Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.184 del 11/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8517/2015 proposto da:

T.A., domiciliata ope legis in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO RICCARDI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SAN GIORGIO A CREMANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ACIREALE 19b, presso lo studio dell’avvocato MICHELA PALUMBO, rappresentato e difeso dagli avvocati ADELE CARLINO, LUCIA CICATIELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6373/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/10/2014 R.G.N. 8736/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/09/2020 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.

RILEVATO

Che:

1. la Corte d’Appello di Napoli ha respinto l’appello proposto da T.A., agente di Polizia Municipale del Comune di San Giorgio a Cremano, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso volto ad ottenere l’accertamento del suo diritto alla fornitura dei capi di vestiario da indossare in servizio e la condanna del Comune al pagamento dell’indennità sostitutiva parametrata al valore dell’acquisto delle divise, oltre al risarcimento dei danni all’immagine ed alla dignità personale e professionale, da liquidare in via equitativa;

2. la Corte territoriale ha premesso in fatto che il Comune, in realtà, aveva provveduto a fornire le uniformi, estive e invernali, ma la fornitura era avvenuta con un anno di ritardo rispetto alla data prevista per la sostituzione;

3. ha rilevato che dall’inadempimento del Comune non poteva discendere in via automatica il diritto dell’appellante al pagamento dell’indennità sostitutiva rivendicata, non prevista dalla contrattazione collettiva, da norme di legge o da atti deliberativi, sicchè la ricorrente avrebbe potuto solo richiedere il rimborso della spesa sostenuta, nell’ipotesi in cui avesse provveduto all’acquisto, o il risarcimento del danno che, però, doveva essere allegato e provato dalla lavoratrice, la quale nella specie non aveva assolto all’onere sulla stessa gravante;

4. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso T.A. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, ai quali ha opposto difese il Comune di San Giorgio a Cremano.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente deduce che la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullità conseguente alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e addebita alla Corte territoriale di avere pronunciato su una domanda diversa da quella proposta perchè, stante l’inadempimento del Comune, erano stati richiesti il pagamento dell’indennità sostitutiva della fornitura dei capi di vestiario ed il risarcimento del danno, non già il rimborso delle spese di acquisto dell’uniforme;

2. la seconda censura, ricondotta al vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1173,1218 e 1223 c.c. e fa leva sull’inadempimento del Comune, integrante un illecito, per sostenere che doveva essere riconosciuto il diritto dell’appellante al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, danno da parametrare al valore di mercato della divisa non tempestivamente sostituita;

3. il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. e addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto non provato il danno che, al contrario, poteva essere liquidato con valutazione equitativa, assumendo come parametro la spesa che gli agenti avrebbero dovuto sostenere per l’acquisto;

3.1. aggiunge la ricorrente che l’inadempimento del Comune l’aveva costretta ad indossare una divisa “già vecchia” e, pertanto, il danno patrimoniale era da ritenere in re ipsa;

4. il ricorso deve essere rigettato per le ragioni già indicate da questa Corte con l’ordinanza n. 21986/2018, pronunciata in fattispecie esattamente sovrapponibile a quella che oggi viene in rilievo;

5. il primo motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata che, come evidenziato nello storico di lite, ha inteso la domanda proprio nei termini indicati nel ricorso, ed ha poi svolto considerazioni sull’infondatezza della stessa, argomentando sia sulla natura non retributiva dell’indennità rivendicata, sia sull’insussistenza, in concreto, di un danno risarcibile;

5.1. il rigetto dell’appello non si riferisce, come sostiene la ricorrente, ad una domanda di rimborso mai formulata, sicchè non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè il richiamo alla spesa mai sostenuta attiene alle ragioni per le quali la pretesa risarcitoria è stata ritenuta non meritevole di accoglimento;

6. il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono infondati alla luce della giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche dalla stessa ricorrente, che ha ravvisato nella mancata fornitura della massa vestiaria un inadempimento contrattuale che legittima l’azione risarcitoria, ma a condizione che il lavoratore alleghi e dimostri di avere subito un pregiudizio economico, qual è l’usura di abiti propri (Cass. n. 4100/1995), o di avere dovuto sopportare un costo per l’acquisto dei beni non forniti dal datore (Cass. n. 23897/2008);

6.1. alla mancata prova del danno non può sopperire la valutazione equitativa, perchè l’esercizio del potere discrezionale conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili e risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicchè resta fermo l’onere della parte di dimostrare l’an debeatur del risarcimento (Cass. n. 20889/2016) onere che la Corte territoriale, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, ha ritenuto non assolto nella fattispecie;

6.2. il danno all’immagine per la mancata tempestiva sostituzione delle divise non può essere ritenuto in re ipsa perchè al contrario, al pari di ogni altra voce di danno, deve essere allegato e provato da chi ne pretende il risarcimento, in quanto non coincide con l’inadempimento ma è una conseguenza dello stesso (Cass. n. 31537/2018);

7. al rigetto del ricorso non può conseguire la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità perchè il Comune di San Giorgio a Cremano ha notificato il controricorso una volta spirato il termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso fissato dal combinato disposto degli artt. 370 e 369 c.p.c. (il ricorso è stato notificato il 18 marzo 2015 ed il controricorso è stato notificato il 26 giugno 2015) e pertanto dell’atto inammissibile non si può tenere conto ai fini della liquidazione delle spese;

8. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021

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