LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22532-2016 proposto da:
B.F. COSTRUZIONI EDILI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A GRAMSCI 7, presso lo studio dell’avvocato MICHELA CONCETTI, rappresentata e difesa dagli avvocati LUIGI REMUS e MARZIO REMUS;
– ricorrente –
contro
S.I.R. SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MELOZZO DA FORLI’ 9, presso lo studio dell’avvocato MARIA CLEMENTINA RUGGIERI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE ROCCIOLETTI;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 859/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 10/08/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/02/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.
FATTI DI CAUSA
1. La società Immobiliare Riviera proponeva opposizione avverso il decreto emesso dal Tribunale di Brescia con il quale le era stato ingiunto di pagare la somma di Lire 1.037.445.385 risultante dalla fattura ***** per saldo opere eseguite in relazione ad un immobile denominato ex palace.
L’opponente deduceva l’inesistenza del credito azionato dal momento che il contratto di appalto del 18 dicembre 1996 prevedeva un prezzo di Lire 3.200.000.000 onnicomprensivo ed essendo stata già versata la somma di 3.150.000.000, il credito residuo sarebbe stato solo di Lire 50.000.000. L’opponente allo stesso tempo disconosceva il contratto allegato dalla controparte riportante un prezzo diverso. Faceva presente di aver dovuto anticipare ingenti pagamenti ad alcune ditte subappaltatrici per la complessiva somma di Lire 574.712.030, pertanto, operata la compensazione con il controcredito che ammontava a Lire 50.000.000 risultava un credito in suo favore per 524.712.030. La società Immobiliare Riviera lamentava anche il ritardo nella consegna dalle opere, il mancato completamento di alcuni lavori, nonché plurimi vizi denunciati nella lettera del 14 agosto 1999. In via riconvenzionale chiedeva che accertata la compensazione tra i rispettivi crediti la società B. venisse condannata a pagare la somma di Lire 524.712.030.
1.1 Si costituiva la società B. contestando la ricostruzione dei fatti prospettata dalla controparte e chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo e chiedendo anche gli interessi dal 31 agosto 1999 oltre all’anatocismo e alla rivalutazione atteso il danno subito in ragione del mancato introito delle somme. In subordine chiedeva la condanna per ingiustificato arricchimento.
2. Il Tribunale di Brescia revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava l’opponente a pagare all’opposta la somma di Euro 494.767 oltre interessi. Il giudice di primo grado qualificava il contratto a misura nonostante vi fosse un espresso riferimento dei prezzi a forfait. Infatti, il contratto faceva riferimento alla verifica in sede di consuntivo dei lavori, nonché alla contabilità da provarsi di comune accordo, circostanze che inducevano a ritenere che le parti avessero voluto determinare il prezzo dell’opera a misura. D’altra parte, lo stesso consulente tecnico aveva chiarito che un lavoro per il quale fosse previsto un prezzo a forfait avrebbe richiesto l’analitica indicazione nel computo metrico estimativo di tutte le operazioni concorrenti nella determinazione della quantità di ogni singola voce mentre nello specifico il preventivo redatto dall’impresa aveva le caratteristiche di un preventivo di massima.
Alla luce della quantificazione operata dal consulente tecnico il Tribunale determinava il valore complessivo delle opere in Euro 2.121.606,88 sul quale, in assenza di prova di un accordo delle parti in ordine ad un ribasso, non poteva essere applicato alcuno sconto. Preso atto che il committente aveva effettuato pagamenti per Euro 1.626.839,23, il giudice di primo grado quantificava in Euro 494.767,65 il residuo importo ancora dovuto all’appaltatrice. Il Tribunale escludeva che potesse essere decurtata da tale importo la somma versata da imprese terze per l’esecuzione di opere che, anche se previste nel preventivo, non erano state appaltate alla B. la quale si era limitata a svolgere l’assistenza. Non poteva essere decurtata neanche la somma pari ai vizi lamentati in quanto era fondata l’eccezione di decadenza sollevata dalla ditta appaltatrice. Il Tribunale, in ragione del credito della opposta in misura inferiore a quello portato al decreto ingiuntivo, revocava tale provvedimento. Infine, dichiarava inammissibile la domanda di condanna di interessi anatocistici e rivalutazione monetaria in quanto integrante domanda ulteriore rispetto a quella azionata con il decreto ingiuntivo ed evidenziava anche l’infondatezza della domanda di rivalutazione in quanto il debito della opponente era debito di valuta, per il quale non era stata fornita alcuna prova del maggior danno.
