LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11130-2020 proposto da:
C.C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 13, presso lo studio dell’Avvocato OLGA GERACI, rappresentato e difeso dall’Avvocato VINCENZO MANDANICI;
– ricorrente –
contro
CITTA’ METROPOLITANA *****, già PROVINCIA REGIONALE DI *****, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’Avvocato CALOGERO DRAGO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1225/2019 del TRIBUNALE di BARCELLONA POZZO DI GOTTO, depositata il 10/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.
RITENUTO IN FATTO
– che C.C.C. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1225/19, del 10 dicembre 2019, del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, che accogliendo il gravame esperito dalla Città Metropolitana di ***** contro la sentenza n. 19/15, del 25 marzo 2015, del Giudice di pace di Novara di Sicilia – ha accolto l’eccezione di usucapione riproposta dell’appellante, rigettando la domanda risarcitoria proposta dall’odierno ricorrente in relazione ai danni cagionati, ad un immobile di sua proprietà, dalle radici di quattro alberi di eucalipto piantati sul ciglio della strada provinciale n. ***** e appartenenti alla Provincia Regionale di ***** (poi divenuta, in corso di causa, Città Metropolitana di *****);
– che il ricorrente riferisce, in punto di fatto, di aver adito l’autorità giudiziaria sul presupposto che gli alberi in questione fossero stati piantati sul ciglio della strada provinciale a distanza molto inferiore a quella di tre metri dal confine, prevista dall’art. 892 c.c., tanto che le radici degli stessi avrebbero cagionato danni permanenti e continui al muro di cinta dell’immobile di sua proprietà;
– che costituitasi in giudizio la Provincia Regionale di *****, la stessa – senza negare di essere proprietaria degli alberi eccepiva l’intervenuta usucapione del diritto a mantenere gli alberi ad una distanza inferiore a tre metri;
– che istruita la causa anche mediante espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, il primo giudice condannava la convenuta a provvedere, a propria cura e spese, all’estirpazione degli alberi (o, in alternativa, allo scavo e al taglio delle radici ed al controllo periodico del loro accrescimento, ove non fosse stata possibile la ripiantumazione degli stessi in altro sito in zona circostante e prossima a quella in cui essi risultavano “posti a dimora”), ponendo a carico della convenuta le spese di lite e dell’espletata CTU;
– che esperito gravame dalla convenuta soccombente, il giudice di appello – dopo aver inizialmente rigettato l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva e/o dell’esecuzione della sentenza impugnata (tanto che la Città Metropolitana provvedeva all’estirpazione degli eucalipti) – lo accoglieva, dichiarando l’intervenuta usucapione del diritto a mantenere gli alberi a distanza minore rispetto a quella legale, ponendo le spese del primo e secondo grado di giudizio a carico dell’appellato, compensando, invece, quella della CTU;
– che avverso la sentenza del Tribunale barcellonese ricorre per cassazione il C. sulla base – come detto – di due motivi;
– che il primo motivo denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., lamentando che, quale corollario dell’accoglimento dell’eccezione di usucapione (ri)proposta dalla convenuta, il giudice di appello aveva affermato essere stato logicamente travolto anche il capo della sentenza del primo giudice “relativo alla condanna al risarcimento dei danni per la riparazione del muro”;
– che tale statuizione, tuttavia, costituirebbe frutto di “errata applicazione dei principi della responsabilità extracontrattuale, ed in particolare dell’art. 2051 c.c.”, oltre che di “una errata valutazione del complessivo quadro istruttorio acquisto al processo (risultanze CTU)”, essendo “pacifico ed incontestato” visto che in giudizio “mai è stato dedotto e allegato il contrario (art. 115 c.p.c.)” – che gli alberi appartenessero alla Città Metropolitana di ***** e che, come confermato dalla consulenza tecnica d’ufficio, le radici degli stessi recassero pregiudizio alla proprietà dell’odierno ricorrente;
– che, pertanto, a prescindere dall’avvenuta usucapione o meno del diritto a mantenere gli alberi a distanza inferiore a quella legale, la convenuta “non era esente da responsabilità, quale proprietaria e custode della res ai sensi dell’art. 2051 c.c.” (e’ richiamato, sul punto, il principio espresso da Cass. Sez. 1, sent. 14 maggio 1976, n. 1703);
