LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17939-2019 proposto da:
R.M.E.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se medesimo;
– ricorrente –
contro
B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE DI BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO PELLICANO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 726/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 04/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, avvocato M. R. , ha ottenuto nel 2008 una sentenza di reintegra nel possesso del suo studio ai danni dell’avv. Maria Basile.
Egli aveva convenuto quest’ultima assumendo l’occupazione abusiva del proprio studio legale nel quale la B. svolgeva la pratica forense: ottenuto in un primo momento il provvedimento cautelare di reintegra, ne è seguita sentenza nel merito del Tribunale di Cosenza (n. 33 del 2008).
A seguito di tale risultato, il R. ha iniziato una causa per il risarcimento del danno da illegittima occupazione, che però è stata rigettata sia in primo che in secondo grado.
Con decisione conforme i giudici di merito hanno escluso che la decisione di reintegra (la n. 33 del 2008) avesse accertato come illegittima l’occupazione dell’immobile, essendosi limitata a constatare che esisteva una situazione di co-godimento del bene, avendo la B. la detenzione ed il R. il possesso, con reintegra di quest’ultimo, dunque, nel godimento comune, dopo che ne era stato privato dalla sostituzione della chiave di ingresso da parte della B..
La ratio della decisione impugnata è dunque tutta qui: che la decisione sulla reintegra, giudicato esterno, non ha mai ritenuto illegittima l’occupazione del bene da parte della B., la quale è stata solo obbligata a reintegrare nella comune situazione di godimento il R., dopo un breve periodo di circa due mesi di sostituzione della serratura.
Il R. ricorre con tre motivi, cui resiste la B. con controricorso.
RAGIONI DELLA DKCISIONE p..- Il ricorso va dichiarato improcedibile. Infatti, il ricorrente ha dichiarato di aver ricevuto la notifica della sentenza via pec, in data 10.4.2019. Tuttavia, e la data del deposito supera il termine di legge, non v’è traccia della relazione di notificazione, che non è indicata nell’indice tra gli atti allegati, nè risulta comunque depositata in copia, noto essendo che “Il ricorso per cassazione, proposto nel termine breve di sessanta giorni dalla notifica della sentenza impugnata, è improcedibile se il ricorrente, unitamente alla copia autentica della sentenza, non deposita – nei termini di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, anche la relazione di notificazione della stessa, nè il vizio, rilevabile d’ufficio, è sanabile dalla non contestazione da parte del controricorrente” (Cass. 3466/2020; Cass. 19695/2019).
E’ però il caso di osservare che il ricorso è comunque infondato, per i seguenti motivi.
p..- Con il primo motivo il ricorrente assume violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c. nonchè dell’art. 2909 c.c..
Ritiene che la Corte di Appello, nel rigettare la sua domanda di risarcimento da illegittima occupazione dell’immobile, ha travisato la sentenza n. 33 del 2008 che invece ha riconosciuto l’illegittimità della occupazione a suo danno da parte della B..
Con la conseguenza che la corte di merito è incorsa in violazione dell’art. 2909 c.c. non avendo tenuto conto dell’effettivo contenuto della sentenza sulla reintegra e, per altro, verso, avrebbe violato la regola di non decidere ultra perita (art. 112 c.p.c.) nel momento stesso in cui ha indicato una “realtà fattuale diversa da quella acclarata con sentenza definitiva resa tra le medesime parti ” (p. 12).
In conclusione, la decisione di secondo grado ha rigettato la domanda di risarcimento ritenendo erroneamente che l’occupazione non fosse stata accertata come illegittima dal precedente del 2008.
11 motivo è infondato.
Il ricorrente lamenta un duplice errore interpretativo da parte della corte di appello: da un lato l’erronea interpretazione della sua domanda; dall’altro lato l’erronea interpretazione del giudicato esterno. Quanto al primo aspetto, ossia alla errata interpretazione della sua domanda, la censura appare essere di una errata interpretazione del petitum, che secondo una regola di giurisprudenziale di questa corte ridonda poi in vizio di ultrapetizione (Cass. 11103/2020).
In particolare, ritiene il ricorrente che egli aveva svolto una domanda di risarcimento da mero spoglio (la sostituzione della serratura) mentre la corte ha inteso la domanda come di risarcimento da occupazione illegittima.
