Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.140 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piegiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6754-2020 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARANTO N. 90, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO NATALE VINCI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MARIANI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Questura di Lecce;

PREFETTO DELLA PROVINCIA DI LECCE;

– intimati –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di LECCE, depositata il 30/01/2020 R.G.N. 249/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/09/2020 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

RILEVATO

CHE:

1. Con ordinanza n. 56 del 2020, il giudice di Pace di Lecce ha rigettato l’opposizione presentata da D.A., cittadino marocchino, avverso il decreto di espulsione adottato dal Prefetto di Lecce in data 9.12.2019;

2. il giudice di pace ha ritenuto che: a) il decreto di espulsione era stato emesso poichè il ricorrente era già stato attinto da provvedimento emesso dal Questore di Lecce in data 17.7.2019 (notificato in data 13.11.2019) di rifiuto del permesso di soggiorno nonchè per precedenti a suo carico per stupefacenti ed insolvenza fraudolenta; b) le eccezioni sollevate dal ricorrente andavano respinte dovendosi ritenere, per facta concludentia, che il ricorrente stesso – avendo proposto articolato ricorso giudiziale conoscesse i motivi di espulsione, con conseguente insussistenza di vizi di forma e di sostanza;

3. il provvedimento è stato impugnato da D.A. con ricorso per cassazione, affidato a un articolato motivo;

4. l’amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO

CHE:

1. con l’unico motivo si deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13 e art. 19, comma 2, L. n. 241 del 1990, art. 3 avendo, la Questura, rigettato la richiesta di rilascio di carta di soggiorno sull’errato presupposto della mancanza di convivenza tra il ricorrente ed il coniuge, cittadina italiana, nonchè sussistendo vizi formali del decreto di espulsione, sottoscritto da soggetto non abilitato, in assenza di delega, e a fronte di consegna di atto privo di attestazione di conformità; infine, si rileva che il provvedimento adottato dal giudice di pace è privo di motivazione, rinviando semplicemente ai motivi di ricorso, peraltro nemmeno illustrati;

2. preliminarmente all’esame dei motivi, va rilevato che il ricorso è fornito – ai sensi dell’art. 365 c.p.c. – di valida procura alle liti (ancorchè rilasciata su un foglio materialmente congiunto al ricorso), nell’ambito della quale sono indicati sia la data di adozione del provvedimento giudiziale impugnato sia la data di deposito (rispettivamente, 29.1.2020 e 30.1.2020; cfr., in tema, da ultimo, Cass. n. 15211 del 2020); deve, pertanto, ritenersi una mera svista materiale l’apposizione – in calce alla procura – di data antecedente (11.12.2019);

3. il motivo di ricorso è fondato, con particolare riferimento alla doglianza relativa all’assoluta carenza di motivazione del provvedimento impugnato;

4. invero, questa Corte di legittimità ha affermato con costante indirizzo, che in tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione che non costituisce espressione di un autonomo percorso argomentativo esaustivo e coerente, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (cfr, tra le altre: Cass. n. 20883 del 2019; Cass. n. 28139 del 2018; Cass. n. 27112 del 2018);

5. deve, inoltre, più in generale, ritenersi principio immanente all’ordinamento giuridico la necessità, a pena di invalidità, dell’adozione di una motivazione dei provvedimenti della pubblica amministrazione, soprattutto dopo che la L. n. 241 del 1990 ha espressamente introdotto il “principio del giusto procedimento”, non potendosi ormai nutrirsi dubbi sulla generale operatività del diritto di difesa, anche nei rapporti con la pubblica amministrazione;

6. il suddetto principio, infatti, comporta che la determinazione del pubblico interesse si debba realizzare grazie ad una attività della pubblica amministrazione improntata, in primo luogo, alla trasparenza nell’istruttoria amministrativa, affinchè il destinatario del provvedimento comprenda l’iter decisionale seguito dalla pubblica amministrazione, anche grazie alla relativa motivazione che, per i provvedimenti amministrativi a carattere discrezionale (tanto più se dotati di indubbia lesività per le situazioni giuridiche del soggetto che ne è destinatario), ha un ruolo fondamentale poichè consente al giudice di comprendere il procedimento logico seguito dall’autorità amministrativa e verificare la legittimità dell’atto (cfr. con riguardo alla motivazione dei provvedimenti di espulsione quale condizione fattuale e giuridica per il valido esercizio della potestà espulsiva., Cass. n. 19447 del 2007);

