Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.28863 del 19/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15910-2016 proposto da:

ANAS S.P.A. – AZIENDA NAZIONALE AUTONOMA DELLE STRADE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

O.S., rappresentato e difeso dall’avv. LUIGI TRUDU, e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 392/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 03/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/06/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 3.4.2003 O.S. evocava in giudizio A.N.A.S. S.p.a. innanzi il Tribunale di Cagliari, invocando l’accertamento dell’aggravamento di una servitù di passaggio pedonale e carrabile esistente a carico del cortile di proprietà dell’attrice e a vantaggio del confinante cortile di proprietà della convenuta.

Nella resistenza di A.N.A.S. S.p.a., il Tribunale di Cagliari, con sentenza n. 2024/2011, accoglieva la domanda, sul presupposto che le modalità di esercizio del diritto fossero radicalmente mutate nel 2002. Ordinava quindi ad A.N.A.S. S.p.a. di esercitare il diritto nei soli limiti del passaggio sporadico ed occasionale di automezzi, con divieto di adibire il cortile che costituiva il fondo dominante a parcheggio di vetture private.

Interponeva appello avverso detta decisione A.N.A.S. S.p.a. e si costituiva in seconde cure la O., resistendo al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 392/2015, la Corte di Appello di Cagliari accoglieva in parte l’impugnazione spiegata da A.N.A.S. S.p.a., disponendo che la servitù dovesse essere utilizzata limitatamente ai soli mezzi di servizio della società appellante. Confermava, nel resto, la decisione di prime cure.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione A.N.A.S. S.p.a., affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso O.S..

La parte controricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo. La Corte di Appello sarebbe – secondo la ricorrente – caduta in contraddizione, dapprima affermando la fondatezza del secondo motivo di appello proposto da A.N.A.S. S.p.a. (che aveva chiesto la riforma della sentenza di prime cure, tanto nella parte in cui aveva vietato l’uso del cortile di A.N.A.S. come parcheggio, quanto nella parte in cui aveva limitato l’accesso a detta area, tramite il vicino cortile della O., ai soli mezzi di servizio) e poi disponendo, nel dispositivo, che il diritto di passaggio poteva essere esercitato solo per i mezzi di servizio di A.N.A.S. S.p.a.

La censura è infondata: non si ravvisa alcuna contraddizione tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza impugnata. La Corte di Appello ha ritenuto fondato, in parte, il motivo di appello proposto da A.N.A.S. S.p.a., precisamente nella parte in cui esso attingeva la statuizione della sentenza di primo grado che aveva espressamente proibito l’uso del cortile di A.N.A.S. come parcheggio, sul presupposto che la O. non avesse mai formulato tale richiesta. La Corte di merito, accogliendo – sotto questo specifico profilo – il motivo di gravame proposto da A.N.A.S., ha quindi corretto la decisione di primo grado, affermando che l’accesso al cortile poteva essere esercitato soltanto dai mezzi di servizio di A.N.A.S., e non da auto private.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1062,1074 e 1065 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 La Corte di Appello avrebbe dovuto, una volta verificata l’esistenza della servitù di passaggio a favore del cortile di A.N.A.S. per destinazione del padre di famiglia, accertare la liceità dell’esercizio del diritto in concreto esercitato da A.N.A.S., posto che l’esercizio del passaggio in forma sporadica ed occasionale sino ad una certa data non implicava alcuna rinuncia, né poteva comportare alcun limite, alla piena esplicazione del diritto medesimo. In sostanza, il giudice di merito avrebbe confuso fatto costitutivo del diritto di passaggio e modalità concrete con le quali esso era stato esercitato dal titolare del fondo dominante fino ad un certo momento.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché l’asservimento del cortile della O. era reso evidente dall’esistenza di un cancello di accesso al contiguo cortile di A.N.A.S., che rendeva evidente l’esistenza della servitù di passaggio.

Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1067 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe confuso l’aggravamento della servitù, non consentito, con la mera intensificazione del suo utilizzo, che invece è lecita e rientra nell’ambito dell’esercizio consentito del diritto.

Le censure, che per la loro connessione sono suscettibili di esame congiunto, sono infondate.

