Nel processo tributario, l’omessa o tardiva riassunzione, nel termine di legge, del giudizio a seguito di rinvio dalla Corte di cassazione, ne determina l’estinzione che, differentemente da quanto avviene nel giudizio ordinario, è rilevabile anche d’ufficio ex art. 45, comma 3, e art. 63 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e comporta il venir meno dell’intero procedimento, con conseguente definitività dell’avviso di accertamento.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18839/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
P.V.;
– intimato –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche n. 58/7/13, pronunciata il 27.3.2013 e depositata l’8.5.2013;
Udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio in data 28 maggio 2021 dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva;
Lette le conclusioni scritte depositate ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Alberto Cardino, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
Letta la memoria depositata in data 18 maggio 2021 dall’Avvocato dello Stato Alessandro Maddalo.
FATTI DI CAUSA
P.V. impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ancona la cartella di pagamento recante l’importo a debito di Euro 1.762.059,59 con cui l’Agenzia delle Entrate di Ancona aveva determinato l’importo dovuto per l’anno d’imposta 1992 per IRPEF, interessi e sanzioni.
L’accertamento traeva origine da un maggior imponibile accertato nei confronti della Edilsider s.r.l. di cui il ricorrente era socio con una partecipazione del 75% in conseguenza del recupero a tassazione di costi fittizi per L. 1.298.473.396 e di ricavi non contabilizzati per L. 2.142.256.269 che l’Ufficio, in considerazione della ristretta base azionaria (a carattere familiare) della società, aveva ritenuto distribuiti ai soci in proporzione alle rispettive quote, accertando così nei confronti del P. il maggior reddito di L. 2.692.907.000.
La C.T.P. accoglieva il ricorso e la C.T.R. delle Marche, con sentenza n. 139/06/01, depositata in data 06/02/2002, confermava la decisione di primo grado.
Il ricorso per cassazione proposto dall’Amministrazione Finanziaria avverso l’anzidetta sentenza (n. 139/06/01 della C.T.R. Marche) veniva accolto da questa Corte, che, con sentenza n. 6198/07 del 16.3.2007, cassava la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione del giudice a quo.
Il giudizio non veniva riassunto nei termini di legge e l’Ufficio, ritenendo che, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 63, comma 2 si fosse verificata l’estinzione dell’intero processo, con conseguente reviviscenza dell’avviso di accertamento impugnato, in data 14.11.2008 provvedeva a notificare al P. una cartella di pagamento di Euro 1.762.059,59 che il contribuente impugnava dinanzi alla C.T.P. di Ancona, sostenendo che la sentenza della C.T.R. delle Marche n. 139/06/01 doveva intendersi passata in giudicato soltanto nella parte non investita dal ricorso per Cassazione e, in particolare, nella parte in cui, l’imponibile accertato, era stato definitivamente fissato in L. 418.000.000 dalla C.T.R. che aveva rettificato i ricavi dell’Edilsider s.r.l. e l’imponibile su cui tassare i soci della società.
La C.T.P. di Ancona respingeva il ricorso, ritenendo che il riconoscimento della estinzione del processo D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 63 era assorbente rispetto ad ogni altra questione sollevata dal ricorrente.
Avverso tale decisione il contribuente proponeva appello, chiedendo che il suo maggior reddito imponibile fosse commisurato all’importo recuperato a tassazione nei confronti della società partecipata pari a L. 418.000.000.
La Commissione Tributaria Regionale delle Marche con sentenza n. 58/7/13, depositata l’8.5.2013, accoglieva l’appello del P..
Detta sentenza veniva quindi impugnata dall’Agenzia delle entrate dinanzi a questa Corte con ricorso affidato a due motivi cui il contribuente non ha opposto alcuna difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia deduce violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 63, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ritenendo che, non avendo alcuna delle parti provveduto a riassumere nei termini di legge l’originario giudizio, concluso con sentenza di cassazione con rinvio di questa Corte (Sez. 5, n. 6198 del 16.3.2007), questo doveva ritenersi definitivamente estinto ai sensi della disposizione evocata.
Il motivo è fondato.
Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte “nel processo tributario, l’omessa o tardiva riassunzione, nel termine di legge, del giudizio a seguito di rinvio dalla Corte di cassazione, ne determina l’estinzione che, differentemente da quanto avviene nel giudizio ordinario, è rilevabile anche d’ufficio, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 45, comma 3, e art. 63 e comporta il venir meno dell’intero procedimento, con conseguente definitività dell’avviso di accertamento” (v. Cass. Sez. 5, 13/12/2018, n. 32276; Sez. 5, 23/11/2016, n. 23922; e, da ultimo, Sez. 5, 05/03/2021, n. 6142).
Invero, poiché l’opposizione avverso l’imposizione fiscale integra una mera azione di accertamento negativo della legittimità della pretesa tributaria, l’eventuale estinzione di tale processo di opposizione (nella specie, per mancata riassunzione davanti al giudice di rinvio) non può implicare l’estinzione dell’obbligazione tributaria, la quale rinviene alla propria base l’atto impositivo stesso, trovando in questo il titolo costitutivo. In tal senso, la pronuncia di estinzione del giudizio comporta ex art. 393 c.p.c., il venir meno dell’intero processo ed in forza dei principi in materia di impugnazione dell’atto tributario la definitività dell’avviso di accertamento e quindi l’integrale accoglimento delle ragioni erariali. La pretesta tributaria vive, infatti, di forza propria proprio in virtù dell’atto impositivo in cui è stata formalizzata e l’estinzione del processo travolge la sentenza di primo grado (e quelle eventualmente successive), ma non l’atto amministrativo che – come noto – non è un atto processuale, bensì l’oggetto dell’impugnazione (cfr. Cass. Sez. 5, 20/04/2021, n. 10288; Cass. n. 9521 del 2017; Cass. n. 15589 del 2013; n. 22548 del 2012).
Ciò posto, a nulla rileva che la C.T.R. Marche con la sentenza n. 139/6/01, in accoglimento del ricorso del contribuente, abbia annullato l’avviso di accertamento impugnato “nella parte non investita dal ricorso per cassazione e cioè in quella parte in cui, implicitamente rettificando l’imponibile accertato (…), lo aveva definitivamente fissato in L. 418.000.000”, trattandosi di statuizione assolutamente inidonea a limitare l’effetto estintivo totale derivante dalla omessa riassunzione della causa di appello, che aveva reso definitivo l’originario avviso di accertamento impugnato.
Quanto alla specificità del diverso regime operante in sede tributaria, rispetto a quello civilistico, questa Corte ne ha chiarito la ragione, evidenziando che “nel giudizio tributario, l’omessa riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio determina l’estinzione del processo, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, comma 2, e la definitività dell’avviso di accertamento impugnato, sicché il termine di prescrizione della pretesa tributaria, necessariamente incorporata nell’atto impositivo, decorre dalla data di scadenza del termine utile per la non attuata riassunzione, momento dal quale l’Amministrazione finanziaria può attivare la procedura di riscossione”. Quanto alle ragioni che giustificano, nel processo tributario, la deviazione dalla regola generale di cui all’art. 2945, comma 3, le stesse vanno individuate nei seguenti elementi di specialità: 1. la natura impugnatoria del medesimo e, in particolare, la natura amministrativa, e non processuale, rivestita dall’atto impositivo, il quale costituisce non atto di impulso del processo, ma il suo oggetto (Cass. 21143/15; 16689/13; 5044/12); 2. la conseguente definitività che deriva all’atto impositivo dall’estinzione del giudizio di impugnazione contro di esso proposto dal contribuente; 3. l’irrazionalità di una soluzione che, ritenendo applicabile anche al processo tributario il disposto generale di cui all’art. 2945, comma 3, verrebbe a far decorrere la prescrizione, a carico dell’amministrazione finanziaria, da una data (l’introduzione del giudizio) antecedente alla definitività dell’atto impositivo che realizza (“incorpora”) la pretesa tributaria medesima; con la conseguenza paradossale che il titolo dell’imposizione potrebbe risultare ineseguibile (perché estinto per prescrizione) ancor prima di essere divenuto definitivo; 4. l’insussistenza, nel processo tributario, della ratio ispiratrice l’art. 2945, comma 3, dal momento che, proprio per la sua natura