Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.229 del 12/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5538/2014 R.G. proposto da:

B.P., con gli avv.ti Mario Fogliotti e prof. Gianluca Contaldi, nel domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, Via G.

Pierluigi da Palestrina, n. 63;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il Piemonte n. 72/22/13 depositata in data 08/07/2013 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 settembre 2020 dal Co: Marcello M. Fracanzani;

FATTI DI CAUSA

La contribuente era attinta da avviso di accertamento notificatole il 9 ottobre 2009 relativo al periodo di imposta 2004, all’esito di verifiche dell’anagrafe tributaria, laddove risultava locatrice in quattro contratti relativi ad immobili nell’astigiano, mentre i canoni dichiarati per quell’anno risultavano inferiori di circa il 50% rispetto al reddito ricostruibile sulla base dei contratti citati.

Il tentativo di accertamento con adesione non sfociava in esito positivo e la contribuente sosteneva che alcune locazioni fossero cessate in anticipo e i canoni non goduti e, conseguente, non dichiarati per quell’anno di imposta.

I giudizi di merito erano parzialmente favorevoli alla contribuente, statuendo la CTR che solo per uno dei quattro contratti fosse stata data la prova della cessazione anteriormente al primo gennaio 2004, confermando per il resto l’impianto impositivo dell’Ufficio.

Avverso questa sentenza propone ricorso la contribuente, affidandosi ad unico motivo di doglianza, cui replica con tempestivo controricorso l’Avvocatura generale dello Stato.

In prossimità dell’udienza, la parte contribuente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Viene proposto unico motivo di ricorso.

Con l’unico motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 per violazione dell’art. 2729 c.c., nella sostanza lamentando la violazione del regime delle presunzioni semplici, poichè la CTR non ha apprezzato che la disdetta di contratti o la cessazione dell’attività dei conduttori fossero indizi sufficienti a dar per provata la perdita del canone locatizio per l’anno 2004. Il motivo, così come posto, impinge nel merito richiedendo una valutazione dell’apporto probatorio delle parti che resta inibita a questa Corte di legittimità. è appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).

Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Nè il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).

Il ricorso è quindi inammissibile e tale va dichiarato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in Euro settecentocinquanta/00 oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021

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