LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14576/2015 proposto da:
M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO n. 14, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO DI CELMO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
A.S.L. – AZIENDA SANITARIA LOCALE NAPOLI *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA N. 63, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA SAVORELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato EMILIA BRACCO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8330/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/12/2014 R.G.N. 145/2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/09/2020 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.
RITENUTO
Che:
la Corte d’Appello di Napoli, riformando la sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato la domanda con la quale M.G., infermiere professionale inquadrato in categoria D presso la ASL Napoli *****, Unità operativa di salute mentale, aveva chiesto il riconoscimento del diritto all’indennità di coordinamento ai sensi dell’art. 10, comma 7, CCNL 2000/2001;
la Corte territoriale premetteva che il ricorso del M. appariva carente quanto ad allegazioni, non contenendo l’analitica descrizione delle attività svolte;
aggiungeva quindi che, secondo quanto ritenuto dalla Corte di Cassazione, il conferimento dell’incarico di coordinamento, per avere rilievo ai fini rivendicati, doveva avere traccia documentale;
la Corte di merito riteneva a tal fine non idonee le produzioni del ricorrente, in quanto nelle attestazioni del 2006 e del 2008 non vi era la descrizione delle mansioni di coordinamento svolte, sicchè non era possibile alcuna concreta valutazione giudiziale ed inoltre i due documenti – affermavano ancora i giudici di merito – erano tra loro contraddittori, perchè in quello del 2006 si faceva riferimento ad un’attività di “sostegno all’attività dei coordinatori”, mentre in quello del 2008 si attestava lo svolgimento del coordinamento fin dal 2001;
il M. ricorre per cassazione con due motivi, resistiti da controricorso della ASL.
CONSIDERATO
Che:
con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 414,421 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.;
egli, da un primo punto di vista, critica la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha affermato la genericità delle deduzioni in merito all’attività svolta, riportando i passaggi del ricorso di primo grado in cui tali allegazioni erano state svolte;
da altro punto di vista, nel contesto del medesimo motivo, il ricorrente trascrive il contenuto dei documenti sulla cui base la Corte territoriale aveva definito la controversia, ritenendo che essi non avrebbero consentito di affermare l’incompletezza e contraddittorietà del quadro probatorio, senza ammettere la prova testimoniale articolata in prime cure e richiesta nuovamente in sede di gravame, apprezzando quindi le prove documentali nella loro “sinergia probatoria”;
il motivo è nel suo complesso inammissibile;
la questione sulla genericità delle allegazioni è in sè stessa superflua, perchè la Corte di merito ha in realtà fondato la propria ratio decidendi sulla disamina dei riscontri documentali, peraltro giustamente, visto che il riconoscimento dell’indennità di coordinamento al personale sanitario inquadrato in categoria D presuppone, secondo la costante interpretazione fornita da questa Corte dell’art. 10, comma 3, del c.c.n.l. (il richiamo all’art. 10, comma 7, è in sè erroneo, in quanto esso riguarda chi era inquadrato in categoria C) che del conferimento dello specifico incarico o della sua verifica con atto formale, in sede di prima applicazione (che è quanto oggetto di questa causa, ove si richiede appunto la decorrenza dal 31.8.2001 rispetto ai presupposti a tal fine previsti), vi sia traccia documentale, sulla base di assegnazione proveniente da coloro che avevano il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente e che abbia ad oggetto le attività dei servizi di assegnazione nonchè del personale (Cass. 27 aprile 2010, n. 100009 e poi le successive Cass. 22 settembre 2015, n. 18679 e Cass. 28 maggio 2019, n. 14507);
quanto ai documenti, la Corte d’Appello ne ha fornito un’interpretazione – sopra riepilogata nello storico di lite – in sè non implausibile, che non può essere messa in discussione, in sede di legittimità, puramente e semplicemente, riguardando essa il merito dell’apprezzamento giudiziale;
d’altra parte, nel dolersi della mancata ammissione delle prove testimoniali, a dire del ricorrente utili a dirimere le incertezze che deriverebbero dai dati documentali, non è stato trascritto il contenuto dei relativi capitoli, sicchè il motivo si pone in contrasto con i presupposti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1 (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai nn. 3, 4 e 6 della stessa disposizione, da cui si desume la necessità che la narrativa e l’argomentazione siano idonee, riportando anche la trascrizione esplicita dei passaggi degli atti su cui le censure si fondano, a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente in tali atti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti (v. ora, sul punto, Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34469);
con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) sostenendo che la sentenza di appello si sarebbe fondata su una metodologia interpretativa illogica e del tutto contrastante con i criteri legali, anche alla luce della documentazione prodotta in atti;
egli aggiunge che l’art. 10 del CCNL 2000/2001 consentirebbe di attribuire l’indennità di coordinamento a prescindere da un atto formale di riconoscimento, stante la possibilità di provare altrimenti l’inadempimento della A.S.L.;
il motivo è inammissibile;
i profili di diritto in esso contenuti, oltre a contrastare, in punto di rilevanza dell’atto formale, con i principi consolidati presso questa Corte e sopra già richiamati, non possono essere introdotti con il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, che riguarda l’omesso esame di un fatto materiale decisivo;
omesso esame che non ricorre neanche rispetto ai profili valutativi riguardanti i documenti, rispetto ai quali, come si è già detto anche nel disattendere il primo motivo, il ricorrente propone un diverso apprezzamento di merito, che esula dal giudizio di legittimità, risultando peraltro la valutazione espressa non implausibile, in quanto volta a sottolineare elementi ben precisi di contraddittorietà tra i due atti esaminati;
alla reiezione del ricorso segue la regolazione delle spese di giudizio secondo soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021
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