Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33523 del 11/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giovanni – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14003-2019 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA CANCELLERIA 85, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO FIORENTINI, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.F., C.D.; C.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA E.Q. VISCONTI 99, presso lo studio dell’avvocato BERARDINO IACOBUCCI, e rappresentati e difesi dall’avvocato PIETRO MASTRANGELO giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 448/2018 della CORTE d’APPELLO di LECCE – SEZ. DIST. Di TARANTO, depositata il 30/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il Tribunale di Taranto, con la sentenza n. 3666/2014, dichiarava la risoluzione del contratto preliminare di compravendita concluso tra C.C. e De.An., quali promittenti venditori, e D.G., quale promissario acquirente, avente ad oggetto un fondo rustico in *****, posto che il bene continuava ad essere gravato da ipoteca, sebbene i promittenti venditori si fossero impegnati a provvedere alla cancellazione.

A fronte dell’eccezione di prescrizione dell’azione di risoluzione sollevata dagli odierni controricorrenti, quali successori delle originarie parti contraenti, il Tribunale reputava che gli stessi eccipienti avevano di recente mostrato interesse alla stipula del definitivo, con la conseguenza che il dies a quo della prescrizione era da far risalire alla data in cui l’attore aveva inoltrato una diffida ad adempiere, atteso che precedentemente le parti avevano confermato l’interesse alla stipula del definitivo.

A seguito di appello dei C., la Corte d’Appello di Lecce Sezione distaccata di Taranto, con la sentenza n. 4448 del 30/10/2018, ha accolto il gravame, rigettando la domanda proposta, in quanto prescritto il diritto alla risoluzione.

A fronte della deduzione del Tribunale secondo cui il manifestato interesse delle parti alla conclusione del contratto faceva sì che il dies a quo della prescrizione del diritto alla risoluzione del contratto andasse collocato al momento in cui l’attore aveva inoltrato una diffida ad adempiere, la Corte distrettuale riteneva che non potesse rimettersi alla valutazione di una sola delle parti, circa la gravità dell’inadempimento, la fissazione del termine inziale della prescrizione.

Poiché la gravità dell’inadempimento, in correlazione alle obbligazioni reciprocamente assunte, ha natura oggettiva, la mera tolleranza delle parti nella pendenza del rapporto contrattuale non poteva condizionare anche la diversa questione della prescrizione.

Nella specie, il contratto preliminare, risalente al 1994, prevedeva che il trasferimento della proprietà dovesse avvenire entro la data del 31/12/1997, dovendosi entro tale data provvedere anche alla cancellazione dell’ipoteca.

La fissazione di un termine per adempiere rivestiva un’importanza per entrambi i contraenti, sicché il dies a quo della prescrizione doveva fissarsi nella detta data del 31 dicembre 1997, con la conseguenza che il termine decennale era ampiamente maturato sia alla data della comunicazione della diffida ad adempiere (del 12/5/2010), sia alla successiva data di proposizione della domanda di risoluzione (2011).

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso D.G. sulla base di due motivi.

C.F., C.D. e C.C. resistono con controricorso.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1353,1358,1453,1455,2932,2934,2935 e 2946 c.c.

Si sostiene che nel 2010 i promittenti venditori avevano manifestato l’interesse alla stipula del definitivo e che a tale manifestazione di interesse il ricorrente aveva replicato con una diffida ad adempiere, sicché correttamente il Tribunale aveva individuato in tale ultima diffida l’evento a partire dal quale iniziava a decorrere la prescrizione dell’azione di risoluzione.

Infatti, solo a seguito della diffida poteva reputarsi cessata la tolleranza dell’inadempimento altrui, e poteva reputarsi che avesse assunto i connotati della gravità.

Il motivo è infondato.

Questa Corte anche di recente ha affermato che (Cass. n. 1889/2018) il termine di prescrizione del diritto dell’acquirente alla risoluzione del contratto e al risarcimento del danno, nella specie derivante dalla consegna di “aliud pro alio”, decorre, ai sensi dell’art. 2935 c.c., non dalla data in cui si verifica l’effetto traslativo, ma dal momento in cui, rispettivamente, ha luogo l’inadempimento e si concreta la manifestazione oggettiva del danno, avendo comunque riguardo all’epoca di accadimento del fatto lesivo, per come obiettivamente percepibile e riconoscibile, e non al dato soggettivo della conoscenza della mancata attuazione della prestazione dovuta e del maturato diritto al risarcimento, potendo tale conoscenza essere colpevolmente ritardata dall’incuria del titolare del diritto.

E’ pur vero che, come richiamato dalla difesa del ricorrente, questa Corte ha ritenuto che (Cass. n. 11640/2003), in tema di prescrizione del diritto potestativo alla risoluzione del contratto per inadempimento, il termine decorre, ai sensi dell’art. 2935 c.c., non dal momento in cui si verifica un qualunque inadempimento ma soltanto da quello in cui si realizza un inadempimento di non scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse della controparte, sicché nell’ipotesi di obbligazioni a termine incerto e non immediatamente eseguibili tale momento coincide con quello in cui il ritardo nell’adempimento eccede ogni limite di tolleranza, tuttavia, ove si abbia riguardo alla fattispecie decisa in quel caso, si è attribuita rilevanza alla diffida del venditore all’adempimento delle obbligazioni, che però erano a termine incerto.

