LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BELLINI Umberto – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21860-2016 proposto da:
C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SIMON BOCCANEGRA 8, presso lo studio dell’avvocato FABIO GIULIANI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI BATTISTA BLESIO;
– ricorrente –
contro
DITTA M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI, 12, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO MASCIOCCHI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE BINNI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1345/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.
FATTI DI CAUSA
1. La ditta M.L. citava in giudizio, dinanzi il Tribunale di Bologna, C.M., esponendo di aver realizzato in esecuzione di un contratto d’appalto concluso con la controparte tra il dicembre 2006 e il marzo 2007 la posa in opera nell’immobile sito in ***** di trecento metri quadri di parquet con materiale fornitogli dal committente. In virtù di tale contratto era stato convenuto un prezzo di Euro 34 al metro quadro. L’attrice aveva ricevuto in corso d’opera un primo acconto per Euro 3854,24 e successivamente, essendo intervenuta su richiesta del committente per porre rimedio a vizi relativi al materiale fornito, aveva poi sollecitato nel febbraio 2007 un secondo acconto per il quale era stato corrisposto solo l’importo di Euro 1560. L’opera era stata consegnata alla fine del mese di marzo 2007 e il saldo, ammontante ad Euro 6233,76, non era mai stato corrisposto. La controparte aveva inviato una lettera raccomandata il 15 ottobre 2008 con la quale aveva contestato l’opera effettuata.
2. Si costituiva C.M. che contestava la pretesa di controparte per i vizi manifestati dal parquet che ne avevano comportato l’integrale rifacimento della levigatura e dell’incollatura.
3. Il Tribunale accoglieva parzialmente le domande attorea e condannava la parte convenuta al pagamento della somma di Euro 5033,76, oltre accessori e spese processuali. Il Tribunale riteneva di qualificare il contratto come contratto d’opera, ex art. 2222 c.c. e riteneva la denuncia dei vizi, ai sensi dell’art. 2226 c.c. tempestiva sulla base delle dichiarazioni testimoniali acquisite nel corso dell’istruttoria. Il Tribunale riteneva, invece, non sussistente il preteso riconoscimento da parte della ditta M. dei vizi lamentati dal convenuto e che l’eccezione sollevata da parte convenuta meritasse accoglimento solo in riferimento ad una parziale riduzione del prezzo, in considerazione della mancanza di accertamenti tecnici attendibili e dei lavori unilateralmente effettuati dal convenuto senza alcuna previa verifica da parte dell’attore. Sulla base del materiale fotografico prodotto e delle dichiarazioni di alcuni testi, il Tribunale riteneva provata la presenza dei vizi (sostanzialmente riferibili a difetti di incollaggio del parquet) limitatamente ad una sola parte dell’opera, tale da giustificare una riduzione del prezzo convenuto dell’importo di Euro 1200, come indicato nella fattura predisposta dallo stesso artigiano con riferimento alle sole opere di incollaggio del parquet e alla sostituzione di alcune tavole Pertanto, secondo il Tribunale, ogni altra opera realizzata senza una preventiva acquisizione del consenso della controparte non poteva ricondursi ai vizi e difetti denunciati, dovendosi, dunque, ridurre l’accoglimento della domanda al solo importo indicato.
4. C.M. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
5. Si costituiva la controparte formulando appello incidentale.
6. La Corte d’Appello di Bologna rigettava tanto l’appello principale quanto l’appello incidentale. Con riferimento all’appello principale riteneva generici e inammissibili i motivi di appello circa la mancata ammissione di alcuni capitoli di prova orale a loro volta ritenuti generici. Riteneva infondato il secondo motivo di appello circa il fatto che a fronte della tempestiva contestazione del vizio il titolare della ditta M. lo avesse riconosciuto come tale con assunzione di nuova garanzia.
