Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.30780 del 29/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25736-2016 proposto da:

CURATELA DEL FALLIMENTO ***** S.R.L., in persona del Curatore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA CORONA, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANFRANCO TARANTINO, giusta delega in atti;

– ricorrente e controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA REGIONALE PER LA CASA E L’ABITARE PUGLIA CENTRALE, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 23, presso lo studio dell’avvocato ARTURO SALERNI, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE CAMPANELLI, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

nonché contro C.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato NICCOLO’ MARIA DE MATTEI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA FIOCCO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

CH.RE., CH.FR., ch.ri., CH.AN., CH.EM., CH.GI., ch.ra.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1575/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 14/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/06/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

LA CORTE:

OSSERVA Ch.Lu., in proprio e quale procuratore di Ni., Gi., Re., Fr. e ch.ri., citò in giudizio l’IACP di Bari, chiedendo che gli attori fossero dichiarati proprietari di uno stacco di terreno. L’ente convenuto avanzò domanda riconvenzionale d’acquisto per usucapione. Intervenne in giudizio la s.r.l. *****, a sua volta dichiaratasi proprietaria dell’immobile. L’adito Tribunale rigettò tutte le domande.

Propose appello l’IACP. Il Fallimento della s.r.l. *****, per quel che qui ancora rileva, avanzò appello incidentale, con il quale chiese di essere riconosciuta proprietaria del fondo.

Gli eredi di Ch.Lu., costituitisi, manifestarono piena acquiescenza alla sentenza del Tribunale nella parte in cui li riguardava direttamente.

La Corte d’appello, con la sentenza di cui in epigrafe, qualificata la domanda fatta propria dal fallimento come di rivendicazione, ne confermò il rigetto per mancanza di prova. L’appellante aveva riassunto la sequela traslativa dalla quale trarsi il proprio diritto di proprietà nei termini seguenti:

– essa aveva acquistato, il 12/7/1991 dalla s.r.l. Costruzioni 88; quest’ultima, il 19/1/1989, da Ch.Sa.; il Ch., il 16/11/1988, da Ca.Ga., il quale aveva acquisito la proprietà per usucapione, come traevasi dal successivo (21/2/1997) negozio di accertamento, con il quale gli aventi causa dell’originaria proprietaria (tale G.), i germani Ch., avevano riconosciuto l’acquisto a detto titolo del Ca..

La Corte di Bari esclude che l’appellante abbia dato prova della propria titolarità, non avendo soddisfatto la “probatio diabolica” richiesta dalla legge, non potendosi reputare “a domino” l’acquisto del Ca., il quale si era autoproclamato proprietario per usucapione, in assenza di accertamento giudiziale.

La sentenza rigetta del pari l’impugnazione dell’IACP.

Avverso la sentenza d’appello il Fallimento della s.r.l. ***** ricorre sulla base di due motivi. Resiste con controricorso, in seno al quale propone ricorso incidentale, fondato su unitaria censura, l’Agenzia regionale per la Casa e l’Abitare – Puglia Centrale, subentrata all’IACP di Bari.

Resiste al ricorso incidentale, con controricorso, il Fallimento.

Controricorre avverso il ricorso incidentale C.E., erede di Ch.Lu..

Hanno depositato memorie illustrative il Fallimento e l’Agenzia.

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1158 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta che la decisione impugnata ha erroneamente affermato la necessità che l’acquisto per usucapione venga accertato giudizialmente.

Il motivo è fondato.

Il Collegio intende dare continuità all’indirizzo, più volte confermato da questa Corte, secondo il quale non è nullo il contratto di compravendita di un immobile sul quale il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell’usucapione, ancorché l’acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario (Sez. 2, n. 2485, 05/02/2007, Rv. 596957; conf., ex multis, Cass. n. 7853/2018).

Dall’accoglimento del primo motivo deriva l’assorbimento (in senso proprio) del secondo motivo proposto dal Fallimento, con il quale viene denunziata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte locale qualificato la domanda di mero accertamento, come di rivendica, nonostante non avesse alcun effetto recuperatorio; il che avrebbe dovuto far reputare sufficiente provare il titolo del proprio acquisto, senza necessità di risalire fino al primo acquisto a titolo originario.

L’Agenzia regionale per la Casa e l’Abitare – Puglia Centrale, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1158 e 1164 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta che la Corte locale non aveva ben giudicato la vicenda, in quanto:

– l’IACP, con decreto prefettizio, nel 1945 aveva occupato il fondo;

– la proprietaria (sig.ra G.) non aveva promosso azione per il recupero del fondo, ma instato solo per ottenere il risarcimento;

– nel 1961 costei aveva evocato davanti al notaio l’IACP, onde ottenere il formale trasferimento dell’appezzamento;

– e la mancata partecipazione dell’ente aveva costituito chiara “interversio possessionis”;

– il possesso non era stato mai interrotto;

– l'”animus possidendi” era insito nell’origine espropriativa.

La doglianza non supera il vaglio d’ammissibilità.

La sentenza qui censurata, sul punto, chiarisce che la corrispondenza del fondo occupato con quello di cui qui si tratta non appariva certa; che era dubbia la circostanza che l’ente, dopo il 1949, avesse continuato ad occupare i 520 mq di cui qui si discute, dei quali aveva pubblicamente affermato il possesso “uti dominus” il Ca.; che, in ogni caso, non era stata data dimostrazione del requisito subiettivo (“animus possidendi”), poiché, l’ente aveva manifestato la propria disponibilità a restituire il suolo alla G. senza condizione alcuna; “laddove fu la G., se mai, a insistere perché quel suolo venisse acquistato dall’IACP dietro corresponsione di una certa somma”. Con la conseguenza che “un situazione equivoca già in partenza, che è stata in ogni caso derubricata dall’IACP in mera detenzione dopo la dichiarata disponibilità a restituire il bene nel 1961 (o ancor prima), non può essersi in seguito aggravata in “possesso” senza che fosse intervenuto un comportamento materiale realmente oppositivo neo confronti della G.”.

Il riportato ordito motivazionale non risulta scalfito dalla critica censuratoria, la quale anela a un improprio riesame di merito, sulla base di un’alternativa ricostruzione fattuale largamente aspecifica, sotto il profilo dell’autosufficienza.

La dedotta violazione di norme di legge, qui piuttosto palesemente, risulta inammissibilmente diretta al controllo motivazionale, in spregio al contenuto del vigente art. 360 c.p.c., n. 5 in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).

Il controricorso di C.E. è inammissibile per difetto d’interesse, avendo gli eredi di ch.lu., come si è già detto, prestato piena acquiescenza alla sentenza di primo grado.

In ragione di quanto sopra precisato la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio. Il Giudice del rinvio regolerà le spese anche del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della controricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara assorbito il secondo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione all’accolto motivo e rinvia alla Corte d’appello di Bari, altra sezione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021

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