Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.994 del 17/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24005/2016 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA SCIENTIFICA, in persona del Ministro pro tempore, MINISTERO ECONOMIA FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, MINISTERO DEL LAVORO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

B.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 366/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 31/03/2016, R.G.N. 444/2015.

RILEVATO

1. Che B.M. ed altri – tutti laureati in Medicina e chirurgia – hanno convenuto davanti al Tribunale di Genova il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MIUR), il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Università degli studi di Genova, chiedendo che venisse loro riconosciuto il diritto alla retribuzione per gli anni di frequenza dei corsi di specializzazione, come disposto dalle Direttive CEE 75/363/ e 75/362, modificate dalla Direttiva 82/76/CEE. In subordine hanno chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni loro derivati dal mancato recepimento delle Direttive nel termine all’uopo prescritto del 31.12.1982, e per il loro tardivo ed incompleto recepimento tramite il D.Lgs. n. 257 del 1991;

1.1. che disposta la chiamata in causa della Presidenza del Consiglio dei Ministri il Tribunale ha respinto la domanda;

2. che la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 622/2010 in accoglimento della domanda subordinata, dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Università degli studi di Genova in toto, e dei tre Ministeri limitatamente alle domande di pagamento relative ai corsi di specializzazione frequentati dagli attori negli anni anteriori al 1991-92, ritenuto che la prescrizione dovesse farsi decorrere dal 23 agosto 1991 – data dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, ha condannato le Amministrazioni convenute (Presidenza del Consiglio dei Ministri Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MIUR), il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze) a pagare agli attori le somme stabilite come retribuzione dal D.Lgs. n. 257 del 1991, a decorrere, per ognuno dalla data di inizio del corso di specializzazione. Quanto al B., che aveva frequentato il corso di specializzazione negli anni dal 1989 al 1994 (secondo quanto riferito in ricorso) ha dichiarato prescritto il diritto al pagamento per il periodo anteriore al 24 ottobre 1991, avendo egli interrotto la prescrizione decennale per la prima volta con lettera raccomandata del 24.10.2001;

3. che la sentenza, impugnata con ricorso per cassazione dal B., è stata cassata con rinvio da questa Corte per un riesame della vicenda sulla base del seguente principio secondo il quale “A seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991. La lacuna è stata parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa Europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria cominciava a decorrere dal 21 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11 (Cass. civ. Sez. 3, 17 maggio 2911 n. 10813, n. 10814, n. 10815 e n. 10816 a cui si è uniformata pressochè tutta la giurisprudenza successiva)” (Cass. n. 829 del 2015);

4. che la Corte di appello di Genova, quale giudice del rinvio, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero del lavoro, in solido tra loro, a corrispondere al B. l’emolumento riconosciuto con la sentenza n. 622/2010 della Corte di appello di Genova, anche per i primi due anni di frequenza del corso di specialità con gli accessori, come riconosciuti nella suddetta sentenza;

5. che per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero del lavoro, sulla base di tre motivi; la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo le Amministrazioni ricorrenti, deducendo violazione degli artt. 345 e 394 c.p.c., censurano la statuizione di condanna agli accessori sull’emolumento di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, riconosciuto in relazione ai primi due anni di frequenza del corso di specialità, per essere la relativa domanda stata formulata solo nell’ambito del giudizio di rinvio;

2. che con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 324,394 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., censurano la sentenza impugnata in quanto pronunziata in violazione del giudicato implicito formatosi sulla (mancata) domanda relativa agli accessori sull’emolumento di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6;

3. che con il terzo motivo deducendo, sotto ulteriore profilo, violazione dell’art. 324 c.p.c., art. 394 c.p.c. e art. 2909 c.c., evidenziano che la sentenza della Corte di appello di Genova poi cassata non faceva alcun riferimento agli accessori e si dolgono dell’improprio ampliamento del giudizio di rinvio in violazione del giudicato formatosi con la sentenza della Corte di appello di Genova n. 622 del 2010;

4. che i motivi, esaminati congiuntamente stante la reciproca connessione, sono inammissibili.

