Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.16742 del 14/06/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28339-2018 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASILINA VECCHIA 27, presso lo studio dell’avvocato ANNA TECCE, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE MARTONE;

– ricorrente –

contro

V.S., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO ROCCAFORTE;

– controricorrente –

e contro

S.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1473/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/01/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso.

FATTI DI CAUSA

V.G. adì nel 2013 il Tribunale di Roma, chiedendo la risoluzione del contratto di comodato stipulato nel 2008, in favore della figlia V.S. e del genero S.A. e avente ad oggetto un immobile sito in Roma, nonchè la condanna degli occupanti al rilascio.

In particolare, con ricorso ex art. 447-bis c.p.c., il V. dedusse di essere conduttore dal 1973 e proprietario dal 10 dicembre 1993, di un fondo rustico in agro di Roma e annesso fabbricato, costituito da due piani, ove aveva fissato la propria residenza. Aggiunse che nell’anno 2008, riservando per sè il piano superiore, aveva concesso in comodato alla figlia V.S., che vi si era trasferita con il nucleo familiare, costituito dal marito S.A. e dai figli E. e A., i vani del piano terra, in quanto la stessa era priva di sistemazione abitativa. Lamentò che i predetti gli avrebbero reiteratamente impedito l’utilizzo del primo piano dello stabile e relative pertinenze, tra l’altro, sostituendo la serratura della porta di ingresso dell’edificio senza consegnargli una copia della chiave. Rappresentò che, con raccomandata del 20 novembre 2011, aveva intimato alla figlia la cessazione del comodato, chiedendo la restituzione dell’immobile, ed aveva instaurato, successivamente, un giudizio possessorio.

I resistenti si costituirono sostenendo che il ricorrente non si era mai curato del fondo e non aveva abitato l’immobile, mentre V.S., dal 1994, aveva avuto la disponibilità del compendio immobiliare che era stato occupato dal proprio nucleo familiare a partire dall’anno 2000. Spiegarono domanda riconvenzionale per sentir accertare che essi esercitavano legittimamente il possesso dell’immobile a partire dal 1994 o, al più tardi, dal 2000.

Il Tribunale di Roma accolse la domanda di V.G., dichiarando risolto il contratto di comodato per recesso del comodante; conseguentemente, ordinò il rilascio dell’immobile e rigettò la domanda riconvenzionaie proposta dai resistenti.

V.S. e S.A. impugnarono la sentenza innanzi alla Corte di appello di Roma.

Si costituì in quel grado l’attore, contestando i motivi di gravame.

La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 1473/2018, accolse l’appello, rigettando, per l’effetto, le domande proposte da V.G.; dichiarò inammissibile, in quanto formulata per la prima volta in appello, la domanda proposta dagli appellanti di usucapione del compendio immobiliare; rigettò, altresì, la domanda riconvenzionale di questi ultimi; dispose la restituzione in favore degli appellanti dell’intero compendio immobiliare oggetto di causa.

Avverso tale sentenza V.G. ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso V.S..

L’intimato S.A. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il P.M. ha anticipato per iscritto le sue conclusioni chiedendo l’accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri.

Prima della fissata pubblica udienza V.S. ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: “Sanatoria (e conseguente validità) del contratto di comodato, errata applicazione dell’art. 1418 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa applicazione degli artt. 1803,1804,1809 e 1810 c.c. degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Nonchè motivazione viziata da illogicità e contraddittorietà”.

Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che il contratto di comodato da lui stipulato con la figlia S. fosse nullo ai sensi della L. n. 311 del 2004, in quanto tardivamente registrato, ritenendo che non potesse operare la sanatoria per effetto della registrazione avvenuta solo in data 11 gennaio 2018, in data successiva all’asserita risoluzione del contratto che – secondo lo stesso V.G. – sarebbe cessato il 31 dicembre 2011 (con raccomandata AR del 15-20 novembre 2011, lo stesso aveva comunicato il processo dal comodato a V.S., diffidandola alla restituzione del bene in uso entro il 31 dicembre 2011).

Ad avviso del V., la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 1418 c.c., dovendo ritenersi il contratto di comodato sanato ex tunc per effetto della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, da interpretare nel senso che la nullità del contratto non registrato deve intendersi sanata per effetto della registrazione tardiva dello stesso, conformemente all’orientamento della giurisprudenza di legittimità al riguardo.

