LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10714/2018 proposto da:
A.N., rappresentato e difeso dall’avvocato Uberti Foppa Cristina del foro di Milano per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 238/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 05/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/05/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 238/2018 depositata il 5-2-2018, la Corte d’appello di Catanzaro ha respinto l’appello di A.N., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Catanzaro con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.
Il richiedente riferiva di essere fuggito dal Pakistan per il timore di essere ucciso dai criminali che avevano sequestrato ed ucciso il suo datore di lavoro e che aveva riconosciuto, denunciandoli alla Polizia, come autori dei fatti delittuosi suddetti.
La Corte territoriale, nel confermare il diniego di riconoscimento di una qualsiasi forma di protezione internazionale, ha ritenuto, per quanto ancora di interesse, insussistente una situazione di violenza indiscriminata nella regione di provenienza del richiedente, escludendo ogni profilo di vulnerabilità del medesimo.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso. Il ricorrente ha fatto pervenire, a mezzo posta, memoria illustrativa, alla quale ha allegato documentazione, in data 22-5-2019, ossia oltre il termine prescritto dall’art. 380 bis 1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con unico articolato motivo il ricorrente denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Lamenta che la Corte territoriale non abbia adeguatamente esaminato la situazione del Pakistan, con particolare riguardo alla regione del Punjab, da cui proviene il richiedente. Deduce che, come emerge dal report EASO del 25-8-2017, la regione del Punjab è da tempo considerata nuovo vivaio del terrorismo e che l’elevato numero degli scontri e delle vittime, in particolare 135 decessi a seguito di attentati solo nel 2018, attestano la situazione di violenza diffusa ed indiscriminata in quella regione. Pertanto ad avviso del ricorrente sussistono i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in ogni caso, di quella umanitaria, stante la condizione di pericolosa e minacciosa instabilità del Paese, tale da rendere il ricorrente sicuramente vulnerabile in caso di rimpatrio.
2. Il motivo è inammissibile.
2.1. Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).
2.2. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla situazione generale del Pakistan, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.
La Corte territoriale ha rimarcato che il ricorrente aveva dichiarato di essersi rivolto alla Polizia per denunciare le minacce ricevute dai criminali che avevano ucciso il suo datore di lavoro ed aveva altresì riferito di essere stato rassicurato dalla stessa Polizia circa l’imminente arresto degli stessi.
La Corte d’appello ha inoltre esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza (pag. n. 6 e ss. della sentenza), la situazione generale del Pakistan ed in particolare ha rilevato, citando il report del 2017 del South Asia Terrorism Porta, che nessun episodio significativo è segnalato a *****, da cui proviene il richiedente, escludendo l’esistenza di situazioni di violenza indiscriminata in conflitto armato nella suindicata zona e così compiutamente esercitando il potere-dovere di cooperazione istruttoria.
Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e sono sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 e dunque solo quale omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti oppure come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.
Il ricorrente formula, inammissibilmente, la censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, facendo riferimento al previgente paradigma del vizio motivazionale, mentre nella fattispecie in esame trova applicazione il citato articolo come novellato nel 2012, atteso che la sentenza impugnata è stata depositata il 5-2-2018.
Ad ogni buon conto, per quanto si è detto i fatti allegati sono stati esaminati e la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da un contenuto non inferiore al “minimo costituzionale” (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018), così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa ed alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”.
2.3. In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.
3. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
5. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020