La ditta M.L., infatti, aveva richiesto per gli interventi in oggetto il pagamento della somma complessiva di Euro 1200 circostanza incompatibile con un riconoscimento dei vizi imputabili alla propria responsabilità e tale circostanza non era oggetto di contestazione. Risultava, quindi, provata la sussistenza dei presupposti dell’azione di garanzia seppure esperibili nei limiti di cui all’art. 1667 c.c., u.c. al solo scopo di paralizzare totalmente o parzialmente la pretesa del committente. Quanto alla prova della consistenza dei vizi l’appello era infondato in quanto era pacifico che non erano stati compiuti accertamenti idonei all’individuazione e quantificazione dei vizi lamentati e che successivamente al compimento dei lavori erano stati effettuati da terzi interventi che avevano modificato lo stato dei luoghi, rendendo di fatto impossibile qualsiasi attendibile verifica tecnica in corso di causa. L’unico riscontro oggettivamente valutabile era dato dal materiale fotografico prodotto dal committente, materiale che era stato utilizzato dal Tribunale quale elemento di prova ai fini della quantificazione del danno riferibile allo scollamento del parquet. Doveva, quindi, confermarsi la quantificazione dell’importo di Euro 1200 per la loro eliminazione. Doveva rigettarsi invece il motivo di appello relativo al pagamento in nero di parte della somma dovuta. Dei due testimoni citati, il primo non aveva dichiarato di aver visto il pagamento ma solo il versamento di un acconto per l’acquisto del materiale e il secondo non era attendibile, essendo la segretaria del committente.
7. C.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di sei motivi.
8. La ditta M.L. ha resistito con controricorso.
9. Il ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.
La censura si incentra sul denegato riconoscimento del vizio da parte della ditta M. sul presupposto che il ricorrente non avesse contestato la circostanza della richiesta di pagamento per l’intervento riparatorio. Al contrario, il ricorrente evidenzia di aver sempre contestato tale circostanza, come risulterebbe dalla comparsa di risposta e dalla memoria di replica. Peraltro, ciò risulterebbe anche dalla stessa sentenza impugnata, dove si è evidenziato che il C. aveva contestato ogni pretesa di controparte, compreso anche il pagamento di Euro 1100 per la riparazione. Vi sarebbe anche un vizio della sentenza per motivazione apparente e per contrasto inconciliabile fra le affermazioni riportate a pagina 7 e a pagina 9.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 2226,1667 e 2697 c.c.
La censura è ripetitiva della precedente sotto il profilo della violazione delle norme citate in rubrica. Il mancato riconoscimento dei vizi per la richiesta di pagamento delle riparazioni era stato oggetto di contestazione.
2.1 Il primo e il secondo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
La Corte d’Appello ha ritenuto che la ditta M., prestatore d’opera, non avesse riconosciuto alcun vizio, attribuendo i difetti dell’opera ai materiali acquistati tanto da richiedere il pagamento per i lavori ulteriori. In ogni caso la Corte d’Appello, pur ritenendo non contestata la circostanza, ha ritenuto comunque sussistenti i difetti, in particolare per lo scollamento del parquet, e ha ridotto la pretesa della ditta M. nella misura idonea alla loro eliminazione.
Dunque, risulta del tutto irrilevante ai fini del decisum l’affermazione della sentenza nella parte in cui si è desunto che la ditta M. non avesse riconosciuto i vizi perché si era offerta di eliminarli dietro il pagamento di Euro 1200. Infatti, la ditta M. è stata ritenuta responsabile in ordine al suddetto vizio e la somma per la sua eliminazione è stata detratta dal saldo preteso dal prestatore d’opera, ciò a prescindere dal riconoscimento del vizio medesimo.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4.
La censura attiene alla quantificazione dei vizi con motivazione apparente. Il ricorrente aveva fatto esaminare il pavimento da un tecnico e da una ditta specializzata e aveva chiesto sin dall’inizio del processo di disporre una consulenza tecnica, anche in via preventiva. Solo a seguito del dilungarsi del giudizio era stato costretto ad intervenire per restaurare il pavimento non prima però di aver eseguito un ulteriore relazione fotografica da parte del tecnico. Le relazioni prodotte in giudizio non erano state oggetto di contestazione. Peraltro, dalla fattura della ditta che aveva eseguito la riparazione emergeva una spesa di Euro 6583. A fronte di tale materiale probatorio la Corte d’Appello, con motivazione omessa o insufficiente, aveva ritenuto il danno limitato a soli Euro 1200 (quelli richiesti per la riparazione da parte del prestatore d’opera).