Nel caso in esame, la Corte distrettuale ha però valorizzato la circostanza che nello stesso preliminare le parti avevano concordato un termine (distante circa due anni dalla conclusione del preliminare) entro cui si sarebbe dovuti addivenire alla stipula del definitivo, previa cancellazione delle iscrizioni pregiudizievoli, ritenendo quindi che tale indicazione segnasse il limite temporale che le parti si erano poste per l’attuazione degli obblighi contrattuali, la cui scadenza rendeva non più giustificata l’inerzia dei promittenti venditori.

In tal modo, con una valutazione in fatto, non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che alla data del 31/12/1997 la mancata cancellazione dell’ipoteca da parte dei C. concretasse un grave inadempimento che legittimava l’immediata proposizione dell’azione di risoluzione e quindi la decorrenza del relativo termine prescrizionale.

Il secondo motivo denuncia l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2937-2944 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si evidenzia che nel corso del giudizio era stato acclarato che l’attore avesse provveduto al pagamento del prezzo in maniera integrale e che fosse stato immesso nel possesso del bene, venendo tollerata l’esecuzione di migliorie.

Tali fatti erano stati invocati già nella comparsa conclusionale in primo grado come idonei ad interrompere la prescrizione, e la deduzione era stata reiterata in appello, occorrendo tenere conto della facoltà di rilievo d’ufficio degli atti interruttivi della prescrizione.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

Come evidenziato dalla difesa dei controricorrenti, la rilevanza della condotta dei convenuti come idonea a concretare un riconoscimento del diritto, nella specie di quello di richiedere la risoluzione, interruttivo come tale della prescrizione, aveva costituito oggetto della sentenza di primo grado che, facendo leva sui principi affermati da Cass. n. 8355/1998, secondo cui la disponibilità di una delle parti di un preliminare a stipulare il contratto definitivo, dichiarata successivamente alla maturata prescrizione, se configura rinuncia ad avvalersi della prescrizione dell’omologo diritto della controparte, non implica anche la rinuncia al diverso diritto alla risoluzione di esso, né tale implicazione può inferirsi dall’idoneità dell’esercizio dell’azione di adempimento del medesimo preliminare ad interrompere la prescrizione del diritto alla risoluzione, giustificata dell’esperibilità di entrambe le azioni nel medesimo processo, aveva sottolineato come si fosse escluso che la reiterata disponibilità dei C. alla conclusione del definitivo, potesse implicare anche una rinunzia ad eccepire la prescrizione della domanda di risoluzione.

Posta tale premessa, deve in primo luogo rilevarsi che nella sentenza impugnata si legge alla pag. 4, secondo capoverso che “Nella specie, non può essere condizionata (l’importanza dell’inadempimento) dal contegno tollerante assunto nella pendenza del rapporto, trovando essere naturale sistemazione nel quadro della regolamentazione negoziale”, affermazione che, proprio in quanto riferita all’individuazione del dies a quo della prescrizione, implica che i fatti di cui al motivo in esame siano stati in realtà valutati dal giudice di appello, e non reputati rilevanti, il che esclude la ricorrenza del vizio di omessa disamina del fatto decisivo.

Quanto, invece, alla violazione di legge, va osservato che sia il pagamento del prezzo che l’immissione nel godimento del bene sono avvenuti in data presso che contestuale alla stipula del preliminare, sicché ad opinare nel senso suggerito dal ricorrente, la prescrizione dell’azione di risoluzione non verrebbe mai a maturare.

A ciò deve aggiungersi che, non essendo stato dedotto il versamento di rate del prezzo nei dieci anni dalla proposizione della domanda di risoluzione (al fine di attribuire a tali successivi versamenti l’astratta idoneità a fungere da atti interruttivi), quanto alla tolleranza della permanenza nel godimento del bene, con l’esecuzione di pretese migliorie, la sopra segnalata differenza tra riconoscimento del diritto all’esecuzione del preliminare e del diritto alla risoluzione del contratto, impone di ritenere che si tratti di condotta che possa avere rilevanza in relazione al primo diritto, denotando effettivamente l’interesse anche dei promittenti venditori alla permanenza del vincolo in vista della sua fisiologica attuazione, ma non anche quale riconoscimento del diritto a far venire meno il vincolo.

Depone in tal senso proprio la lettura della motivazione di Cass. n. 5285/2012, invocata dallo stesso ricorrente che, in relazione alla sollevata eccezione di prescrizione della domanda ex art. 2932 c.c., ha rilevato che avessero valenza interruttiva della prescrizione la ricezione di versamenti sino ad appena tre anni prima della proposizione della domanda di esecuzione in forma specifica, e la tolleranza dell’occupazione del bene da parte del promissario acquirente.

Ne discende che la portata interruttiva di tali comportamenti va limitata alla sola prescrizione del diritto ad ottenere l’esecuzione al preliminare, ma non anche del diritto di chiedere la risoluzione (palesandosi un’intrinseca incompatibilità tra il riconoscimento del diritto della controparte di far venire meno il vincolo ed il tollerare, come nel caso in esame, una anticipazione degli effetti del rapporto che scaturirebbe dal definitivo), dovendosi in tali limiti contenere la portata anche del riconoscimento della valenza interruttiva operato tuttavia in maniera ben più ampia da Cass. n. 14463/2011).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472