– che il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli arti. 91 e 92 c.p.c., sul rilievo che “attesa la palese fondatezza delle ragioni esposte nell’atto di citazione ed attesa la responsabilità della controparte, il Tribunale non avrebbe potuto condannare la ricorrente alla rifusione delle spese processuali, né compensare le spese di CTU”;
– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, la Città Metropolitana di ***** chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 20 aprile 2021.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso è inammissibile, in ciascuno dei suoi due motivi;
– che, difatti, il primo motivo – che investe una questione (quella dell’applicabilità alla presente fattispecie della previsione di cui all’art. 2051 c.c.), della quale il controricorrente ha eccepito la novità – è inammissibile;
– che, invero, del riferimento all’art. 2051 c.c. – da parte del C. – a supporto della propria pretesa risarcitoria, non vi è traccia alcuna nella sentenza impugnata, sicché quella della responsabilità della Città metropolitana di ***** quale custode degli alberi si pone come questione nuova, dal momento “che questa Corte univocamente esclude che la domanda, impostata ab origine ai sensi dell’art. 2043 c.c.”, possa poi “essere modificata con riconduzione della vicenda al paradigma dell’art. 2051 c.c., per l’inconciliabile diversità dei presupposti” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 22 dicembre 2017, n. 30920, Rv. 647122-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 5 agosto 2013, n. 18609, Rv. 627478-01; Cass. Sez. 3, sent. 21 settembre 2015, n. 18463, Rv. 636899-01);
– che, difatti, la novità della questione va apprezzata in relazione al “mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato”, evenienza ricorrendo la quale deve ritenersi integrata “una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado, e ciò anche se tali fatti erano già stati esposti nell’atto introduttivo del giudizio al mero scopo di descrivere ed inquadrare altre circostanze”, ciò che esclude che essi, successivamente, possano essere “dedotti con una differente portata, a sostegno di una nuova pretesa, determinando in tal modo l’introduzione di un nuovo tema di indagine e di decisione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 11 gennaio 2018, n. 535, Rv. 647219-01, ma nello stesso senso già Cass. Sez. Lav., sent. 12 luglio 2010, n. 16298, Rv. 614527-01; Cass. Sez. Lav., sent. 8 aprile 2010, n. 8342, Rv. 61329901; Cass. Sez. Lav., sent. 23 marzo 2006, n. 6431, Rv. 587699-01; Cass. Sez. 1, sent. 29 novembre 2004, n. 22473, Rv. 578250-01).
– che, in altri termini, “si ha domanda nuova per modificazione della “causa petendi” anche quando sia diverso il titolo giuridico della pretesa, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche diverse da quelle prospettate in primo grado”, e ciò perché “non va confuso il fatto storico, inteso come avvenimento umano o fattuale intervenuto nella vicenda oggetto di causa, con il fatto giuridico costitutivo, che è invece il fondamento della pretesa creditoria, occorrendo avere unicamente riguardo a quest’ultimo al fine di riscontrare se vi sia stato o meno mutamento della domanda” (così, ancora una volta, Cass. Sez. 6-2, ord. n. 535 del 2018, cit.).
– che trova, dunque, applicazione nel caso di specie il principio secondo cui, “ove una determinata questione giuridica che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa” (Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02), onere, nella specie, non soddisfatto dal ricorrente;
– che anche il secondo motivo – sulle spese giudiziali – è inammissibile, presentandosi alla stregua di un “non motivo” (Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01; Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01);
– che esso, lungi dal dedurre vizi nell’applicazione della normativa relativa alla loro liquidazione, postula l’erroneità della decisione di porre quelle di lite a carico del soccombente (e di compensare, invece, quelle per la CTU) quale conseguenza dell’ingiusto rigetto della domanda di merito, ovvero, al più, prospettando la necessità di cassare tale statuizione quale “res sperata” conseguente all’accoglimento dell’altro motivo di impugnazione;
– che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile;
– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
– che in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando C.C.C. a rifondere alla Città Metropolitana di ***** le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte a atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021
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