7. la Corte costituzionale, nella sentenza n. 310 del 2010, ha affermato con forza che attraverso la motivazione – “strumento volto ad esternare le ragioni e il procedimento logico seguiti dall’autorità amministrativa” – si realizza l’esigenza di conoscibilità dell’azione amministrativa, che è intrinseca ai principi di buon andamento e d’imparzialità, ed ha, inoltre, ribadito che, ai principi di pubblicità e di trasparenza dell’azione amministrativa “va riconosciuto il valore di principi generali, diretti ad attuare sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost., comma 1), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti della stesse amministrazione (artt. 24 e 113 Cost.; sul principio di pubblicità, sentenza n. 104 del 2006, punto 3.2 del Considerato in diritto)”;

8. la pubblica amministrazione deve adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali nonchè esternare le ragioni giustificatrici delle proprie scelte, in applicazione dei criteri generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., sicchè, laddove tale regola non venga rispettata, è configurabile un inadempimento contrattuale anche suscettibile di produrre danno risarcibile dinanzi al giudice ordinario (cfr., con riguardo al conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito del pubblico impiego c.d. privatizzato, Cass. n. 2603 del 2018, Cass. n. 11595 del 2016, Cass. n. 18972 del 2015, Cass. Sez.U. n. 21671 del 2013; con riguardo alle procedure concorsuali ed alle progressioni in carriera, Cass. n. 24984 del 2016, Cass. n. 280 del 2016, Cass. n. 3415 del 2012, Cass. n. 5119 del 2010; con riguardo alla risoluzione del rapporto per anzianità massima contributiva, Cass. n. 24583 del 2017);

9. ebbene, nel caso di specie, il provvedimento del giudice di pace non contiene nessuna menzione delle ragioni, in fatto e in diritto, sulle quali il giudice ha fondato il suo convincimento, nè può ritenersi che siano richiamate per relationem le ragioni esposte dall’opponente ove si richiama “l’articolato ricorso”, dal quale – del tutto apoditticamente – il giudice desume “la perfetta conoscenza da parte del ricorrente dei motivi di espulsione” (cfr. con riguardo ai provvedimenti giudiziali in materia di espulsioni invalidi per carenza assoluta di motivazione, Cass. n. 23456 del 2016);

10. in particolare, risulta omessa, dal giudice di pace, la disamina relativa alle condizioni fattuali da valutare D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 13, comma 2 bis, nonostante l’opposizione al provvedimento espulsivo sia un giudizio sul rapporto che deve essere svolto con accertamento di tutti i fatti costituitivi ed impeditivi dell’esercizio (vincolato) della potestà espulsiva da parte dell’autorità amministrativa;

11. il giudice di pace era, dunque, tenuto ad esaminare le allegazioni e il contributo probatorio offerto dalla parte ricorrente, e a fornire adeguata motivazione alla decisione assunta, al fine di operare il bilanciamento di interessi tra ragioni di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato (“precedenti a suo carico per stupefacenti ed insolvenza fraudolenta”) e applicabilità del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis (“si tiene conto della natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonchè dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese di origine”, fattori che operano, secondo principi già affermati da questa Corte, anche fuori dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, cfr. Cass. n. 1665 del 2019);

12. il ricorso va, pertanto, accolto nei termini di cui in motivazione, assorbite le ulteriori doglianze; la pronuncia impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice di pace di Lecce in diversa persona, perchè alla luce delle allegazioni e prove fornite dalla parte valuti la sussistenza di condizioni ostative alla disposta espulsione amministrativa del ricorrente;

13. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, cassa il provvedimento e rinvia al giudice di pace di Lecce in diversa persona; condanna l’amministrazione intimata alle spese processuali, liquidate in Euro 1.500,00 per compensi oltre 100,00 di esborsi per il primo grado, e in Euro 2.000,00 per compensi, oltre 200,00 per esborsi per il giudizio di cassazione, oltre spese forfetarie al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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