LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8767/14 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente domiciliata;
– ricorrente –
contro
EUROCOM ITALIA S.R.L. (già Pelipal Italia s.r.l. in liquidazione), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso, dall’avv. Pietro Anello, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Po, n. 102;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale dell’Emilia-Romagna n. 13/01/13 depositata in data 13 febbraio 2013;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2020 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.
RILEVATO
che:
1. L’Ufficio Distrettuale delle Imposte dirette di ***** notificava alla società Pelipal s.r.l. (fusa per incorporazione nella società Eurocom Italia s.r.l. in data 25 marzo 2004) avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 1995, con il quale, sulla scorta di indagini eseguite sui conti correnti intestati all’amministratore unico e socio, S.E., recuperava a tassazione IRPEG e ILOR, avendo accertato maggiori ricavi non contabilizzati per l’importo di Lire 230.100.000.
2. Proposto ricorso avverso l’atto impositivo, nel contraddittorio con l’Ufficio, l’adita Commissione provinciale confermava il recupero a tassazione, osservando che le movimentazioni bancarie riscontrate sui conti correnti intestati al S. erano ragionevolmente riferibili alla società in ragione della sua posizione di socio e di amministratore unico autorizzato ad intervenire nella gestione societaria.
3. In esito all’appello della società contribuente, la Commissione regionale, in riforma della decisione di primo grado, dichiarava illegittima la ripresa a tassazione con sentenza avverso la quale l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione e la contribuente ricorso incidentale.
Questa Corte, con la sentenza n. 23652 del 5 settembre 2008, accoglieva il ricorso principale, dichiarando inammissibile quello incidentale, e cassava la sentenza impugnata, rinviando alla competente Commissione regionale.
4. Riassunto il giudizio dall’Ufficio, la Commissione regionale dell’Emilia-Romagna, con la sentenza in questa sede impugnata, accoglieva l’appello della contribuente.
Rilevava che la sentenza della Corte di Cassazione aveva statuito che l’utilizzazione dei dati dei conti correnti bancari non poteva ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti ad essa intestati, ma riguardava anche quelli intestati agli amministratori ed ai soci e che, ai fini delle rettifiche previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, i movimenti dei conti correnti bancari intestati ad amministratori e soci ponevano presunzioni legali semplici, a fronte delle quali i contribuenti potevano fornire prova contraria. Affermava che l’Ufficio non aveva presentato “altra prova grave, precisa e concordante” e che l’amministratore unico aveva prodotto documentazione giustificativa della restituzione di somme a fronte di un contratto, stipulato in data *****, con un cittadino polacco, per un importo nominale di Lire 832.500.000. Ritenendo, quindi, che i movimenti bancari non fossero riferibili alla società, annullava la ripresa a tassazione, dichiarando illegittima la presunzione operata dall’Ufficio.
5. Ricorre per la cassazione della suddetta decisione l’Agenzia delle entrate, con quattro motivi, cui resiste la società Eurocom Italia s.r.l. mediante controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale la società contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo – rubricato “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 63, e degli artt. 384 e 392 e ss. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” – la difesa erariale lamenta che la Commissione regionale, con la decisione impugnata, ha disatteso i principi di diritto enunciati da questa Corte con la sentenza n. 23652 del 2008, omettendo di prendere in considerazione e di valutare gli elementi di fatto addotti dall’Ufficio, ossia il ruolo di amministratore unico del S., il possesso del 50 per cento delle quote sociali e l’indisponibilità di redditi diversi, in tal modo rimettendo in discussione il carattere di decisività di tali elementi non congruamente valutati dalla sentenza cassata.
2. Con il secondo motivo, deducendo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 , comma 1, n. 2, evidenzia che la C.T.R., confondendo la disciplina delle presunzioni legali relative con quella delle presunzioni semplici, ha dapprima ritenuto che le movimentazioni dei conti correnti di soci e amministratori pongono presunzioni legali semplici che possono essere superate mediante prova contraria e, con un passaggio del tutto illogico, ha poi affermato che l’Amministrazione non ha fornito “altra prova grave, precisa e concordante”; partendo da tale presupposto, ha inoltre ritenuto che i movimenti bancari non siano riferibili alla società contribuente e, di conseguenza, che la presunzione semplice ipotizzata dall’Ufficio sarebbe illegittima.
Così argomentando, ad avviso della ricorrente, i giudici di appello si sono discostati dai pacifici principi di diritto ribaditi dalla Corte di Cassazione con la sentenza di rinvio n. 23652 del 2008.
3. Con il terzo motivo si censura la decisione impugnata per violazione, sotto altro profilo, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2.