impugnatoria e per la definitività che l’atto impositivo assume per effetto dell’estinzione del giudizio in caso di mancata riassunzione, è il solo contribuente ad avere interesse alla riassunzione sicché, diversamente argomentando sulla base della regola generale, l’eliminazione dell’effetto sospensivo della prescrizione in pendenza di un giudizio tributario – che poi si estingua per mancata riassunzione opererebbe a favore proprio della parte processuale (il contribuente) che, mostrando disinteresse per la coltivazione del giudizio, ha consentito che l’atto impugnato divenisse definitivo; 5. il regime della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68 non è dirimente in senso contrario alla soluzione qui accolta, posto che: se è ammessa, e nei limiti in cui lo è (sentenze intermedie favorevoli all’amministrazione finanziaria), la riscossione frazionata non realizza in via definitiva la pretesa tributaria (sussistendo, in caso di diverso esito finale del giudizio, l’obbligo di restituzione al contribuente delle somme da questi medio tempore pagate), ma opera sul piano meramente anticipatorio ed interinale degli effetti di un accertamento giudiziale ancora in itinere; se, al contrario, la riscossione frazionata non è ex lege ammessa (sentenze intermedie favorevoli al contribuente), sussiste un impedimento di diritto alla realizzazione della pretesa, con conseguente mancato decorso, per regola generale, del termine prescrizionale (cfr. Cass. Sez. 5, sentenza 18/11/2016, n. 23502).
Ferme tali premesse, nel caso di specie l’atto impositivo (avviso di accertamento) e’, quindi, divenuto definitivo in mancanza della riassunzione del giudizio innanzi al giudice del rinvio, talché la cartella di pagamento emessa dall’Ufficio appare del tutto legittima.
La mancata riassunzione non poteva peraltro determinare il passaggio in giudicato della sentenza riformata, ma causava l’estinzione dell’intero giudizio, ai sensi degli artt. 392 e 393 c.p.c., che disciplinano specificamente il giudizio di rinvio cui non è applicabile la disposizione di cui all’art. 338 c.p.c., dettata per la diversa ipotesi del procedimento di impugnazione.
Ne consegue che l’estinzione dell’intero processo implica il venir meno dell’efficacia di tutte le precedenti pronunce, poiché al giudizio di rinvio non è applicabile l’art. 338 c.p.c. secondo cui l’estinzione del processo di appello determina il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, come chiarito peraltro anche da questa Corte con sentenza n. 17372 del 6 dicembre 2002, secondo cui la pronuncia di estinzione del giudizio comporta ex art. 393 c.p.c. il venir meno dell’intero processo ed, in forza dei principi in materia di impugnazione dell’atto tributario, la definitività dell’avviso di accertamento e quindi l’integrale accoglimento delle ragioni erariali.
Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto – in via subordinata violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ritenendo comunque errato l’assunto secondo cui nel processo avente a oggetto l’avviso di accertamento a seguito della cui definitività è stata emessa la cartella di pagamento si sarebbe formato un giudicato interno circa la riduzione dell’importo accertato, che, secondo l’assunto del contribuente fatto proprio dai giudici a quibus, sarebbe stata statuita della sentenza della C.T.R. Marche n. 139/6/01 e non investita dal ricorso per Cassazione.
Il pieno accoglimento del primo motivo ed il carattere subordinato della censura consentono di ritenere quest’ultima interamente assorbita.
Il ricorso dell’Agenzia delle entrate va pertanto accolto e, non sussistendo l’esigenza di ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.
Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Vanno viceversa interamente compensate le spese del giudizio di merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate; cassa la sentenza impugnata e decidendo la causa nel merito, ex art. 384 c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo del contribuente che condanna al rimborso delle spese di giudizio sostenute dall’Agenzia delle Entrate liquidate in 6.700,00 Euro, oltre spese prenotate a debito. Compensa interamente le spese delle due fasi del giudizio di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021
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