3. La società B.F. Costruzioni Edili proponeva appello avverso la suddetta sentenza. Con separato appello anche la società Immobiliare Riviera impugnava la decisione del Tribunale di Brescia.
4. La Corte d’Appello di Brescia, riunite le due cause, in parziale riforma della sentenza del Tribunale condannava la Società Immobiliare Riviera a pagare alla società B.F. Costruzioni Edili l’ulteriore somma di Euro 49.476,76 oltre interessi legali dal 31 agosto 1999 al saldo.
In particolare, la Corte d’Appello rigettava i motivi proposti dalla società Immobiliare Riviera, evidenziando che era giusta la qualificazione del contratto operata dal Tribunale come pattuizione del prezzo a misura e non a corpo o a forfait. La Corte d’Appello desumeva tale qualificazione dall’art. 2 del contratto di appalto oltre che da quanto accertato dal consulente tecnico d’ufficio.
Quanto alla determinazione del valore delle opere eseguite da B. la Corte d’Appello rilevava che la contestazione in merito al mancato assolvimento dell’onere probatorio del credito da parte dell’appaltatore era fondata sulla qualificazione del contratto a forfait e, quindi, sull’onere della controparte di dimostrare la maggiore quantità di lavori. Pertanto, avendo qualificato il contratto come a misura ed essendo stato chiesto il saldo delle opere al netto di acconti versati, doveva ritenersi corretta la decisione del Tribunale di disporre un accertamento mediante la consulenza tecnica di ufficio. Pertanto, non era ravvisabile alcun vizio di ultrapetizione, in quanto l’accertamento del valore complessivo delle opere era funzionale alla quantificazione delle somme a saldo richieste con il decreto ingiuntivo, che peraltro era risultato di importo superiore a quello effettivamente dovuto. La Corte d’Appello respingeva anche la richiesta di riduzione e rettifica delle singole voci, richiamando la consulenza tecnica; rigettava anche la censura sull’utilizzo da parte del consulente di documenti dimessi dalla B. solo nel corso delle operazioni peritali, in quanto tali documenti erano stati esaminati solo come ausilio per la determinazione del valore delle opere per il pregio dei materiali che non risultavano riportate nei prezziari. L’appellante non aveva prospettato una diversa quantificazione dei prezzi unitari non essendoci parimenti alcuna contestazione in merito alle misurazioni. Anche lo sconto richiesto dall’appellante nella misura dell’8,23% non poteva essere accolto non trovando riscontri in alcune, esplicita clausola contrattuale ed essendo contraddetto dalla dichiarazione del direttore dei lavori che indicava invece lo sconto nell’ordine del 7%.
Quanto ai motivi di appello proposti dalla società B. doveva confermarsi la dichiarazione di inammissibilità delle domande di pagamento degli interessi anatocistici e della rivalutazione monetaria in quanto formulati con una riconvenzionale in sede di costituzione a seguito dell’opposizione al decreto ingiuntivo mediante riconventio reconventionis. La domanda di condanna agli interessi anatocistici e alla rivalutazione monetaria, infatti, non poteva essere ritenuta connessa alla compensazione opposta dall’opponente e costituiva un indebito ampliamento della domanda originaria. La Corte d’Appello accoglieva, invece, il motivo relativo al mancato pagamento dell’Iva, obbligazione dovuta per legge e calcolata al 10 % (dieci per cento) della somma di Euro 494.767,65.
5. Avverso la suddetta sentenza la società B. Costruzioni Edili ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo di ricorso.
6. La società Immobiliare Riviera ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale fondato su quattro motivi.
7. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso principale è così rubricato: violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in rapporto all’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 1, n. 2, e art. 167 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 5, e art. 277 c.p.c., comma 1, oltre che all’art. 111 Cost..
La società ricorrente lamenta che la Corte d’Appello non ha tenuto in considerazione che la Società Immobiliare Riviera aveva proposto con l’opposizione articolate domande riconvenzionali contenenti anche una richiesta di compensazione. La motivazione di inammissibilità della riconvenzionale, dunque, non avrebbe tenuto in considerazione tutte le originali domande formulate dall’opponente che l’avevano posta nella posizione anche processuale di convenuta e così si sarebbe discostata dall’orientamento giurisprudenziale costante che vuole che, in caso di domanda riconvenzionale dell’opponente, sia permesso al convenuto opposto l’ampliamento del thema decidendum.
