Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.23680 del 31/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17237/2018 R.G. proposto da:

TACCHIFICIO MONTI S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Bruno Barbato Mastrandrea, con domicilio eletto in Roma, Viale Liegi n. 44, presso lo studio dell’avv. Paola Moreschini;

– ricorrente –

contro

AUTOGRU’ MERIDIONALE S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t..

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 2830/2017, depositata in data 30.11.2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 23.5.2019 dal Consigliere FORTUNATO Giuseppe.

Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale CERONI Francesca, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

L’Autogrù Gandolfi s.r.l., (ora Autogrù Meridionale s.r.l.) ha ottenuto l’ingiunzione n. 1335/2006, per il pagamento del corrispettivo del trasporto e della posa in opera di elementi prefabbricati presso un cantiere in cui era in corso la costruzione di un capannone industriale di proprietà del Tacchificio Monti.

L’ingiunta ha proposto opposizione e ha eccepito, in via preliminare, l’intervenuta prescrizione del credito sull’assunto che, data la natura mista del contratto, non trovava applicazione il termine decennale, ma la prescrizione breve, ormai integralmente decorsa.

Ha altresì dedotto che l’appaltatrice aveva provocato il crollo di una gru, riportando una condanna al risarcimento del danno in un separato giudizio, per cui, essendo inadempiente, non aveva titolo al pagamento del prezzo.

Il tribunale ha respinto l’opposizione, con pronuncia confermata in appello.

La Corte distrettuale, qualificato il contratto come appalto di lavori in base alla natura dell’attività espletata (avente ad oggetto il montaggio a secco di elementi prefabbricati) e ritenuta applicabile la prescrizione decennale, ha considerato irrilevante il giudicato di condanna dell’appaltatore al risarcimento del danno, osservando che il sinistro si era verificato nel corso della realizzazione dei lavori, a riprova dell’effettiva esecuzione delle opere, e che il ricorrente non aveva proposto domanda di risoluzione, restando obbligato ad adempiere il contratto.

Secondo la sentenza, essendo stato integralmente risarcito il danno determinato dal crollo della gru, non vi era ragione per negare il compenso spettante all’impresa appaltatrice.

La cassazione della sentenza è chiesta da Tacchificio Monti s.r.l., sulla base di tre motivi di ricorso, illustrati con memoria.

L’Autogrù Gandolfi, ora Autogrù Meridionali s.r.l., non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 112 c.p.c., per aver la sentenza omesso di esaminare l’eccezione di giudicato sollevato dalla ricorrente con riferimento alla sentenza di condanna dell’Autogrù al risarcimento del danno provocato dal crollo di una gru all’interno del cantiere, e per non aver considerato che l’appaltatrice era – quindi – inadempiente, non potendo ottenere il pagamento del corrispettivo dei lavori.

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1460,1218,1176,2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che, nell’invocare gli effetti del giudicato di condanna al risarcimento del danno, la committente aveva inteso eccepire l’inadempimento dell’appaltatrice quale fatto ostativo al pagamento del compenso e che – quindi – non era affatto necessaria la proposizione della domanda di risoluzione del contratto. Inoltre la stessa prova dell’esecuzione dell’appalto sarebbe stata dedotta da indizi privi di gravità, univocità e concordanza.

I due motivi, che richiedono un esame congiunto, sono infondati.

La Corte d’appello, facendo proprie le argomentazioni del tribunale, ha ritenuto che, permanendo l’efficacia vincolante del contratto (in assenza di una pronuncia di risoluzione), il Tacchificio Monti fosse tenuto a versare il restante corrispettivo, ciò in quanto l’intero pregiudizio provocato dal crollo di una gru era stato riparato con il versamento dell’indennità assicurativa.

Il giudicato esterno di condanna dell’appaltatrice al risarcimento del danno non poteva – difatti – paralizzare la domanda di pagamento del corrispettivo, una volta intervenuti l’integrale riparazione del danno e il completamento dei lavori.

Nel dedurre la responsabilità dell’appaltatrice accertata con sentenza passata in giudicato, la committente aveva – nei fatti – invocato tale accadimento dannoso quale fatto estintivo dell’obbligo di pagamento, sollevando una difesa del tutto ammissibile, anche se non congiunta alla proposizione della domanda di risoluzione dell’appalto.

Tuttavia, come detto, il danno determinato dal sinistro era stato integralmente risarcito e, quanto al fatto che la resistente avesse dato esecuzione al contratto, già il tribunale aveva precisato che tale circostanza era pacifica ed era comunque comprovata dalle stesse modalità di verificazione del sinistro, occorso durante l’esecuzione dell’opera (cfr. sentenza di appello, pag. 3).

In tale situazione era escluso che, in virtù del giudicato esterno, il Tacchificio Monti non avesse più titolo a pretendere il pagamento, così come infondatamente dedotto dall’ingiunta sin dall’atto di opposizione ex art. 645 c.p.c. (cfr. sentenza di primo grado, pag. 4), senza peraltro neppure contestare che l’opera non fosse stata ultimata (cfr. sentenza di appello, pag. 3).

Il descritto contenuto delle difese formulate dall’ingiunta (secondo cui l’inadempimento doveva ricondursi esclusivamente al fatto dannoso accertato in un separato giudizio: cfr. sentenza pagg. 2-3) e l’avvenuta esecuzione dei lavori, desunta dalle modalità di verificazione del danno, costituivano elementi certamente utili per ritenere che l’appalto fosse stato integralmente seguito.

Proprio le descritte emergenze processuali, già motivatamente valorizzate dal tribunale, sono state ritenute sufficienti dal giudice di appello per ritenere esigibile il pagamento, senza in tal modo incorrere in alcuna violazione delle regole di accertamento dei fatti di causa, ai sensi dell’art. 2729 c.c..

