L’azione di restituzione si differenzia da quella di rivendicazione per il fatto che la prima è di natura personale e presuppone che la detenzione della cosa sia stata trasferita al convenuto dall’attore o dal suo dante causa in forza di un rapporto successivamente venuto meno con il conseguente sorgere obbligo di restituzione.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. GUIZZI GIAIME Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14910-2019 proposto da:
S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 86, presso lo studio dell’Avvocato MELUCCO ANDREA, che la rappresenta e difende unitamente all’Avvocato MANTOVAN MATTEO;
– ricorrente –
contro
D.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’Avvocato PAFUNDI GABRIELE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PASTEGA GIOVANNI MARIA, BASILE ROSSANA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 151/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’08/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME GUIZZI STEFANO.
RITENUTO IN FATTO
– che S.G. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 151/19, del 21 gennaio 2019, della Corte di Appello di Venezia, che – accogliendo il gravame esperito da D.R. avverso l’ordinanza emessa ex art. 702-bis c.p.c. dal Tribunale di Venezia, pubblicata il 2 settembre 2016 – ha rigettato la domanda, proposta dall’odierna ricorrente, di condanna della D. alla restituzione dell’appartamento al piano ammezzato del fabbricato “*****”, sito in Venezia, Cannaregio *****;
– che, in punto di fatto, la ricorrente riferisce di essere proprietaria dell’appartamento “de quo”, nel quale – sino al 26 settembre 2015, data del decesso – aveva vissuto il di lei padre, S.A., in qualità di usufruttuario;
– che con il predetto S.A. aveva coabitato la D., in virtù di contratto di collaborazione ed assistenza domestica con il medesimo stipulato;
– che trascorsi quindici giorni dalla morte del proprio genitore, l’odierna ricorrente – essendo venuto meno, oltre al titolo negoziale che aveva legittimato la permanenza della D. nell’appartamento, anche quello previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro dei collaboratori domestici, art. 39, comma 5, (che legittima i medesimi a tale ulteriore, limitata, permanenza, al fine di permettergli di organizzarsi e trovare una nuova occupazione) – richiedeva il rilascio dell’immobile;
– che a fronte del rifiuto della D., la Sandi adiva, ex art. 702-bis c.p.c., il Tribunale di Venezia, per vedere accertata l’occupazione “sine titulo” della convenuta, nonché ordinata la condanna della stessa alla restituzione dell’immobile ed al risarcimento del danno (da liquidarsi in separato giudizio);
– che costituitasi in giudizio la D., la stessa eccepiva l’inammissibilità dell’azione esperita nei suoi confronti, qualificata la stessa come rivendica, in relazione alla quale l’attrice non aveva assolto l’onere della prova della proprietà del bene, oltre ad eccepire l’esistenza di un legato testamentario di Angelo Sandi, che le avrebbe riconosciuto un diritto di abitazione della durata di tre anni;
– che la Sandi ribadiva la natura personale dell’azione esercitata;
– che l’adito giudicante accoglieva la domanda, sul presupposto che l’azione esperita fosse stata dall’attrice “correttamente qualificata” come “azione personale di restituzione”;
– che esperito gravame dalla D., il giudice di appello lo accoglieva, sul presupposto che quella esercitata fosse un’azione di rivendicazione, visto che “l’azione di restituzione è destinata ad ottenere l’adempimento dell’obbligazione di ritrasferire un bene in precedenza volontariamente trasmesso dall’attore al convenuto in forza di negozi giuridici”, mentre la Sandi aveva agito “facendo valere la sua qualità di proprietaria”;
– che avverso la decisione della Corte lagunare ricorre per cassazione la Sandi, sulla base di tre motivi;
– che con il primo motivo la ricorrente ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’art. 948 c.c., deducendo di aver agito, non perché fosse riconosciuto il suo diritto di proprietà dell’immobile “erga omnes”, ma per ottenere la mera restituzione dello stesso, essendo venuto meno il termine legale di cui all’art. 39 c.c.n.l., comma 5, senza che la sua proprietà fosse contestata dalla D. e senza, soprattutto, che la prova della stessa fosse necessaria, essendo sufficiente, nell’azione di restituzione, il venir meno del titolo dell’altrui detenzione;