Trascrivendo i versamenti effettuati sui conti correnti ed i motivi che hanno indotto l’Ufficio a ritenere non idonea la giustificazione addotta dalla contribuente ed a considerare detti importi come ricavi non contabilizzati inerenti a partite di merce non fatturate – meglio esposti nel processo verbale di constatazione redatto in data 21 ottobre 1999 – l’Agenzia delle entrate ribadisce che la società non ha prodotto prova documentale nè dell’effettiva erogazione, da parte del S., al cittadino polacco dell’importo pattuito nel contratto del *****, nè della restituzione della somma avvenuta in contanti.
In difetto di dimostrazione della corrispondenza tra i pagamenti in contanti a titolo di restituzione e le singole movimentazioni in contestazione, ad avviso della ricorrente, risulta del tutto errata l’affermazione della C.T.R. secondo cui “l’Amministratore ha presentato, per gli atti, completa documentazione su una restituzione di somme a fronte di un contratto stipulato in data ***** con un cittadino polacco, per un importo nominale di Lire 832.500.000”, posto che la prova liberatoria che consente di superare la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, non può essere generica, ma deve essere specifica in relazione ad ogni singola operazione.
4. Con il quarto motivo, dedotto in via subordinata rispetto al secondo ed al terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio o per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e si duole che i giudici di secondo grado, nell’affermare apoditticamente che “i movimenti bancari non sono inerenti al contribuente accertato”, hanno trascurato di esaminare le decisive circostanze di fatto sulla cui base l’Ufficio aveva presunto la riferibilità alla Pelipal Italia s.r.l. delle contestate annotazioni riscontrate sui conti correnti intestate ad S.E., nonchè di tenere conto dell’ulteriore circostanza che le asserite restituzioni erano avvenute in contanti e che il contribuente non aveva documentato nè le restituzioni, nè la corrispondenza quantitativa e temporale tra restituzioni e singole movimentazioni bancarie.
5. Il primo motivo è fondato nei termini che di seguito si espongono.
5.1. Giova premettere che il giudizio di rinvio rappresenta la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione, sicchè in quella fase non possono formare oggetto di discussione tutte le questioni che costituiscono presupposti, esplicitamente o implicitamente, decisi nella pronuncia della Corte di Cassazione (Cass., Sez. U, 2/12/2008, n. 28544).
5.2. La struttura “chiusa” propria del giudizio di rinvio, nel quale è alle parti preclusa ogni possibilità di proporre nuove domande ed eccezioni e nuove prove, con conseguente cristallizzazione della posizione delle parti nei termini in cui era rimasta definita nelle precedenti fasi processuali, impone di ritenere che i poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione di norme di diritto ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e l’altra ragione insieme.
Infatti, nel primo caso, il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto, al quale è tenuto a uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, trattandosi di preclusione processuale che opera su tutte le questioni costituenti il presupposto logico ed inderogabile della pronuncia di cassazione, prospettate dalle parti o rilevate d’ufficio, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente -indicando le lacune e le contraddittorietà della motivazione – demanda al giudice di rinvio non solo di esaminare i punti indicati, che non possono essere considerati isolati dal restante materiale probatorio, ma affida al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, sia con riguardo ai poteri di indagine sia con riguardo ai poteri di valutazione della prova (Cass., sez. L, 5/04/2013, n. 8381; Cass., sez. 1, 7/08/2014, n. 17790; Cass., sez. 6-5, 2/02/2018, n. 2652; Cass., sez. 2, 14/01/2020, n. 448). Pertanto, il giudice di rinvio, qualora la Corte di Cassazione abbia annullato la sentenza impugnata per insufficienza di motivazione, nel rinnovare il giudizio, non è vincolato ad eventuali indicazioni del giudice di legittimità in ordine al significato da attribuire ad alcuni elementi di prova ed eventuali prescrizioni dettate al riguardo dal giudice di legittimità assumono “valore meramente orientativo”, perchè non è ad esso che compete l’apprezzamento dei fatti (Cass., sez. 6-L, 10/07/2018, n. 18199; Cass., sez. L, 10/10/2017, n. 23695; Cass., sez. 2, 14/02/2017, n. 3896; Cass., sez. 1, 17/11/2016, n. 23418; Cass., sez. 5, 9/08/2016, n. 16793; Cass., sez. L, 21/05/2015, n. 10465; Cass., sez. 3, 12/06/2014, n. 13358).
5.3. Da ciò discende che, ove la sentenza sia stata cassata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo anteriore al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), al giudice del rinvio è sicuramente consentita la valutazione di tutti gli elementi probatori acquisiti agli atti del giudizio, di cui ha piena cognizione e in ordine ai quali deve esprimere un apprezzamento complessivo, ma può anche compiere ulteriori accertamenti (Cass., sez.1, 24/01/2007, n. 1596; Cass. sez. L, 29/05/2014, n. 12102; Cass., sez. 3, 6/06/2017, n. 16660; Cass., sez. 1, 29/03/2019, n. 8971), purchè essi trovino giustificazione nella sentenza di annullamento con rinvio e nell’esigenza di colmare le lacune e le insufficienze da questa riscontrate (Cass., sez. U, 16/12/2003, n. 19217), onde pervenire ad un nuovo apprezzamento che risulti adeguato ai rilievi contenuti nella sentenza di legittimità.