Su tali premesse, il Tacchificio Monti non poteva rifiutare il versamento del prezzo dell’appalto.

Per orientamento costante di questa Corte, neppure la risoluzione per colpa dell’appaltatore osta a che questi, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, abbia diritto al riconoscimento di compenso per le opere già effettuate e delle quali il committente si sia giovato (Cass. 6181/2011; Cass. 5444/1977) e poiché, nello specifico, le ragioni che avevano condotto il Tacchificio Monti a rifiutare il pagamento erano ormai superate dall’avvenuto risarcimento del pregiudizio, la ricorrente, che già aveva ottenuto l’indennizzo assicurativo e la prestazione promessa, non poteva essere sollevata dall’obbligo di pagamento, conseguendo altrimenti un ingiusto arricchimento.

Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, l’ammontare del danno risarcito non comprendeva affatto anche i costi di completamento del manufatto, ma solo quelli necessari a ricostruire le parti danneggiate (cfr., sentenza di primo grado, pag. 8), il che escludeva che qt3 il Tacchificio Monti avesse già corrisposto a terzi il controvalore dell’opera finita, sì da essere sottoposto, a causa della condanna riportata in appello, ad un doppio pagamento per la medesima causale.

3. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1362,1363,1655,1678 e 2222 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestando alla sentenza di aver inquadrato il contratto nello schema dell’appalto sulla base di un fattura commerciale contestata in giudizio, omettendo di considerare che le prestazioni di facere, effettuate con l’impiego della gru, erano state eseguite dall’impresa proprietaria del macchinario, oggetto di un contratto di nolo a caldo, e che la ricorrente non aveva eseguito il fissaggio delle opere con l’impiego di cemento armato, potendosi configurare un contratto di trasporto degli elementi prefabbricati, un contratto d’opera, alla luce delle contenute dimensioni dell’impresa o, infine, un contratto misto, con applicazione del termine prescrizionale breve.

2. Il motivo è infondato.

Come ha evidenziato la sentenza, la resistente si era impegnata all’impiego di manodopera per il montaggio a secco degli elementi prefabbricati mediante l’utilizzo di un’autogrù, apparendo in concreto prevalente l’elemento del facere rispetto alle altre attività dedotte in contratto. La medesima qualificazione trovava conferma “nella natura giuridica della società esecutrice” (società di capitali; cfr. sentenza, pag. 5)”.

In effetti, il contratto d’opera ha in comune con l’appalto l’obbligo verso il committente di compiere dietro corrispettivo un’opera o un servizio senza vincolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi esegue, differenziandosene invece per la complessità dell’organizzazione impiegata e pertanto sotto un aspetto quantitativo piuttosto che qualitativo, dovendosi qualificare il contratto come appalto se l’esecuzione dell’opera commissionata avviene mediante un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto, mentre nel contratto d’opera è il prevalente lavoro di quest’ultimo, pur se adiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa, desumibile dall’art. 2083 c.c. (Cass. 7107/2001; Cass. 9237/1997; Cass. 5451/1999; Cass. 7606/1999). La differenza quantitativa e non qualitativa che differenzia i due tipi negoziali non era esclusa dal fatto che la resistente non fosse tenuta alla posa in opera delle strutture mediante l’impiego del cemento armato, mentre indubbia valenza veniva ad assumere la qualità dell’appaltatrice che era elemento concorrente, utile a far presumere che le parti avessero inteso stipulare un contratto d’appalto e non un contratto d’opera (Cass. 27258/2017; Cass. 12727/2005), restando escluso – per lo specifico contenuto del rapporto – che la resistente si fosse invece impegnata ad eseguire solo il trasporto dei materiali o dei macchinari.

In ogni caso, anche nel giudicato di cui alla sentenza del tribunale di Bologna n. 515/2004 trova conferma il fatto che tra l’Autogrù Gandolfi ed il Tacchificio Monti intercorreva un vero e proprio rapporto di appalto, essendo specificato che il personale dell’Italgrù o quello addetto alla movimentazione dei macchinari erano intervenuti quali meri ausiliari della società appaltatrice, che proprio in tale veste era stata ritenuta responsabile del sinistro (cfr. sentenza, pag. 9).

Non sussistendo alcun rapporto diretto tra detto personale e il Tacchificio Monti, l’attività degli ausiliari – anche per quanto riguarda le prestazioni aventi ad oggetto un facere – era quindi imputabile alla resistente, giustificandosi anche tale profilo l’inquadramento del rapporto operata dalla Corte distrettuale.

Infine, stante l’oggetto della prestazione, il diritto al pagamento del pagamento soggiaceva al termine di prescrizione decennale, che nello specifico – era stato più volte interrotto (cfr. sentenza, pag. 6). Riguardo all’idoneità della fattura a documentare il reale contenuto del contratto, detta documentazione non risulta l’unica acquisizione processuale presa in considerazione dalla pronuncia impugnata che – con motivato apprezzamento delle prove – si è invece richiamata a quanto già stabilito dal tribunale, secondo cui l’oggetto delle prestazioni cui era tenuta l’impresa resistente, riconducibile ad un appalto di lavori, emergeva sia dalle risultanze documentali, che delle deduzioni formulate dalle parti negli atti di causa, confortate poi dalla qualità e dalla natura dell’attività svolta professionalmente dall’Autogrù Gandolfi (cfr. sentenza, pagg. 3 e 5).

Il ricorso è quindi respinto.

Nulla sulle spese, non avendo la resistente svolto difese.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile, il 22 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021

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