Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.170 del 08/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11062-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PILO ALBERTELLI 1, presso lo studio dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE, rappresentata e difesa dall’avvocato ENRICO FORGHIERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4072/15/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 11/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano indicata in epigrafe che ha rigettato l’appello proposto dall’ufficio avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto l’illegittimità dell’avviso di accertamento relativo alla ripresa a tassazione di vari tributi per gli anni 2008 e 2009, ritenendo la effettività della residenza stabilita da F.B., cantante lirica, presso il Principato di Monaco e la conseguente insussistenza di legame economico della cantante stessa con l’Italia.

Secondo la CTR gli elementi offerti dalla contribuente avevano superato quelli indicate dall’Ufficio a sostegno della residenza in Italia, dimostrando l’effettiva residenza nel Principato di Monaco ove la stessa si era coniugata ed abitava in un immobile con attiguo studio. Era dunque stata dimostrata la fissazione in Monaco del centro principale dei propri interessi ed affetti da parte della F., anche in relazione a vari indici – assistenza sanitaria, abbonamento allo stadio – non apparendo invece decisivi nè l’esistenza di immobili in Italia, abitati da congiunti della contribuente, nè la permanenza della figlia presso i nonni, ai quali la minore era affidata. Peraltro, anche la permanenza in Italia era risultata sporadica, in relazione ai viaggi aerei effettuati sull’Aeroporto di Malpensa.

La parte intimata si è costituita con controricorso.

L’Agenzia delle Entrate ha dedotto la violazione dell’art. 2 TUIR, comma 2 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo l’insufficienza degli elementi di fatto addotti dalla contribuente al fine della dimostrazione della effettiva residenza nel Principato di Monaco, territorio a regime fiscale privilegiato.

Il motivo è inammissibile.

Premesso che nella vigenza dell’originario testo dell’art. 2 TUIR, comma 2 bis, (introdotto dalla Legge finanziaria 1999) si considerano residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato e dunque, per effetto della presunzione legale relativa di residenza in Italia, è il contribuente, apparentemente emigrato verso Stati o territori indicati, a dover dimostrare di aver reciso ogni rapporto significativo con il territorio dello Stato italiano, operando il principio dell’unicità del domicilio di cui all’art. 43 c.c., va evidenziato che la censura prospetta, sotto il profilo della violazione di legge, censure incidenti sulle valutazioni di merito operate dal giudice di merito.

Ed invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea cognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (ex plurimis, Cass. n. 24054 del 2017).

In particolare, il discrimen tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 14468 del 2015, nonchè la già richiamata Cass. n. 24054 del 2017).

Orbene, nel caso di specie l’Agenzia mira, in realtà, ad ottenere un’inammissibile revisio prioris instantiae, richiedendo al giudice di legittimità una diversa valutazione di merito (che avrebbe potuto esser fatta valere ai sensi dell’art. 360, n. 5 nei limiti consentiti dalla formulazione temporalmente applicabile).

La censura prospettata dall’Agenzia come verifica nell’ambito del vizio di violazione di legge tende in realtà a porre in discussione l’operato del giudice di merito in ordine alla valutazione di una serie di elementi presuntivi indicati (acquisto di immobili in Italia, richiesta di talune autorizzazioni amministrative, permanenza in Italia della figlia minore) asseritamente disconosciuti dalla CTR, inammissibilmente sollecitando a questa Corte una diversa valutazione dell’iter decisorio del giudice di secondo grado, senza considerare che spetta appunto al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (sul punto, fra le altre, Cass. n. 19547 del 2017 e, proprio con riferimento ad altra vicenda intercorso fra le stesse parti, Cass. n. 23503/2018).

Sulla base di tali argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in favore della parte controricorrente in Euro 30.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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