LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7240/2014 R.G. proposto da:
GE. RE. MA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Piero Nitolli, presso cui elettivamente domicilia in Roma al viale Mazzini n. 13;
– ricorrente –
contro
in persona del direttore p.t,. costituita, ai soli fini all’udienza, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è
domiciliata, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– intimata –
avverso la sentenza n. 501/14/13 della Commissione tributaria regionale del Lazio, pronunciata I’ll giugno 2013, depositata il 18 settembre 2013 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 20 ottobre 2020 dal Consigliere Dott.ssa Giudicepietro Andreina.
RILEVATO
CHE:
GE.RE.MA s.r.l. ricorre con tre motivi avverso l’Agenzia delle entrate per l’annullamento della sentenza n. 501/14/13 della Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito C.t.r.), pronunciata l’11 giugno 2013, depositata il 18 settembre 2013 e non notificata, che ha accolto l’appello dell’Ufficio, in controversia relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento per l’anno di imposta 2005, ai fini Ires, Irap ed Iva, con cui l’amministrazione finanziaria disconosceva una serie di costi, non documentati e non inerenti;
l’Agenzia delle entrate si costituisce ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza;
il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 20 ottobre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;
la ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;
secondo la ricorrente, l’amministrazione finanziaria con l’atto di appello non avrebbe mai contestato l’inesistenza dei costi, ritenuta dal giudice di secondo grado, ma solo la mancata inerenza degli stessi;
il motivo è infondato;
la stessa ricorrente, a pagina 5 del ricorso, dà atto che l’Agenzia delle entrate, nel ricorso in appello aveva ribadito quanto già sostenuto nelle controdeduzioni in primo grado (vedi pag.3 del ricorso), e cioè che la contestazione dell’Ufficio atteneva alla mancata dimostrazione dell’inerenza dei costi, per l’insufficiente documentazione prodotta dalla contribuente, piuttosto che all’inesistenza degli stessi, ulteriormente precisando che, comunque, la mancata indicazione, nelle fatture contestate, delle modalità di pagamento, per importi spesso molto rilevanti, ingenerava dubbi anche sulla sussistenza delle operazioni;
il giudice di appello, con la sentenza impugnata, ha ritenuto, con un’indagine di fatto specifica e puntuale, non sindacabile in sede di legittimità, che la contestazione dell’Agenzia fosse fondata, in quanto la documentazione prodotta dalla contribuente non era sufficiente a dimostrare l’inerenza e l’effettività dei costi portati in deduzione;
non si ravvisa, quindi, il vizio di “ultrapetizione” lamentato dalla ricorrente;
con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., nonchè del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
secondo la ricorrente, il giudice di appello non avrebbe considerato che gravava sull’Ufficio l’onere di dimostrare la non inerenza dei costi, di cui la contribuente aveva invece dato prova, mediante al produzione di contratti e fatture;
il motivo è infondato;
secondo la costante giurisprudenza di legittimità, “l’onere di provare e documentare l’imponibile maturato e dunque l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d’impresa, grava sul contribuente” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 30366 del 21/11/2019);
tale onere probatorio non viene meno con la mera esibizione, da parte della contribuente, di contratti e fatture, che il giudice di appello ha ritenuto, a seguito di un esame analitico della documentazione prodotta, inidonei a fornire la dimostrazione dell’effettività ed inerenza dei costi dedotti;
“in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa. (Nella specie la S.C. ha negato la deducibilità del corrispettivo di una consulenza svolta dalla capogruppo a favore della controllata-contribuente, in ragione della genericità e laconicità della descrizione della prestazione in fattura e nel contratto regolante il rapporto fra le due società e della conseguente impossibilità per il fisco di verificare analiticamente ed adeguatamente l’inerenza della spesa, tanto più necessaria atteso il suo ingente ammontare)” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21184 del 08/10/2014);
si è anche detto che “in tema di redditi di impresa, ai fini della deduzione delle spese relative a contratti a forma libera, il contribuente deve in ogni caso dimostrarne puntualmente l’esistenza, l’oggetto, l’ammontare, l’inerenza, nonchè la congruità del prezzo corrisposto per gli stessi e l’effettività del pagamento” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32280 del 13/12/2018);
anche con riguardo all’Iva, sebbene la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e quella di questa Corte abbiano affermato che l’inerenza del costo possa essere esclusa solo in caso di manifesta macroscopica antieconomicità, “ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18904 del 17/07/2018);
pertanto, anche il secondo motivo è infondato, perchè il giudice di appello, correttamente applicando i principi più volte enunciati da questa Corte, ha ritenuto che fosse onere della contribuente dimostrare l’inerenza, certezza ed effettività dei costi dedotti, rilevando come la prova documentale offerta dalla contribuente non fosse sufficiente a tanto;
con il terzo motivo, la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, per aver omesso la C.t.r. di vagliare tutti i contratti ed i rinnovi, che proverebbero l’inerenza dei costi di cui alle relative fatture;
il terzo motivo è inammissibile, perchè tende sostanzialmente ad una rivalutazione degli elementi istruttori, preclusa in sede di legittimità;
il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito;
l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti;
in conclusione il ricorso va complessivamente rigettato;
nulla deve disporsi in ordine alle spese, in quanto l’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021