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 61,112,113,115,116,699 c.p.c.
La Corte d’Appello sarebbe incorsa in un ulteriore errore, avendo ritenuto che non erano stati compiuti accertamenti idonei all’individuazione e quantificazione dei vizi lamentati. Il ricorrente, fin dalla prima costituzione aveva chiesto una consulenza tecnica d’ufficio e aveva reiterato tale richiesta anche in appello, in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. e la consulenza non era stata disposta nonostante le relazioni di parte e, dunque, non era stato riconosciuto il danno.
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato violazione degli artt. 112,113,115,116,246 c.p.c.
La censura attiene al rigetto dell’appello nella parte in cui il C. aveva dedotto di aver già pagato i lavori effettuati dalla ditta M. anche mediante pagamento in contanti. Il motivo si incentra sulla erronea valutazione delle testimonianze di P.G. che non aveva dichiarato di aver chiesto l’acconto per l’acquisto dei materiali e della teste S.F. che aveva confermato l’avvenuto saldo e che era stata considerata di scarsa attendibilità. Vi sarebbe addirittura una parziale confessione del M..
5.1 I motivi di ricorso terzo quarto e quinto, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.
La Corte d’Appello ha evidenziato che la consistenza dei vizi è stata valutata esclusivamente in base al materiale fotografico prodotto e che ulteriori vizi non sono risultati provati, non essendo stati compiuti accertamenti idonei alla loro individuazione (ATP) anche per gli interventi effettuati successivamente da parte di terzi con modifica dello stato dei luoghi e conseguente impossibilità di una attendibile verifica tecnica in corso di causa.
Tale giudizio si è fondato sulle risultanze istruttorie e, dunque, non è sindacabile da questa Corte se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti che non può essere rappresentato dalle prove già valutate. Infatti, la violazione dell’art. 116 c.p.c. non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016, Cass. S.U. n. 16598/2016).
Il ricorrente, con la suddetta censura tende in realtà ad una rivalutazione in fatto della vicenda mediante una diversa lettura delle fonti di prova complessivamente considerate. Deve richiamarsi in proposito il seguente principio di diritto: “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata”. (Sez. 1, Sent n. 16056 del 2016).
La Corte di merito ha effettuato una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie sufficientemente e logicamente argomentata, fondando il proprio convincimento in base alle complessive risultanze istruttorie, sicché le censure proposte mirano ad una impropria revisione del giudizio di fatto precluso in sede di legittimità. Come si è detto la valutazione delle prove, il giudizio sull’attendibilità dei testi e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557).
Anche il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione e’, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità. La motivazione della Corte d’Appello sul punto è congrua e, peraltro, trova conferma anche nelle stesse conclusioni dell’atto di appello del ricorrente che aveva chiesto procedersi a consulenza solo per esaminare le condizioni del pavimento in relazione alla qualità del teck utilizzato.
In conclusione, deve ribadirsi che perché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno altresì sottolineato che: “In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione” (Sez. U, Sent. n. 20867 del 2020).
Ne consegue l’inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (Sez. L, Sentenza n. 13960 del 19/06/2014; n. 26965 del 2007).
6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,115,116,131,156,161 e 699 c.p.c.
La censura, in modo del tutto generico, ritiene il procedimento e la sentenza nulli per inesistenza di motivazione, per mancato rispetto dei diritti primari di difesa del ricorrente e dei criteri di valutazione della prova.
6.1 n sesto motivo di ricorso è inammissibile.
La censura non è formulata in modo da costituire un effettivo motivo di ricorso, sicché, in considerazione della sua assoluta genericità, deve essere dichiarata inammissibile perché non motivata.
7. Il ricorso è rigettato.
8. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2500 di cui 200 per esborsi.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 28 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2021
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