LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5573/2015 proposto da:
P.A., V.T., PU.AN., M.M., tutti domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO RICCARDI;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI SAN GIORGIO A CREMANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ACIREALE 19b, presso lo studio dell’avvocato MICHELA PALUMBO, rappresentato e difeso dagli avvocati ADELE CARLINO, LUCIA CICATIELLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 561/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 12/02/2014 R.G.N. 3336/2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.
RILEVATO
Che:
1. Con sentenza in data 12 febbraio 2014 n. 561 la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto le domande proposte da P.A., PU.AN., V.T., M.M., A.G., Vigili Urbani in servizio presso il Comando di Polizia Municipale del COMUNE DI SAN GIORGIO A CREMANO, per l’accertamento del diritto alla fornitura dei capi di vestiario e per la condanna del COMUNE, rimasto inadempiente, al pagamento dell’indennità sostitutiva, parametrata al valore di acquisto dei capi di vestiario non forniti nonchè al risarcimento dei danni all’immagine ed alla dignità personale e professionale.
2. La Corte territoriale premetteva che il Comune aveva in realtà provveduto alla fornitura delle uniformi, sia pure in ritardo rispetto a quanto previsto (e precisamente la massa vestiaria invernale del biennio 2004/2005 nel novembre 2005 e la massa estiva del biennio 2006/2007 nel giugno 2008).
3. Osservava che, pur sussistendo l’obbligo del COMUNE di fornire la massa vestiaria, non poteva dirsi sussistere automaticamente il diritto alla indennità di vestiario in caso di mancata fornitura, indennità che non era prevista nè dalla legge nè dalla contrattazione collettiva nè da atti dell’ente datore di lavoro.
4. La medesima domanda neppure poteva essere accolta sotto il profilo dell’indebito arricchimento ottenuto dalla p.a. per avere il dipendente fatto fronte con i propri mezzi alla mancata fornitura, circostanza non provata e nemmeno allegata nè sussistendo gli altri presupposti della azione, ad iniziare dalla utilitas conseguita dalla amministrazione.
5. Per quanto atteneva alla domanda di risarcimento danni, come già ritenuto dal primo giudice, sussisteva totale difetto di allegazione e prova in ordine al nocumento subito dei ricorrenti per lo slittamento della fornitura.
6. Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza P.A., PU.AN., V.T., M.M., affidato a tre motivi, cui il Comune di San Giorgio a Cremano ha resistito con controricorso.
7. Le parti ricorrenti hanno depositato memoria; si dà atto che erroneamente nella memoria si indica tra le parti A.G., che non ha proposto ricorso.
CONSIDERATO
Che:
1. con il primo motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti deducono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullità conseguente alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e addebitano alla Corte territoriale di avere pronunciato su una domanda diversa da quella proposta perchè, stante l’inadempimento del Comune, erano stati richiesti il pagamento dell’indennità sostitutiva della fornitura dei capi di vestiario ed il risarcimento del danno, non già il rimborso delle spese di acquisto delle uniformi;
2. la seconda censura, ricondotta al vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1173,1218 e 1223 c.c. e fa leva sull’inadempimento del Comune, integrante un illecito, per sostenere che doveva essere riconosciuto il diritto degli appellanti al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, danno da parametrare al valore di mercato della divisa non tempestivamente sostituita;
3. Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. e addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto non provato il danno che, al contrario, poteva essere liquidato con valutazione equitativa, assumendo come parametro la spesa che gli agenti avrebbero dovuto sostenere per l’acquisto. I ricorrenti aggiungono che l’inadempimento del Comune li aveva costretti ad indossare una divisa “già vecchia” e, pertanto, il danno non patrimoniale era da ritenere in re ipsa.
4. Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni già indicate da questa Corte con l’ordinanza n. 21986/2018, pronunciata in fattispecie esattamente sovrapponibile a quella che oggi viene in rilievo.
5. Il primo motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata che, come evidenziato nello storico di lite, ha inteso la domanda proprio nei termini indicati nel ricorso, ed ha poi svolto considerazioni sull’infondatezza della stessa, argomentando sia sulla natura non retributiva dell’indennità rivendicata, sia sull’insussistenza, in concreto, di un danno risarcibile.
6. il rigetto dell’appello non si riferisce, come sostengono i ricorrenti, ad una domanda di rimborso mai formulata, sicchè non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè il richiamo alla spesa mai sostenuta attiene alle ragioni per le quali la pretesa risarcitoria è stata ritenuta non meritevole di accoglimento;
7. il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono infondati alla luce della giurisprudenza di questa Corte, richiamata dagli stessi ricorrenti, che ha ravvisato nella mancata fornitura della massa vestiaria un inadempimento contrattuale che legittima l’azione risarcitoria, ma a condizione che il lavoratore alleghi e dimostri di avere subito un pregiudizio economico, qual è l’usura di abiti propri (Cass. n. 4100/1995) o di avere dovuto sopportare un costo per l’acquisto dei beni non forniti dal datore (Cass. n. 23897/2008);
8. Alla mancata prova del danno non può sopperire la valutazione equitativa, perchè l’esercizio del potere discrezionale conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili ma risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicchè resta fermo l’onere della parte di dimostrare l’an debeatur del risarcimento (Cass. n. 20889/2016), onere che la Corte territoriale, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, ha ritenuto non assolto nella fattispecie;
9. Il danno all’immagine per la mancata tempestiva sostituzione delle divise non può essere ritenuto in re ipsa perchè al contrario, al pari di ogni altra voce di danno, deve essere allegato e provato da chi ne pretende il risarcimento, in quanto non coincide con l’inadempimento ma è una conseguenza dello stesso (Cass. n. 31537/2018);
10. al rigetto del ricorso non può conseguire la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità perchè il Comune di San Giorgio a Cremano ha notificato il controricorso una volta spirato il termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso fissato dal combinato disposto degli artt. 370 e 369 c.p.c. (il ricorso è stato notificato il 12 febbraio 2015 ed il controricorso è stato notificato il 29 maggio 2015); pertanto dell’atto inammissibile non si può tenere conto ai fini della liquidazione delle spese;
11. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021
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