LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8503/2015 proposto da:
L.G., e D.L.O., domiciliati ope legis in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO RICCARDI;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI SAN GIORGIO A CREMANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ACIREALE 19b, presso lo studio dell’avvocato MICHELA PALUMBO, rappresentato e difeso dagli avvocati ADELE CARLINO, e LUCIA CICATIELLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1325/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/03/2014 R.G.N. 7685/2010;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/09/2020 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.
RILEVATO
Che:
1. la Corte d’Appello di Napoli ha respinto l’appello proposto da L.G. e D.L.O., agenti di Polizia Municipale del Comune di San Giorgio a Cremano, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso volto ad ottenere l’accertamento del loro diritto alla fornitura dei capi di vestiario da indossare in servizio e la condanna del Comune al pagamento dell’indennità sostitutiva, parametrata al valore dell’acquisto delle divise, oltre al risarcimento dei danni all’immagine ed alla dignità personale e professionale, da liquidare in via equitativa;
2. la Corte territoriale ha premesso in fatto che il Comune, in realtà, aveva provveduto a fornire le uniformi, estive e invernali, ma la fornitura era avvenuta con un anno di ritardo rispetto alla data prevista per la sostituzione;
3. ha rilevato che dall’inadempimento del Comune non poteva discendere in via automatica il diritto degli appellanti al pagamento dell’indennità sostitutiva rivendicata, non prevista dalla contrattazione collettiva, da norme di legge o da atti deliberativi, sicchè i ricorrenti avrebbero potuto solo richiedere il rimborso della spesa sostenuta, nell’ipotesi in cui avessero provveduto all’acquisto, e il risarcimento del danno che, però, doveva essere allegato e provato dai dipendenti dell’ente, i quali nella specie non avevano assolto all’onere sugli stessi gravante;
4. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso L.G. e D.L.O. sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, ai quali ha opposto difese il Comune di San Giorgio a Cremano.
CONSIDERATO
Che:
1. con il primo motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti deducono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullità conseguente alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e addebitano alla Corte territoriale di avere pronunciato su una domanda diversa da quella proposta perchè, stante l’inadempimento del Comune, erano stati richiesti il pagamento dell’indennità sostitutiva della fornitura dei capi di vestiario ed il risarcimento del danno, non già il rimborso delle spese di acquisto delle uniformi;
2. la seconda censura, ricondotta al vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1173,1218 e 1223 c.c. e fa leva sull’inadempimento del Comune, integrante un illecito, per sostenere che doveva essere riconosciuto il diritto degli appellanti al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, danno da parametrare al valore di mercato della divisa non tempestivamente sostituita;
3. il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. e addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto non provato il danno che, al contrario, poteva essere liquidato con valutazione equitativa, assumendo come parametro la spesa che gli agenti avrebbero dovuto sostenere per l’acquisto;
3.1. aggiungono che l’inadempimento del Comune li aveva costretti ad indossare una divisa “già vecchia” e, pertanto, il danno non patrimoniale era da ritenere in re ipsa;
4. infine con la quarta critica i ricorrenti, lamentando la violazione dell’art. 91 c.p.c., sostengono che, in ragione della fondatezza della domanda, il Comune avrebbe dovuto sopportare integralmente le spese di lite;
5. il ricorso deve essere rigettato per le ragioni già indicate da questa Corte con l’ordinanza n. 21986/2018 pronunciata in fattispecie esattamente sovrapponibile a quella che oggi viene in rilievo;
6. il primo motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata che, come evidenziato nello storico di lite, ha inteso la domanda proprio nei termini indicati nel ricorso, ed ha poi svolto considerazioni sull’infondatezza della stessa, argomentando sia sulla natura non retributiva dell’indennità rivendicata, sia sull’insussistenza, in concreto, di un danno risarcibile;
6.1. il rigetto dell’appello non si riferisce, come sostengono i ricorrenti, ad una domanda di rimborso mai formulata, sicchè non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè il richiamo alla spesa mai sostenuta attiene alle ragioni per le quali la pretesa risarcitoria è stata ritenuta non meritevole di accoglimento;
7. il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono infondati alla luce della giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche dagli stessi ricorrenti, che ha ravvisato nella mancata fornitura della massa vestiaria un inadempimento contrattuale che legittima l’azione risarcitoria, ma a condizione che il lavoratore alleghi e dimostri di avere subito un pregiudizio economico, qual è l’usura di abiti propri (Cass. n. 4100/1995), o di avere dovuto sopportare un costo per l’acquisto dei beni non forniti dal datore (Cass. n. 23897/2008);
7.1. alla mancata prova del danno non può sopperire la valutazione equitativa, perchè l’esercizio del potere discrezionale conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili ma risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicchè resta fermo l’onere della parte di dimostrare l’an debeatur del risarcimento (Cass. n. 20889/2016) onere che la Corte territoriale, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, ha ritenuto non assolto nella fattispecie;
7.2. il danno all’immagine per la mancata tempestiva sostituzione delle divise non può essere ritenuto in re ipsa perchè al contrario, al pari di ogni altra voce di danno, deve essere allegato e provato da chi ne pretende il risarcimento, in quanto non coincide con l’inadempimento ma è una conseguenza dello stesso (Cass. n. 31537/2018);
8. il quarto motivo è inammissibile perchè il giudice del merito ha correttamente liquidato le spese in ragione della soccombenza e la censura formulata, seppure riferita al capo della decisione relativo al regolamento delle spese, denuncia un vizio della sentenza che non attiene al capo impugnato, bensì alle statuizioni sulla fondatezza della domanda;
9. al rigetto del ricorso non può conseguire la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità perchè il Comune di San Giorgio a Cremano ha notificato il controricorso una volta spirato il termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso fissato dal combinato disposto degli artt. 370 e 369 c.p.c. (il ricorso è stato notificato il 18 marzo 2015 ed il controricorso è stato notificato il 26 giugno 2015) e pertanto dell’atto inammissibile non si può tenere conto ai fini della liquidazione delle spese;
10. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021
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