LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –
Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 33011/2018 proposto da:
F.B., domiciliata in Roma, presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Bottazza;
– ricorrente –
contro
B.S., domiciliato in Roma, presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati Ercole, e Monica Boccardi;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2130/2018 della CORTE d’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 08/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/10/2020 dal Consigliere Dott. Cristiano Valle, osserva quanto segue.
FATTI DI CAUSA
I) La Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. 2130 del 08/08/2018, impugnata in questa sede, ha dichiarato improponibile l’azione civile proposta da F.B., in quanto ella si era già costituita parte civile nel procedimento penale nei confronti di B.S., imputato dei reati di cui all’art. 590 c.p., commi 1 e 2 e art. 348 c.p., per averle procurato lesioni personali a seguito di un’errata terapia endodontica, esercitando la professione di dentista, pur essendo soltanto un odontotecnico.
La sentenza d’appello afferma che il Tribunale civile di Rimini, con sentenza n. 1057 del 2012, aveva accertato la responsabilità del B. e lo aveva condannato, a titolo di risarcimento dei danni, al pagamento della somma di oltre Euro quattromila, in favore della F. e che a seguito della costituzione di parte civile nel processo penale l’azione civile era divenuta improponibile (in dispositivo è usata detta espressione ma in motivazione si fa riferimento al concetto di improcedibilità).
I.1) La sentenza di primo grado era stata impugnata dal B. che eccepì, in via preliminare, la rinuncia agli atti, ai sensi dell’art. 75 c.p.p., da parte della F. e la violazione del principio di infrazionabilità delle domande, in quanto la stessa aveva proposto domande di risarcimento sia nel processo civile che in quello penale.
I.2) La Corte di Appello di Bologna ha, come tratteggiato, accolto l’impugnazione del B. ed ha dichiarato improponibile l’azione civile proposta da F.B. per intervenuta rinuncia agli atti del giudizio ex art. 75 c.p.p..
I.3) Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorre, con atto affidato a tre motivi, F.B..
I.4) Resiste con controricorso B.S..
I.5) Il P.G. ha presentato rituali conclusioni scritte, nelle quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
I.6) Entrambe le parti hanno depositato memorie per l’adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
II) In via preliminare deve rilevarsi la tempestiva proposizione del ricorso da parte della F., in quanto la sentenza d’appello le è stata notificata il 04/09/2018 e il ricorso per cassazione è stato notificato alla controparte il 05/11/2018 in quanto il 03/11/2018 cadeva di sabato, con conseguente proroga della scadenza del termine il lunedì successivo).
III) Il ricorso censura come segue la sentenza della Corte di Appello.
III.1) Il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, violazione e (o) falsa applicazione del principio di frazionamento della domanda giudiziale in relazione agli artt. 2,3,24 e 111 Cost. e art. 88 c.p.c., per avere la Corte dichiarato improponibile la prima domanda risarcitoria proposta dalla F..
III.2) Il secondo mezzo deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., per avere la Corte territoriale affermato la rinuncia agli atti nonostante la dichiarata diversità di bene della vita richiesto (petitum) tra la domanda proposta dinanzi al giudice civile e la successiva domanda svolta nel processo penale con posteriore costituzione di parte civile.
III.3) Il terzo, ed ultimo, motivo propone, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, censura di violazione e (o) falsa applicazione del principio di frazionamento della domanda giudiziale in relazione agli artt. 2,3,24 e 111 Cost. e artt. 88 e 100 c.p.c., per avere la Corte di Appello negato l’interesse della F. al frazionamento della domanda pur con diversità di bene della vita richiesto.
IV) Le censure non sono meritevoli di favorevole esito.
IV.1) Il primo mezzo deduce che l’infrazionabilità l’avrebbe potuta pronunciare solo il giudice penale, in quanto dinanzi ad esso la domanda risarcitoria era stata proposta successivamente a quella già pendente in sede civile.
