LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12239/2018 proposto da:
K.R., elettivamente domiciliato in Roma Via Cassiodoro 6, presso lo studio dell’avvocato Costa Maria Rosaria e rappresentato e difeso dall’avvocato Gurrado Vincenzo per mandato in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1789/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 17/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/05/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1789/2017 depositata il 17-10-2017, la Corte d’appello di Catanzaro ha respinto l’appello di K.R., cittadino del *****, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Catanzaro con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente, nel riferire la propria vicenda personale, aveva dichiarato di essere fuggito per il timore di essere ucciso dai suoi familiari, dato che aveva deciso di frequentare la chiesa pentacostale dopo la morte del padre. La Corte territoriale ha ritenuto che i fatti narrati dal richiedente fossero irrilevanti al fine del riconoscimento dello status di rifugiato, non avendo il richiedente chiarito le ragioni in base alle quali non avrebbe potuto ricevere protezione dal suo Paese di origine. In ogni caso i Giudici d’appello hanno affermato che le vicende narrate fossero non credibili perchè generiche e contraddittorie, così escludendo sia la sussistenza di presupposti integranti una persecuzione religiosa attuata nei suoi confronti, sia il danno grave giustificativo della concessione della protezione sussidiaria con riferimento alla situazione generale del Paese di origine. Sotto tale ultimo profilo la Corte territoriale ha affermato che nel Ghana non vi fossero allarmanti situazioni di conflitto armato interno e di instabilità politica e giudiziaria, in base ai rapporti annuali di Amnesty International. La Corte d’appello ha ritenuto che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, avendo il richiedente dedotto a fondamento di tale ultima richiesta una vicenda privata non suffragata da riscontri anche circa la mancanza di adeguata protezione nel Paese di origine.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione della Convenzione di Ginevra del 28-7-1951 e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. In merito al giudizio di inattendibilità delle vicende narrate, il ricorrente deduce che la Corte territoriale non ha applicato il principio dell’onere probatorio attenuato ed ha omesso di valutare la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Deduce di aver formulato tempestiva domanda di protezione internazionale, compiendo ogni sforzo per circostanziarla, e di aver spiegato le ragioni della sua fuga dal Ghana, dato il gravissimo pericolo cui si sarebbe trovato ove fosse rimasto in quel Paese. Afferma pertanto il ricorrente di avere sufficientemente rappresentato la propria condizione soggettiva di pericolo, rimarca che fatti analoghi a quelli dallo stesso riferiti si rinvengono nelle premesse fattuali di numerose sentenze di merito e lamenta la mancata enunciazione di valide ragioni dirette a contrastare la veridicità dei fatti narrati.
2. Il motivo è infondato.
2.1. La Corte territoriale ha vagliato il racconto del ricorrente, che aveva riferito di essere fuggito per il timore di essere ucciso dai suoi familiari in quanto aveva deciso di frequentare la chiesa pentacostale, e l’ha ritenuto non credibile, indicandone le ragioni alla stregua dei parametri prescritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (pag. n. 12 sentenza), nonchè dando conto del fatto che, secondo le fonti di conoscenza, nel Ghana la maggioranza della popolazione è di religione cristiana, così pervenendo a qualificare la vicenda narrata come di natura privata.
Non ricorrono, quindi, le violazioni di legge denunciate e la valutazione sulla credibilità attiene ad accertamento di merito, insindacabile in sede di legittimità (tra le tante Cass. ord. n. 3340/2019).
3. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Ad avviso del ricorrente erroneamente la Corte territoriale non ha accertato la situazione di violenze indiscriminate che caratterizzano il Ghana. Lamenta il mancato esercizio del potere istruttorio ufficioso da parte dei Giudici di merito, dato che il richiedente, ove tornasse in Ghana, verrebbe perseguitato dagli appartenenti al culto voodoo, religione predominante. La Corte d’appello avrebbe quindi dovuto valutare le vicende personali del richiedente sulla base di riscontri oggettivi sulla situazione generale del Ghana, essendo stata fornita documentazione sulla condizione di violenza indiscriminata e non controllata dalla Polizia.
4. Il motivo è inammissibile.
4.1. Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).
4.2. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale del Ghana, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, sia quanto alla credibilità dei fatti narrati sia quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.
La Corte territoriale ha ritenuto generico ed inverosimile il racconto del richiedente, ha esaminato diffusamente, richiamando le fonti di conoscenza (rapporti annuali di Amnesty International, sito infomercati esteri, sito della Farnesina Ministero Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e le altre fonti indicate a pag. n. 7, 8 e 10 della sentenza impugnata), la situazione generale del Ghana ed ha concluso affermando che non è interessato da violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale, essendo detto Paese politicamente democratico e stabile.
Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e sono sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Per quanto si è detto la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018), così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa ed alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”. Peraltro il ricorrente, nel riproporre la questione del rischio di sua persecuzione religiosa perchè cristiano, neppure censura specificatamente l’affermazione dei giudici di merito secondo cui è la religione cristiana quella prevalente in Ghana, e non il culto vodoo come indicato in ricorso, nè censura specificatamente le fonti citate nella sentenza impugnata.
4.3. Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Ghana, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e lett. b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.
5. Con il terzo motivo lamenta “Violazione di legge in merito al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Quanto al diniego della protezione umanitaria lamenta che la Corte d’appello non abbia considerato la situazione di vulnerabilità del richiedente “dettata dalla sua età, dalla condizione di vita e dal contesto di provenienza, elementi che stanno alla base del suo percorso migratorio” (pag. n. 17 ricorso).
5.1. Il motivo non è fondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che “La protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di ” estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. ord. N. 3681/2019). La valutazione deve essere autonoma, nel senso che il diniego di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass. n. 28990/2018). Ciò nondimeno il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato ed il potere istruttorio ufficioso può esercitarsi solo in presenza di allegazioni specifiche sui profili concreti di vulnerabilità (Cass. n. 27336/2018).
Nel caso di specie il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte dei giudici di merito, che hanno escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, nonchè facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, l’esistenza di fattori particolari di vulnerabilità del ricorrente, valutando le allegazioni dello stesso e ritenendo recessivo, in comparazione, il percorso di integrazione.
6. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.
7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
8. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020