4.1. che la sentenza qui impugnata, disattesa la richiesta delle parti appellate di riconoscere al B. l’indennizzo richiesto nella misura dettata dalla L. n. 370 del 1999, art. 11, premesso che la Corte di appello, con la sentenza cassata in esito a impugnazione del solo B., aveva affermato che a questi come agli altri medici spettava a titolo di risarcimento del danno per la mancata applicazione tempestiva delle Direttive comunitarie l’importo stabilito dal D.Lgs. n. 257 del 1991, che la sentenza rescindente aveva chiarito che il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale coincideva con quello della data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, ha riconosciuto il diritto del B. all’emolumento in oggetto anche per i primi due anni di frequenza del corso di specializzazione. In relazione allo specifico profilo del diritto agli accessori la parte dispositiva della decisione così si è espressa: “… condanna…., in solido tra loro, a corrispondere a B.M. l’emolumento riconosciuto nella sentenza di questa Corte d’appello n. 622 del 21/4/2010 anche per i primi due anni di frequenza del corso, con gli accessori come riconosciuti nella suddetta sentenza”; nella parte motiva, il giudice del rinvio, dopo aver dato atto del giudicato formatosi sul parametro al quale commisurare il risarcimento dovuto al B. e dopo avere affermato che la condanna pronunziata dal Tribunale (rectius Corte di appello, ndr, in quanto il Tribunale, secondo lo stesso storico di lite della sentenza impugnata aveva integralmente respinto le domande dei medici) andava estesa anche relativamente ai primi due anni di frequenza del corso di specialità, ha soggiunto ” Per le ragioni ora esposte non è possibile a questo Giudice rivedere la pronunzia della Corte di appello neppure relativamente agli accessori in quanto anche su tale questione si è formato il giudicato”. Dalla interpretazione complessiva della sentenza impugnata risultante dall’esame congiunto della parte motiva e del dispositivo sembra, quindi, evincersi che la Corte di merito abbia statuito sugli accessori nel rispetto del precedente giudicato sul punto formatosi in base alla sentenza n. 366/2010 poi cassata;

4.2. che la differente ricostruzione del decisum alla base delle censure articolate dagli odierni ricorrenti non è sorretta, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, dall’adeguata esposizione dei fatti di causa e dalla trascrizione del contenuto degli atti rilevanti. In particolare, come chiarito da questa Corte in relazione al requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (cfr., tra le altre, Cass. n. 14107 del 2017);

4.3. che con riferimento alla ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, ipotesi alla quale sono in concreto riconducibili i motivi in esame (nonostante la formale configurazione in rubrica come violazione e falsa applicazione di norme di diritto), in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. tra le altre, Cass. n. 12664 del 2012); pertanto, allorquando si denunzia una violazione o falsa applicazione di norme processuali, la parte ricorrente è onerata ad indicare gli elementi fattuali condizionanti l’ambito di operatività di detta violazione, con la conseguenza che ove si asserisca la mancata valutazione di atti documentali è necessario procedere alla trascrizione integrale dei medesimi o del loro essenziale contenuto al fine di consentire il controllo della decisività delle operate deduzioni unicamente sulla base del solo ricorso (o del controricorso), senza che la Corte di legittimità possa ricorrere ad ulteriori indagini integrative. (Cass. n. 4840 del 2006);

4.4. che parte ricorrente non ha soddisfatto i requisiti prescritti dalla condivisibile giurisprudenza richiamata al fine della valida censura della decisione; in particolare, non ha proceduto alla compiuta esposizione della vicenda processuale con riferimento alla questione degli accessori sulle somme rivendicate dall’odierno intimato; non ha trascritto il contenuto degli atti rilevanti, e cioè il ricorso di primo grado e il ricorso in appello, nonchè la sentenza di appello poi cassata, onde consentire, alla stregua di un’interpretazione complessiva degli stessi, e non delle sole conclusioni formulate nel giudizio di appello, o del dispositivo della sentenza cassata, di verificare le dedotte violazioni del dictum della sentenza rescindente, del giudicato e del divieto di novum a fronte di una sentenza – quella adottata nel giudizio di rinvio – che appare formalmente rispettosa dei limiti del giudicato in tema di accessori;

5. che tanto conduce alla declaratoria di inammissibilità del ricorso;

6. che non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

7. che è escluso il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da parte delle Amministrazioni ricorrenti in quanto parti istituzionalmente esonerate per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. S.U. n. 9938 del 2014, Cass. n. 5955 del 2014).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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