– che il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe mutato “ex officio” il titolo della pretesa, evocandosi, all’uopo, l’arresto di questa Corte che ha ravvisato il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione ad un caso in cui il comodante aveva esperito l’azione contrattuale di restituzione, in luogo di quella reale di rivendicazione;
– che il terzo motivo denuncia – nuovamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – violazione dell’art. 112 c.p.c., per essere stato disatteso il principio di “non contestazione”, visto che D. non avrebbe mai contestato che unica proprietaria dell’immobile è l’odierna ricorrente;
– che ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la D.;
– che in relazione al primo motivo di ricorso, la controricorrente rileva l’impossibilità per la ricorrente di porre a fondamento dell’azione esperita sia il venir meno del rapporto lavorativo con Angelo Sandi, essendo lo stesso intercorso con il defunto usufruttuario, sia la scadenza del termine di cui all’art. 39 c.c.n.l., comma 5, concernente, nuovamente, una relazione contrattuale corrente “inter alios”, ribadendo, infine, che in difetto di una (precedente) volontaria trasmissione, da parte dell’odierna ricorrente, dell’immobile per cui è causa, alla stessa sarebbe precluso l’esperimento dell’azione di restituzione;
– che il secondo motivo – del quale, peraltro, è eccepita l’inammissibilità per difetto di autosufficienza – sarebbe infondato, avendo la Corte basato la propria diversa qualificazione dell’azione (rispetto a quella operata dal Tribunale) sul rilievo che la Sandi avesse fatto valere la sua qualità di proprietaria;
– che il terzo motivo, infine, sarebbe inammissibile, giacché l’esistenza, “inter partes”, di un contratto di comodato costituirebbe questione nuova;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio fissata, originariamente, per il giorno 13 febbraio 2020;
– che entrambe le parti hanno depositato memoria, insistendo nelle rispettive argomentazioni, formulando la ricorrente anche rilievi alla proposta avanzata dal consigliere relatore;
– che questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 12847/20, del 26 giugno 2020, ha rilevato la necessità di acquisire il fascicolo d’ufficio, al fine di verificare – con particolare riferimento allo scrutinio del terzo motivo di ricorso, prospettante un “error in procedendo” (rispetto al quale il giudice di legittimità è anche giudice del “fatto processuale”) – le difese proposte in primo grado dall’odierna controricorrente;
– che essendo stato espletato tale incombente a cura della cancelleria di questa Corte, veniva disposta nuova adunanza camerale per la data dell’8 luglio 2021, facendone comunicazione alle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso va accolto, per quanto di ragione;
– che questo collegio ritiene – anche alla stregua della disposta acquisizione del fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado – che debba superarsi la proposta formulata, a suo tempo, dal consigliere relatore, nel senso del rigetto della presente impugnazione;
– che la disamina degli atti processuali, ed in particolare della memoria di costituzione depositata dalla D. nel procedimento ex art. 702-bis c.p.c. radicato dalla Sandii innanzi al Tribunale di Venezia, rivela che l’allora convenuta in giudizio – a fronte della pretesa dell’attrice di conseguire la restituzione del bene (della quale assumeva di essere unica proprietaria), in ragione della cessazione del rapporto di collaborazione domestica intrattenuto dalla convenuta con il già usufruttuario dell’immobile, il defunto Angelo Sandi, per essere venuto a scadenza, dopo il decesso dell’uomo, anche il termine di quindici giorni, previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro dei collaboratori domestici, art. 39, comma 5, che legittimava la D. a protrarre temporaneamente la propria presenza nell’appartamento – non ha né contestato che la Sandi fosse l’unica proprietaria del bene, né ha svolto la c.d. eccezione “possideo quza possideo”;