Il mezzo è infondato. L’azione risarcitoria è unica ed identica: l’art. 75 c.p.p., prevede semplicemente il trasferimento della sede e in cui viene proposta. Ne consegue che se la persona offesa dal reato trasferisce l’azione civile già pendente, nel giudizio penale ivi costituendosi parte civile e chiedendo per la stessa causa petendi e nei confronti del medesimo convenuto-imputato la condanna al risarcimento del danno derivante da quello stesso illecito, non si determina alcun mutamento della domanda (mutatio libelli). Se poi rispetto alla domanda civile originaria, la parte civile intende modificare la pretesa (emendatio libelli) circoscrivendola ad alcune voci di danno soltanto, si tratta di una scelta discrezionale dell’attore-danneggiato che non incide affatto sulla identità dell’azione svolta (il petitum ha per oggetto la medesima obbligazione risarcitoria e le voci di danno costituiscono allegazioni in fatto che sottostanno alle regole del processo ed alle relative preclusioni ma non modificano i termini essenziali della azione risarcitoria).
Fermo quanto sopra, è, inoltre, infondata la questione relativa a quale azione deve essere dichiarata improcedibile, la prima o la seconda: è vero che la giurisprudenza nornofilattica (Sez. U. n. 08353 del 05/04/2013 Rv. 625739 – 01) ha affermato che si è in presenza di una vicenda analoga alla litispendenza ma questo non significa, come vorrebbe la ricorrente, che si applica allora il criterio di risoluzione predisposto dall’art. 39 c.p.c., comma 1 (che attribuisce la competenza a dichiarare la litispendenza a favore del giudizio instaurato per primo). Ciò in quanto l’art. 75 c.p.p., comma 1, è norma speciale rispetto all’art. 39 c.p.c., perchè regola i rapporti tra giudizio penale e civile (mentre l’art. 39 c.p.c., si applica solo tra giudizi civile: di qui l’inconferente richiamo della ricorrente a Cass. n. 17019 del 28/06/2018 Rv. 649441 – 02) e la norma speciale contiene un suo proprio criterio di risoluzione della litispendenza a favore dell’azione civile nel giudizio penale, attribuendo al giudice civile il potere di rilevazione officioso. Le Sez. U. nella richiamata pronuncia affermano che: “E’ allora giocoforza ritenere che la norma regoli in realtà la litispendenza, al fine precipuo di evitare contrasti di giudicati. Con la differenza, rispetto alla disciplina civilistica, che non sarà il secondo giudice a doverla dichiarare, con effetto estintivo, ma il giudice civile, precedentemente adito. E’ allora da ritenersi che l’estinzione operi si d’ufficio, nel senso che non è necessaria l’eccezione di parte, ma possa essere dichiarata solo in quanto, nel momento in cui il giudice trae consapevolezza della situazione processuale, per effetto della segnalazione della controparte o autonomamente, persista la ricordata situazione di litispendenza e non vi sia stata pronuncia sull’azione civile in sede penale. Sarà dunque cura della controparte, che abbia interesse alla declaratoria di estinzione e che non può non essere informata della costituzione di parte civile, essendo imputata nel processo penale, far notare al giudice l’avvenuto trasferimento in sede penale dell’azione civile.”. In tema la giurisprudenza di questa Corte aveva già da tempo (Cass. n. 13946 del 30/06/2005 Rv. 582570 – 01) affermato: “Pertanto l’art. 75 c.p.p., del 1988 va interpretato nel senso che l’esercizio, mediante la costituzione di P.C., della facoltà di trasferire nel processo penale l’azione civile proposta davanti al giudice civile, comporta l’estinzione del processo civile “ipso facto” per rinuncia agli atti, effetto che si produce con la rituale proposizione dell’atto di costituzione nei modi e nelle forme di cui all’art. 79, mentre l’azione civile prosegue, a seguito della “translatio iudicii”, dinanzi al giudice penale, senza che sia quindi configurabile alcuna ipotesi di litispendenza, posto che l’estinzione del giudizio civile esclude la contemporanea pendenza di due giudizi”.
IV.2) Il secondo mezzo deduce errore nella applicazione dell’art. 75 c.p.p., per diversità del bene della vita richiesto (petitum).