In ogni caso le domande formulate con la comparsa di costituzione e risposta a seguito dell’opposizione non configurerebbero una mutatio libelli, riguardando solo gli interessi ex art. 1283 c.c., la rivalutazione che tra imprese non deve essere provata e il maggior danno derivante dall’inadempimento. Dunque, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare le domande riconvenzionali proposte dall’opponente con l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, limitandosi a valutare la compensazione come eccezione e non avrebbe considerato che non vi erano domande nuove trattandosi di questione accessorie.
1.1 L’unico motivo del ricorso principale è infondato.
Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte: “Nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, egli si venga a trovare, a sua volta, nella posizione processuale di convenuto, al quale non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis che deve, però, dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale”. (Sez. 2, Sent. n. 5415 del 2019).
L’attribuzione degli interessi sugli interessi scaduti, secondo la previsione di cui all’art. 1283 c.c., postula una specifica domanda del creditore, autonoma e distinta rispetto a quella rivolta al riconoscimento degli interessi principali così come quella della rivalutazione monetaria. Le stesse, peraltro, potevano essere proposte sin dall’atto introduttivo del giudizio e non possono ritenersi dipendenti dalla domanda riconvenzionale proposta dalla Società Riviera Immobiliare, dunque, la Corte d’Appello e prima ancora il Tribunale hanno fatto corretta applicazione del principio sopra indicato.
2. Il primo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 1657 c.c..
Le parti avevano stabilito nel contratto un sistema di corresponsione del corrispettivo misto, in quanto il prezzo era a forfait con previsione per le quantità in più e per gli extra dell’utilizzo del prezzario delle opere edili di Brescia in vigore (art. 2 del contratto). Infatti, il giudice di primo grado aveva chiesto al consulente tecnico di determinare il valore delle opere sulla base del prezzo contrattuale e dove non previsto sulla base delle tariffe. Il decreto ingiuntivo era stato richiesto e ottenuto sulla base di una fattura di un conteggio che pretermetteva del tutto il forfait in quanto il ricorrente in fase monitoria aveva svolto la propria pretesa come se il contratto non fosse stato stipulato a prezzo fisso con maggiorazione solo per le opere extra. Per le opere contrattuali si sarebbe dovuto applicare il forfait mentre per gli extra o per le quantità maggiori si sarebbe dovuto liquidare un compenso suppletivo. Al contrario, il consulente tecnico ha determinato il valore dell’intera opera sulla base dei prezziari vigenti prescindendo del tutto dalla determinazione contrattuale.
2.1 Il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.
L’interpretazione di un atto negoziale è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che nelle ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, alla stregua del c.d. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nella formulazione attualmente vigente, ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 c.c. e ss. (Cass. n. 14355 del 2016, in motiv.).
Il sindacato di legittimità può avere, quindi, ad oggetto solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass. n. 23701 del 2016). Pertanto, al fine di riscontrare l’esistenza dei denunciati errori di diritto o vizi di ragionamento, è necessario che il ricorrente faccia un concreto riferimento alla violazione delle regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., specificando, per un verso, i canoni in concreto inosservati e, per altro verso, il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato (Cass. n. 7472 del 2011; più di recente, Cass. n. 27136 del 2017).
Ne consegue l’inammissibilità di un motivo di ricorso che, come quello in esame, richieda una diversa interpretazione di un contratto o di una clausola contrattuale senza denunciare la violazione delle norme ermeneutiche o l’omesso esame di un fatto decisivo, risolvendosi altrimenti la censura nella mera proposta di una interpretazione diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito, così come è inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati (Cass. n. 2465 del 2015, in motiv.). Peraltro, per sottrarsi al sindacato di legittimità sotto i profili di censura dell’ermeneutica contrattuale, quella data dal giudice al contratto non dev’essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 16254 del 2012; conf., più di recente, Cass. 27136 del 2017).
La Corte d’Appello ha fornito un’ampia motivazione in merito all’interpretazione della clausola contrattuale di cui all’art. 2 del contratto di appalto, evidenziando come la stessa, nonostante l’espresso riferimento al prezzo a forfait, in realtà prevedeva una verifica a consuntivo delle quantità, nonché la contabilizzazione anche di lavori ulteriori rispetto a quelli previsti dal preventivo. Pertanto, già in base alla sua formulazione letterale, la clausola appariva inconciliabile con la previsione di un prezzo a forfait. Inoltre, mancava il computo metrico estimativo e le voci e le descrizioni erano indicate in modo sintetico nel preventivo che aveva le caratteristiche di un elaborato di massima per edifici con finiture di tipo corrente e del tutto diverse da quelle attuate. Peraltro, il suddetto progetto risaliva ad epoca anteriore alla stesura dei progetti esecutivi e non contemplava numerose lavorazioni. Per questi motivi si rendeva necessario quantificare i lavori eseguiti mediante l’accertamento delle misure e l’individuazione dei prezzi unitari. Tale motivazione implicante una ricostruzione della volontà contrattuale è censurabile in sede di legittimità solo nei limiti sopra indicati.
