violenza indiscriminata e diffusa, come peraltro affermato anche dalla Corte territoriale, che, ciò nondimeno e illogicamente, aveva in ogni caso negato il riconoscimento della protezione sussidiaria. Richiama numerose pronunce di giudici di merito e quanto riportato in vari siti, tra cui ***** e viaggiare sicuri del Ministero degli Esteri. La suddetta situazione è quindi idonea a giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria, pur in mancanza di diretto coinvolgimento personale del richiedente.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Rileva che da un’attenta lettura delle dichiarazioni rese dal richiedente alla Commissione territoriale risulta evidente una situazione di vulnerabilità idonea al riconoscimento, quantomeno, della protezione umanitaria.
4. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.
4.1. Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).
4.2. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale del Pakistan, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, sia quanto alla credibilità dei fatti narrati, sia quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.
La Corte territoriale ha ritenuto generico ed inverosimile il racconto del richiedente, indicando nel dettaglio le incongruenze e contraddizioni riscontrate, nonchè, in ogni caso, evidenziando che i fatti riferiti erano attinenti ad una vicenda interna al mercato di Rawalpindi. Ha inoltre esaminato, richiamando le fonti di conoscenza (EASO 2016 e comunicato DFAE del 28 aprile 2017), la situazione generale del Pakistan ed in particolare della regione di provenienza del ricorrente (nord est del Punjab, che è regione molto estesa e con 91 milioni di abitanti), precisando che, in base alle fonti, situazioni di violenza indiscriminata in conflitto armato riguardano la parte meridionale di detta regione.
Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e sono sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Per quanto si è detto i fatti allegati sono stati esaminati e la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018), così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa ed alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”.
4.3. Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Pakistan e della zona di provenienza, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e lett. b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.
5. Anche il terzo motivo è inammissibile.
In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, sia la credibilità del ricorrente che l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.
6. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
7. Nulla deve disporsi sulle spese del presente giudizio, essendo rimasto intimato il Ministero dell’Interno.
8. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020