Inoltre, secondo V.G., la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere incombente su di lui l’onere di dimostrare di essere proprietario del bene, posto che il comodante che agisca per la restituzione della cosa non avrebbe l’onere di provare il diritto di proprietà, essendo sufficiente la disponibilità materiale della cosa stessa e che l’eventuale contestazione, da parte del convenuto, in ordine alla proprietà del bene oggetto della lite non determinerebbe la trasformazione in azione petitoria dell’azione personale da lui intentata.

Sostiene il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale avrebbe qualificato l’azione da lui proposta quale azione di rivendicazione e non di risoluzione del comodato, avendo agito quale proprietario del bene di cui aveva perso il possesso, in quanto egli, possessore del bene, aveva sempre curato la conduzione del fondo rustico e dell’annesso fabbricato.

2. Va anzitutto evidenziato che alla luce di quanto espressamente dedotto dal ricorrente a p. 4 del ricorso, il V. ha censurato efficacemente e fondatamente la qualificazione, operata dalla Corte di merito, dell’azione proposta dal V. come azione di rivendicazione, in relazione al bene concesso in comodato.

In particolare, secondo la Corte di merito, “L’azione proposta, in quanto tendente al conseguimento della disponibilità del bene (intero fabbricato e fondo esterno) occupato da soggetti terzi che non possono vantare un legittimo titolo per l’occupazione (stante la nullità del contratto di comodato), va qualificata di rivendica avendo il V. agito assumendo di essere proprietario del bene del quale aveva perso il possesso. Gravava, quindi, sul predetto l’onere di dimostrare il titolo di proprietà. Prova, che al contrario, non può ritenersi raggiunta per le motivazioni di cui sopra. Conseguentemente la domanda di rivendica volta a conseguire il rilascio dell’immobile non può essere accolta”.

Ed invero l’azione proposta con riferimento al bene concesso in comodato va qualificata come azione personale di restituzione, destinata ad ottenere l’adempimento dell’obbligazione di ritrasferire un bene in precedenza volontariamente trasmesso dall’attore al convenuto, in forza di negozi giuridici (tra i quali, appunto, il comodato, la locazione ed il deposito) che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario; da essa si distingue l’azione di rivendicazione, con la quale il proprietario chiede la condanna al rilascio o alla consegna nei confronti di chi dispone di fatto del bene nell’assenza anche originaria di ogni titolo, per il cui accoglimento è necessaria la probatio diabolica della titolarità del diritto di chi agisce (v. ex multis, Cass., ord., 10/10/2018, n. 25052).

Neppure può condividersi l’affermazione della Corte territoriale, specificamente censurata da ricorrente, in ordine alla nullità del contratto di comodato in questione per difetto di registrazione, ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, e di impossibilità della sua sanatoria a seguito di registrazione tardiva, in quanto intervenuta dopo la risoluzione del contratto di comodato stesso.

Al riguardo si osserva che secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che può ritenersi ormai consolidato, va riconosciuto effetto sanante alla registrazione tardiva del contratto di costituzione di un diritto personale di godimento di un immobile e tale effetto sanante ne efficacia retroattiva, il che consente di stabilizzare definitivamente gli effetti del contratto (v., in tema di locazione sia ad uso abitativo che ad uso diverso, Cass., sez. un., 9/10/2017, n. 23601 e, in tema di locazione non abitativa, Cass., sez. un., 17/09/2015, n. 18213 e successive conformi), atteso che il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” è coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullità (funzionale) “per inadempimento” all’obbligo di registrazione. E tali principi ben possono essere applicati nel caso all’esame nè risulta ostativa la circostanza che la registrazione tardiva sia stata effettuata successivamente alla data di asserita (dal ricorrente) risoluzione del contatto in questione.

3. L’esame dei motivi secondo e terzo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo.

4. Conclusivamente, va acoclto il primo motivo del ricorso, assorbiti il secondo e terzo; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

5. Stante l’accoglimento del ricorso, sia pure nei limiti sopra indicati, va dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contr buto unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo e il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2021

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