La Corte d’Appello, in altri termini, ha ritenuto che nel contratto d’appalto il cui prezzo sia stipulato a “corpo”, l’opera debba essere descritta in modo preciso, per mezzo di un progetto dettagliato, viceversa, nel caso di prezzo a misura, questo può essere determinato nella sua effettiva entità soltanto al termine dei lavori, sommando le componenti dell’opera finita ed applicando loro il prezzo unitario mediante i criteri convenzionalmente prefissati. Quindi, alla base di un contratto a corpo deve necessariamente essere posta una progettazione dettagliata che i unitamente alle specifiche tecniche, costituisce l’unico riferimento contrattualmente valido a definire l’oggetto del negozio giuridico.
3. Il secondo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: extrapetizione e ultrapetizione, violazione degli artt. 112,115,116 e 145 c.p.c. violazione del contraddittorio e del diritto di difesa.
L’appaltatrice avrebbe dovuto provare la maggiore quantità dei lavori svolti e liquidare i maggiori compensi con riferimento al criterio del forfait.
La B. invece ha prodotto una sua propria contabilità prescindendo dal forfait. Il CTU avrebbe fatto di peggio elaborando una propria contabilità ed i giudici di primo grado e di secondo grado avrebbero giudicato sulla base di tale CTU. Il giudicante, pertanto, sarebbe incorso in un vizio di extra petizione per aver rideterminato i prezzi addirittura pervenendo ad importi maggiori di quelli enunciati in sede di domanda con riferimento alle fatture e ai conteggi dell’opposta. Peraltro, la B. aveva prodotto una nota nella quale si dava atto di alcuni prezzi concordati.
3.1 Il secondo motivo del ricorso incidentale è infondato.
Il ricorrente muove anche in questo caso dal presupposto che il prezzo convenuto per l’appalto fosse a forfait mentre, come si è detto in riferimento al primo motivo, la Corte d’Appello, con ampia motivazione ha ritenuto che la clausola del contratto dovesse interpretarsi nel senso che il prezzo del contratto di appalto era stato pattuito a misura. Pertanto, una volta stabilito che la volontà negoziale era nel senso di prevedere un prezzo a misura le censure proposte con il motivo in esame si rivelano infondate. In ogni caso deve anche precisarsi che, in casi come quello in esame, è ammissibile anche una consulenza tecnica “percipiente” volta a quantificare esattamente l’importo dei lavori da pagare senza che in tal caso il Giudice incorra in alcun vizio di ultra petizione.
4. Il terzo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: violazione dell’art. 183 e 184 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 61,62,194 c.p.c.art. 87 disp. Att. c.p.c. e art. 115 c.p.c.
La consulenza tecnica sarebbe nulla e inutilizzabile non solo per la violazione dei limiti oggettivi della perizia, ma dello stesso principio del contraddittorio. Il consulente tecnico, al fine di liquidare il credito dell’appaltatrice, avrebbe fatto espresso riferimento a documenti resi disponibili dalla parte solo in sede di consulenza tecnica perché non ritualmente prodotti nei termini previsti dal codice di rito per le deduzioni istruttorie. L’inutilizzabilità di detta documentazione era stata formalmente eccepita dal consulente tecnico di parte ed era sempre stata evidenziata nelle memorie tecniche dello stesso consulente. Il consulente tecnico d’ufficio riconosceva tale rilievo pur giustificando l’utilizzo dei documenti per la necessità di farvi riferimento e per effettuare la valutazione di molte voci anche di notevole peso economico. L’accertamento, dunque, si fondava su documenti che non avrebbero potuto essere utilizzati. Deve escludersi, infatti, che il consulente tecnico si possa illegittimamente fare carico dell’onere probatorio gravante sulla parte che abbia proposto la domanda. Pertanto, la documentazione prodotta da B. in sede di consulenza tecnica non poteva essere utilizzata in quanto i documenti avrebbero dovuto essere ritualmente acquisiti agli atti del giudizio. D’altra parte, dallo stesso quesito emergeva come non fosse consentito alla parte di produrre documentazione.