Si tratta allora di valutare se effettivamente v’è stata una erronea interpretazione del petitum tale da indurre la corte di merito a decidere oltre quanto richiesto dalla parte.
La sentenza impugnata invero dà corretta rilevanza alla richiesta di avere i danni per “abusivo insediamento nell’appartamento” (p. 12 sentenza) al fine di ritenere che il ricorrente ha voluto domandare il risarcimento del danno da occupazione, piuttosto che da fatto di spoglio.
V’è un argomento in più e rilevante. La corte di appello osserva che questa seconda domanda (danno da mero spoglio, ossia a prescindere dalla occupazione illegittima), è stata avanzata dal ricorrente solo con le note difensive e dunque tardivamente (p. 13).
Questo capo di sentenza non è impugnato, salvo quanto si dirà al secondo motivo.
Ed allora se si ritiene corretta l’interpretazione della domanda da parte della corte di appello, ossia se si ritiene che correttamente la domanda è stata intesa come di risarcimento da occupazione illegittima, allora la conclusione vien da sè ed è corretta. La corte di merito ha, interpretando correttamente la decisione che viene invocata come giudicato esterno, ritenuto che non è stata accertata l’illegittimità della occupazione, che anzi, è stata ritenuta legittima, in quanto le due parti avevano il godimento in comune dell’immobile, l’una come possessore e l’altra come detentrice.
In sostanza, il rigetto della domanda del R. è conseguenza della corretta interpretazione che ne fa la corte, la quale intende il petitum come risarcimento del danno da occupazione illegittima e non come risarcimento del danno da mero spoglio e ritiene che il giudicato esterno ha escluso l’illegittimità dell’occupazione; osserva poi la corte che la domanda di risarcimento da mero spoglio è stata avanzata dal ricorrente con le note difensive, ma tardivamente, e questa statuizione è incontestata, non è stata oggetto di motivo di ricorso, salvo quanto si dirà al secondo motivo.
p..- Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 99,116 e 278 c.p.c., nonchè degli artt. 2043,1218 e 1223 c.c..
Secondo il ricorrente la corte ha errato nel non considerare che la privazione del possesso costituisce un fatto potenzialmente produttivo di effetti pregiudizievoli, che doveva portare almeno ad una condanna generica (p. 14 ricorso).
La censura appare duplice: non aver considerato questo fatto lesivo come produttivo di danno; aver ritenuto la domanda come tardiva. Questa seconda censura è preliminare, ma inammissibile.
Il ricorrente contesta la decisione di appello sul punto, ossia quanto alla tardività della domanda, limitandosi a dire: “Non è dato sapere perchè la domanda sia stata erroneamente ritenuta domanda tardiva”, dopo aver ricordato diversi riferimenti nel ricorso all’animus spoliandi della controparte.
Il motivo, in parte qua, è inammissibile in quanto non allega alcunchè a sostegno della tempestività della domanda; non riporta alcun atto da cui desumere che è stata proposta tempestivamente, e dunque non è dato sapere se l’affermazione che essa era tardiva sia o meno corretta. Quanto al primo aspetto della censura (il risarcimento andava concesso per il mero spoglio) è assorbita dal rigetto del primo motivo, posto il modo in cui la corte ha inteso la domanda del ricorrente (non di risarcimento da spoglio, ma da occupazione) e posto che la domanda di risarcimento da spoglio è stata ritenuta tardiva.
p..- Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..
Secondo il ricorrente la corte ha errato nel compensare le spese. Considerata la soccombenza nel giudizio di spoglio e le ragioni addotte in questo, la corte avrebbe dovuto compensare le spese. Comunque, la somma liquidata appare alta rispetto ai paramenti del DM n. 55 del 2014. Quanto all’an, la corte ha liquidato le spese secondo il principio della soccombenza, e dunque la decisione non è censurabile; quanto all’ammontare, il ricorso è inammissibile in quanto privo di reale contestazione: non si dice in cosa il DM n. 55 del 2014 è stato violato e quale avrebbe dovuto essere la liquidazione corretta.
Il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento della somma di 3000,00 curo, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021
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