– che, per un verso, l’allora convenuta ha riferito, nella suddetta memoria, di essere stata citata in giudizio per il rilascio dell’immobile, riconoscendo che la Sandi ebbe ad agire “nella sua qualità di unica proprietaria del bene” (nonché precisando che il titolo dominicale dell’attrice era costituito “dalla compravendita della nuda proprietà in comunione con il fratello e dal successivo atto divisionale”) e sul presupposto della “occupazione senza titolo” dello stesso da parte di essa D., “a seguito della morte del padre” dell’attrice – già usufruttario del bene – “e della cessazione del rapporto di lavoro come badante”;
– che, per altro verso, la D. non ha neppure opposto a tale pretesa la propria posizione possessoria, così avvalendosi della c.d. eccezione “possideo quia possideo”, ciò che – a fronte di un’ipotetica (ma in realtà, mai esperita) “rei vindicatio” della Sandi – sarebbe stato sufficiente per costringere l’attrice a fornire la “probatio diabolicd’ del suo diritto di proprietà (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 7 giugno 2018, n. 14734, Rv. 649050-01);
– che, pertanto, l’odierna controricorrente – al di là di un non pertinente riferimento alla necessità che l’attrice provasse la proprietà della “res liti,giosd’ per intervenuta usucapione (eccezione priva di effetti rispetto alla domanda restitutoria della Sandi, e ciò alla stregua del principio secondo cui le eccezioni o le domande riconvenzionali, opposte ad un’azione di rilascio o consegna, “non comportano la trasformazione in reale della domanda proposta e mantenuta ferma dell’attore come personale per la restituzione del bene in precedenza volontariamente trasmesso al convenuto”; cfr.” da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 16 gennaio 2020, n. 795, Rv. 656838-01, ma nello stesso già Cass. Sez. Un., sent. 28 marzo 2014, n. 7305, Rv. 630013-01) – mostra di aver bene inteso la natura personale dell’azione esercitata, atteso che il riferimento dell’attrice alla qualità di proprietaria, e soprattutto alla sua acquisizione per effetto dell’avvenuta consolidazione, ex artt. 1014 e 979 c.c., lungi dall’atteggiarsi a “vindicatio rei”, era solo funzionale all’allegazione del fatto che, con la morte dell’usufruttuario, era venuto meno il rapporto di collaborazione domestica tra costui e la D., e dunque il titolo abilitante quest’ultima a permanere nell’immobile;
– che così ricostruito il contenuto del giudizio di merito, risulta evidente che la Corte veneziana, nel rigettare la domanda di S.G., ha disatteso il principio secondo cui “l’azione di restituzione si differenzia da quella di rivendicazione per il fatto che la prima è di natura personale e presuppone che la detenzione della cosa sia stata trasferita al convenuto dall’attore o dal suo dante causa” – tale ultimo essendo il caso in esame, posto che fu S.A., in virtù del contratto di collaborazione domestica concluso con la D., a conferirle la co-detenzione dell’immobile – “in forza di un rapporto successivamente venuto meno”, qualunque ne sia stata la causa, “con il conseguente sorgere obbligo di restituzione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 14 gennaio 2013, n. 705, non massimata sul punto);
– che, in conclusione, va ribadito che l’iniziativa di chi chieda il rilascio di un bene occupato “sine titulò permane nell’ambito dell’azione di restituzione (senza ricadere nella sfera di applicazione dell’art. 948 c.c.), tutte le volte in cui l’iniziativa dell’attore, volta a far “dichiarare abusiva ed illegittima l’occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti”, avvenga ricollegando “la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 7305 del 2014, cit.);
– che il ricorso va dunque accolto, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, per la decisione nel merito, nel rispetto dei principi teste’ richiamati, oltre che per liquidazione delle spese anche del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, per quanto di ragione, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per liquidazione delle spese anche del presente giudizio Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2021