In tale ipotesi, il giudice di rinvio, come chiarito da questa Corte, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, e con necessità di eliminare le contraddizioni e di sopperire ai difetti argomentativi riscontrati (Cass., sez. L, 14/06/2006, n. 13719; Cass., sez. L, 3/02/2009, n. 2606; Cass., sez. L, 29/05/2014, n. 12102; Cass., sez. 6 – 5, 2/02/2018, n. 2652), e non può dissentire dalla “decisività” del fatto, ove ritenuta dalla Corte, sia nell’ambito del vecchio, sia del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass., sez. 1, 29/03/2019, n. 8971).
6. Nella specie, la sentenza rescindente n. 23652 del 2008 resa da questa Corte – dopo avere ribadito i principi di diritto, secondo cui il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, pongono presunzioni legali, ancorchè semplici, in forza delle quali i movimenti del conto corrente bancario, in assenza di prova contraria, si presumono rappresentativi di corrispettivi imponibili (primo principio) e quello secondo cui l’utilizzazione dei dati dei conti correnti bancari acquisiti presso istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci ed agli amministratori, allorchè risulti presumibile la natura fittizia dell’intestazione e la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi (secondo principio) – ha annullato la sentenza della C.T.R. per insufficiente motivazione, sottolineando che la decisione non consentiva di ricostruire minimamente l’iter logico che aveva condotto il collegio giudicante a ritenere non sussistente o, comunque, superata la presunzione di inerenza alla società delle movimentazioni dei conti correnti personali del S. evocata dall’Ufficio.
In particolare, ha evidenziato la Corte, che la decisione impugnata, alla luce dei principi di diritto richiamati, appariva censurabile, posto che “la presumibile riferibilità a Pelipal Italia s.r.l. delle contestate annotazioni riscontrate sui conti correnti di S.E. risulta incontrastatamente basata dall’Ufficio sul ruolo del S. di amministratore unico della società, in relazione alla particolare struttura di questa, nonchè sull’indisponibilità del S. medesimo di redditi diversi da quelli derivanti dalla predetta qualità”.
7. Le considerazioni sopra svolte impediscono sicuramente di ravvisare una violazione della sentenza di annullamento per mancata osservanza dei principi di diritto in essa richiamati, in quanto la C.T.R., conformandosi a tali principi, ha espressamente rilevato che l’utilizzazione dei dati dei conti correnti bancari “non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati agli amministratori ed ai soci” e che i movimenti dei conti correnti bancari “pongono presunzioni legali, semplici…” a fronte dei quali “gli interessati possono fornire prova contraria”.
La decisione impugnata, tuttavia, non va esente dalle censure prospettate con riguardo alla dedotta incongruità della motivazione rispetto allo schema interpretativo della sentenza rescindente, in quanto si limita ad affermare in modo apodittico che la documentazione prodotta dall’amministratore costituisce valida prova contraria idonea a superare la presunzione legale invocata dall’Amministrazione finanziaria. E ciò perchè non chiarisce le ragioni per cui detta documentazione sia stata ritenuta attendibile, pur a fronte dei puntuali rilievi mossi dall’Ufficio – che ha, sul punto, dedotto la mancanza di data certa dell’accordo del *****, la incertezza sulla corrispondenza del “sig. S.” richiamato nell’accordo con l’amministratore unico della società e l’inattendibilità delle modalità di rimborso del prestito asseritamente avvenuto in contanti -, nè spiega perchè detta documentazione dimostrerebbe che le movimentazioni bancarie oggetto di contestazione non siano riferibili alla società contribuente, ma alla persona fisica intestataria del conto corrente, tenuto conto che il S., come posto in rilievo dalla sentenza rescindente, non disponeva di redditi ulteriori rispetto a quelli che gli derivavano dalla sua qualità di amministratore unico e di socio della Pelipal Italia s.r.l.
Ne consegue che il giudice di rinvio, pur essendovi tenuto, non ha svolto un complessivo apprezzamento di tutti gli elementi probatori acquisiti, adeguato ai rilievi contenuti nella sentenza di legittimità, e non ha, di conseguenza, colmato le lacune motivazionali già rilevate da questa Corte con la sentenza rescindente che imponevano un riesame di tutti i fatti rilevanti e decisivi oggetto di discussione tra le parti nelle precedenti fasi del giudizio 8. L’accoglimento del primo motivo di ricorso consente di ritenere assorbiti i restanti motivi.
9. Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi, la sentenza va cassata con rinvio alla competente Commissione tributaria regionale per nuovo esame, oltre che per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021