Occorre innanzitutto tener conto che, in linea di principio, la determinazione delle modalità di attuazione ed esercizio della servitù di passaggio rientra nelle attribuzioni del giudice di merito (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17940 del 27/08/2020, Rv. 658945). Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto che l’1’struttoria esperita in prime cure avesse dimostrato che “… l’uso del cortile di proprietà dell’ANAS, quando era ancora quest’ultimo Ente ad utilizzarlo, fosse limitato al capo compartimento ed al custode, che avevano abitazione nello stabile dell’ANAS… la pretesa che a partire dal 2002 l’accesso attraverso il cancello posto nella ***** fosse consentito ad un numero indiscriminato di persone… si appalesa come tale, e quindi del tutto corretto deve ritenersi il riferimento operato dal primo giudice all’art. 1065 c.c. mentre affatto fuorviante il richiamo agli artt. 1062 e 1074 della parte appellante” (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). La Corte di merito non ha ecceduto le sue attribuzioni nel momento in cui ha individuato con quali modalità, in concreto, il diritto fosse stato utilizzato dall’avente titolo nel periodo antecedente al 2002, momento – questo – in cui, secondo il giudice di merito, A.N.A.S. ha realizzato una modificazione unilaterale delle predette condizioni, locando a terzi il proprio immobile e pretendendo che l’accesso al cortile fosse esteso a chiunque.

La motivazione della sentenza impugnata è coerente con i principi affermati da questa Corte, secondo cui “Ai sensi dell’art. 1067 c.c., è fatto divieto al proprietario del fondo dominante di apportare innovazioni che, cagionando un apprezzabile pregiudizio, attuale o potenziale, rendano più gravosa la condizione del fondo servente. In particolare, con riferimento alla identificazione dei bisogni del fondo dominante, qualora l’atto costitutivo non contenga una precisa limitazione, la relativa valutazione deve ispirarsi a normali criteri di prevedibilità, la quale deve essere intesa in senso generico ed oggettivo” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11661 del 14/05/2018, Rv. 648397: nella specie, la S.C. aveva ritenuto legittima l’intensificazione dell’onere posto a carico del fondo servente perché prevedibile già al momento dell’acquisto da parte dei rispettivi proprietari, trattandosi del passaggio su una strada in una zona in via di urbanizzazione per la destinazione residenziale dell’area).

In proposito, occorre contemperare due concorrenti principi. Da una parte, quello secondo cui “E’ legittimo che, per le esigenze di coltivazione di un fondo, la servitù (nella specie, di passaggio) venga esercitata con frequenza e mezzi di locomozione diversi da quelli originariamente previsti, tenuto conto dei mutamenti delle colture agrarie e dei progressi della tecnica, rimanendo in tali casi inalterata la funzione economica e giuridica della servitù, senza che possa ritenersi configurato propriamente un suo aggravamento” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 475 del 14/01/2016, Rv. 638641; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6637 del 01/04/2015, Rv. 634763). Dall’altra parte, quello secondo cui “In tema di servitù prediali, l’estensione e le modalità di esercizio del diritto, ove non siano desumibili dal titolo, devono essere individuate mediante i criteri previsti dagli artt. 1064 c.c., secondo cui il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne, e 1065 c.c., per il quale la servitù è costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 216 del 12/01/2015, Rv. 633887; nel caso di specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso il diritto del titolare di una servitù di passaggio su una strada carraia, destinata ad uso agricolo, ad asfaltare la strada medesima, sul rilievo che la realizzazione dell’asfaltatura, non prevista nel titolo, non fosse necessaria ai fini del predetto uso della servitù; nello stesso senso, cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7564 del 23/03/2017, Rv. 643527 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15046 del 11/06/2018, Rv. 649070).

I due principi non sono tra loro in contraddizione: occorre infatti verificare, caso per caso, ove la diversa modalità di uso della servitù rientri nell’ambito dell’esercizio del diritto, attuale o presumibile, e sia dunque da inquadrare come mera intensificazione del predetto esercizio, ovvero ecceda tale limite, e si configuri pertanto come aggravamento non consentito, in assenza di consenso espresso del titolare del fondo servente. L’indagine si rende necessaria ogni qualvolta il titolo costitutivo del diritto di servitù non ne chiarisca in modo preciso l’estensione, ovvero non consideri il mutamento della modalità di esercizio del diritto in concreto verificatosi. Essa, evidentemente, si colloca nei limiti dell’accertamento del fatto devoluto al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, a condizione che essa sia condotta nel rispetto dei richiamati, concorrenti, principi.

Nel caso di specie, la Corte di Appello ha fatto corretta applicazione dei predetti principi, individuando le modalità con cui la servitù era stata in concreto esercitata, prima del 2002 e dopo tale data; ravvisando, all’esito di un giudizio di merito non censurabile in questa sede, un aggravamento dell’esercizio del diritto di servitù; ed adottando una soluzione di contemperamento tra le opposte esigenze, del fondo servente e di quello dominante. La motivazione, che appare coerente, scevra da intrinseci ed insanabili contrasti, adeguata e corrispondente ai principi posti dai precedenti di questa Corte, resiste alle censure proposte dalla parte ricorrente.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2021

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