Dunque, la consulenza sarebbe radicalmente nulla per violazione dei limiti oggettivi, perché il CTU non avrebbe dovuto tener conto di documenti non ritualmente prodotti in causa senza il consenso delle parti e per aver superato i limiti del mandato peritale. La nullità della consulenza si estenderebbe alla nullità della sentenza.
4.1 Il terzo motivo del ricorso incidentale è infondato.
Il ricorrente richiama un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui: “In tema di consulenza tecnica di ufficio, in virtù del principio dispositivo e dell’operare nel processo civile di preclusioni, assertive ed istruttorie, l’ausiliario del giudice, nello svolgimento delle proprie attività, non può – nemmeno in presenza di ordine del giudice o di acquiescenza delle parti – indagare di ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti, né acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte e nemmeno procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova. A tale regola può derogarsi soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione non possa essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova tradizionali, postulando il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche, oppure per la prova di fatti tecnici accessori o secondari e di elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti”. (Sez. 3, Sent. n. 31886 del 2019).
Nella specie1la Corte d’Appello ha evidenziato che i lavori effettuati non erano oggetto di contestazione, e che andava effettuata una consulenza al solo fine della determinazione del prezzo dovuto. Ciò premesso, il giudice del gravame ha ribadito che la documentazione acquisita dal CTU era relativa a costi sostenuti dalla società appaltatrice rispetto ad alcuni materiali che per il loro particolare pregio non ricorrevano nei prezziari di riferimento. Inoltre, deve evidenziarsi che, a seguito della suddetta consulenza, il decreto ingiuntivo è stato revocato ed il prezzo che la ricorrente è stata condannata a pagare alla Bulfaretti è stato ridotto sulla base di quanto accertato dal consulente, il quale si è limitato ad assolvere l’incarico affidatogli senza sostituirsi al dovere di allegazione e prova posto a carico della società appaltatrice.
Nella specie, come si è detto, la consulenza ha avuto carattere percipiente e, in ogni caso, la stessa si è svolta su elementi già allegati dalla parte avendo ad oggetto i lavori effettuati e non oggetto di contestazione. In tali casi è consentito al c.t.u. di acquisire ogni elemento necessario per rispondere ai quesiti, trattandosi di fatti accessori, rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse. L’acquisizione della documentazione oggetto della censura della ricorrente non mirava a far accertare fatti posti a fondamento della domanda di controparte, ma solo a favorire la risposta ai quesiti, non doveva pertanto applicarsi l’art. 184 c.p.c., ma l’art. 194 c.p.c., in forza del quale il consulente d’ufficio, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice può assumere informazioni e procedere all’accertamento dei fatti accessori costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti (v. utilmente Sez. 3, Sent. n. 1020 del 2006; Sez. 3 Sent. n. 3191 del 2006).
Deve dunque ribadirsi il seguente principio di diritto cui il collegio intende dare continuità: “Il consulente tecnico d’ufficio, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., può acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori, rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse (Sez. 2, Sent. n. 14577 del 2012).
5. Il quarto motivo del ricorso incidentale è così rubricato: ultrapetizione e violazione degli artt. 112,116 e 145 c.p.c.
La fattura monitoriamente azionata era comprensiva anche dell’Iva e dunque la Corte d’Appello avrebbe liquidato un importo maggiore di quello ingiunto con una palese extrapetizione. In altri termini il corrispettivo indicato nella fattura di cui al decreto ingiuntivo sarebbe stato al lordo.
5.1 Il quarto motivo del ricorso incidentale è infondato.
La Corte d’Appello ha ritenuto che i conteggi elaborati dal CTU fossero al netto dell’IVA. Peraltro, si è già detto che l’importo accertato come dovuto dal ricorrente è risultato inferiore a quello azionato in via monitoria con richiesta di pagamento della fattura per saldo opere per l’importo di Lire 1.037.445.385, comprensivo dell’IVA. La Corte d’Appello ha fatto riferimento alla suddetta fattura proprio per evidenziare che la domanda relativa all’Iva fosse stata azionata sin dal ricorso per decreto ingiuntivo. Anche in questo caso, pertanto, la censura si rivela infondata non essendovi stata alcuna liquidazione per un importo superiore a quello ingiunto.
6. In conclusione, la Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale e, in ragione della reciproca soccombenza, compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 17 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2021
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