Il secondo motivo è parimenti infondato.
I principi sulla infrazionabilità della domanda si collegano proprio alla convergenza di crediti autonomi e distinti, in quanto dipendenti dalla stessa causa petendi. Il credito risarcitorio solo indirettamente va ricondotto al principio perchè non evidenzia “autonomi e distinti” diritti (il diritto ed il credito sono un unico bene: obbligazione di valore comprensiva di tutte le conseguenze dannose derivanti dall’illecito), ma una diversa estensione (secondo le plurime voci di danno) dell’unico diritto di credito. In ogni caso la tesi della ricorrente – secondo cui a danni diversi corrispondono azioni diverse – viene a collidere proprio con lo scopo del principio di infrazionabilità: se tale principio si applica finanche a diritti autonomi, esso non può non applicarsi alle differenti voci di danno del medesimo credito al risarcimento del danno. Deve, quindi, essere riaffermata l’unitarietà dell’azione di condanna al risarcimento dei danni derivanti dal medesimo fatto illecito, essendo irrilevante la sede in cui è proposta e poi trasferita, ed essendo irrilevanti eventuali modifiche della domanda volte a ridurre o ad ampliare il quantum risarcitorio in relazione alle diverse voci di danno (la ricorrente cita giurisprudenza penale risalente al 2016 che sembra sostenere l’opposto di quanto qui ritenuto, ma deve qui ribadirsi l’orientamento della giurisprudenza civile di legittimità – Cass. n. 01985 del 29/01/2008 Rv. 601490 – 01 – e tenuto conto, peraltro, che le sentenze penali citate sono tutte anteriori a Sez. U. n. 04090 del 16/02/2017 Rv. 643111 – 01, sulla quale ci si soffermerà tra breve).
IV.3) Il terzo mezzo afferma violazione degli artt. 2,3,24,111 Cost., nonchè degli artt. 88 e 100 c.p.c. e contesta l’accertamento della Corte d’Appello di assenza di un interesse apprezzabile alla frazionabilità.
Il motivo è infondato.
L’aspirazione a formulare richieste istruttorie nel giudizio penale, può essere ottenuta dalla difesa ivi svolta come “parte offesa” dal reato, non essendo necessaria la costituzione di parte civile (indispensabile invece per domanda e la condanna al risarcimento dei danni): in ogni caso tale aspirazione bene viene soddisfatta dall’art. 75 c.p.p., che consente proprio di trasferire interamente l’azione civile nel processo penale in tal modo si potrà avvalere il danneggiato delle molto meno penetranti limitazioni al diritto alla prova che contraddistinguono il processo penale.
La frazionabilità della domanda giudiziale, sulla quale pure fa perno la difesa della ricorrente, è opzione che può essere consentita in limiti ristretti e, come affermato dalla giurisprudenza nomofilattica più recente (Sez. U. n. 04090 del 16/02/2017 Rv. 643111 – 01, successiva a Sez. U. n. 23726 del 15/11/2007 Rv. 599316 – 01, anch’essa non particolarmente ampia nell’affermazione della frazionabilità) “solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata”, il che, nel caso di specie, non risulta in alcun modo, giusta quanto sopra detto in relazione all’unicità del credito risarcitorio, riscontrabile.
V) Il ricorso deve, conclusivamente, essere rigettato.
VI) Le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate, tenuto conto del valore della controversia, e dell’attività processuale espletata, come in dispositivo.
VII) Infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. n. 04315 20/02/2020) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. n. 05955 del 14/03/2014; tra le innumerevoli altre successive: Sez. U. n. 24245 del 27/11/2015) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 900,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 26 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2021
Codice Civile > Articolo 2020 - Leggi speciali | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 88 - Dovere di lealta' e di probita' | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 100 - Interesse ad agire | Codice Procedura Civile
Codice Penale > Articolo 348 - Esercizio abusivo di una professione | Codice Penale
Costituzione > Articolo 2 | Costituzione
Costituzione > Articolo 3 | Costituzione