Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.21648 del 28/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26758-2019 proposto da:

A.A.M., S.M., S.A., nella qualità di eredi del Sig. S.G., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA ALBERICO II 10, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SCORSONE, rappresentate e difese dall’avvocato GIUSEPPE NOVARA;

– ricorrente –

contro

C.R.C., B.G., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE SCARCELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1134/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 31/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 20/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

RILEVATO

che:

S.G. citò in giudizio, innanzi al Tribunale di Trapani, B.G. e C.R.C. lamentando che i convenuti, nella ristrutturazione del loro immobile, avevano invaso la sua proprietà, realizzando una scala di collegamento, un piccolo vano nel sottoscala, due botole ed un muro di delimitazione;

– il Tribunale accolse la domanda, che qualificò come actio negatoria servitutis;

– la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 31.6.2019, ritenne che l’attore avesse proposto un’azione di rivendica poiché aveva chiesto l’accertamento del diritto di proprietà sulla base del titolo e, in subordine per usucapione;

secondo la corte d’appello, la proprietà del bene non poteva essere provata unicamente attraverso il titolo di proprietà ma era necessaria la prova dei titoli d’acquisto dei propri danti causa, fino ad un atto di acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando di aver posseduto il bene nel termine previsto per il compimento dell’usucapione;

la corte, pur senza negare che l’area in questione risultasse compresa nell’oggetto del contratto di acquisto del 1974, affermò quindi che l’attore non aveva provato di averla posseduta dopo averla acquistata nel 1974;

– hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi di S.G. sulla base di due motivi:

hanno resistito con controricorso B.G. e C.R.C.;

il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., di manifesta infondatezza del ricorso.

RITENUTO

che:

– con il primo motivo di ricorso, si censura la qualificazione giuridica della domanda, qualificata come azione di rivendica e non come actio negatoria servitutis e del conseguente regime probatorio applicato in relazione alla prova della proprietà; afferma l’attore che la domanda era volta non ad ottenere non la restituzione dell’area – sulla quale i convenuti avevano realizzato una scala di collegamento, un piccolo vano nel sottoscala, due botole ed il muro di delimitazione – ma alla rimozione delle opere illegittimamente realizzate sui terreni di sua proprietà sicché l’accertamento della proprietà sarebbe funzionale alla prova della sua legittimazione ad agire; tale prova sarebbe stata fornita con la produzione del titolo di proprietà;

– il motivo non è fondato;

– va in primo luogo precisato che l’interpretazione della domanda spetta al giudice di merito e non è censurabile in cassazione con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 (Cass. 31546/19);

come ripetutamente affermato da questa Corte, l’azione “negatoria servitutis” e quella di rivendica si differenziano in quanto l’attore, con la prima, si propone quale proprietario e possessore del fondo, chiedendone il riconoscimento della libertà contro qualsiasi pretesa di terzi; con la seconda, si afferma proprietario della cosa di cui non ha il possesso, agendo contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo diritto, la restituzione. Pertanto, sotto il profilo probatorio, nel primo caso egli deve dimostrare, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido; allorché, invece, agisca in rivendica, deve fornire la piena prova della proprietà, dimostrando il suo titolo di acquisto e quello dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario (Cassazione civile sez. II, 11/01/2017, n. 472);

– l’azione di condanna al rilascio di un fondo esercitata dall’attore in base all’esistenza di un proprio titolo di proprietà e all’assenza, per contro, di qualsivoglia titolo che giustifichi il possesso o la detenzione del medesimo bene da parte del convenuto, va qualificata come azione di rivendica, ai sensi dell’art. 948 c.c. (Cassazione civile sez. IL 12/11/2015, n. 23121).

anche in caso di azione di accertamento della proprietà o comproprietà di un bene, volta ad eliminare uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto esercitato sullo stesso, l’attore è tenuto, al pari che per l’azione di rivendicazione ex art. 948 c.c., alla “probatio diabolica” della titolarità del proprio diritto, trattandosi di onere da assolvere ogni volta che sia proposta un’azione, inclusa quella di accertamento, che si fonda sul diritto di proprietà tutelato “erga omnes” (Cass. Civ. Sezioni Unite del 28/03/2014, n. 7305, Cassazione civile sez. II, 18/01/2017, n. 1210);

non e’, invero, consentita alcuna elusione dall’onere della probatio diabolica ogni qual volta sia proposta un’azione, quale appare pure quella di accertamento, che trovi il proprio fondamento comunque nel diritto di proprietà, tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione;

nel caso di specie, l’attore aveva chiesto l’accertamento del suo diritto di proprietà e, in subordine il riconoscimento dell’avvenuto acquisto per usucapione oltre al rilascio dell’area in contestazione;

– conseguentemente egli doveva dare la prova rigorosa della proprietà e non poteva avvalersi del solo titolo di acquisto o di ogni altro mezzo di prova, comprese le presunzioni (Cass. n. 24028 e n. 10149 del 2004; n. 12166 e n. 4366 del 2002; n. 4120 del 2001);

con il secondo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame della CTU da cui si evincerebbe che egli era proprietario dei beni su cui erano state realizzate illegittimamente la scala di collegamento, un piccolo vano nel sottoscala, due botole ed il muro di delimitazione;

il motivo è inammissibile perché non pertinente alla ratio decidendi;

– la corte non ha negato che l’area in questione risultasse compresa nell’oggetto del contratto di acquisto del 1974 ma ha affermato che, non avendo gli attori provato di aver posseduto l’area in questione dopo averla acquistata nel 1974, difettava la prova di un acquisto a titolo originario;

– il ricorso va pertanto rigettato;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000,00 oltre Iva e cap come per legge oltre ad Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-2 della Suprema Corte di cassazione, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021

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