LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20050-2019 proposto da:
COMUNE DI TERME VIGLIATORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MISURINA 69, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO VALENZI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO PULIAFITO;
– ricorrente –
contro
C.G., elettivamente domiciliato in TERME VIGLIATORE, VIA MACEO 254, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MANDANICI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1129/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 27/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.
RILEVATO
che:
C.G. convenne in giudizio il Comune di Terme Vigliatore per ottenere il risarcimento dei danni provocati alla propria azienda vivaistica dagli straripamenti della ***** e della ***** avvenuti nel mese di ***** e in quello di ***** a seguito di forti precipitazioni, precisando che nella seconda occasione la ***** aveva tracimato e che, a seguito della rottura degli argini dovuta alla furia delle acque e alla cattiva manutenzione dell’opera idraulica, l’acqua piovana aveva invaso tutta l’area dell’azienda;
il Comune sollevò eccezione di incompetenza per materia del tribunale adito ed eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva, contestando comunque la fondatezza della domanda;
il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto accolse l’eccezione di incompetenza (in favore del Tribunale Regionale delle Acque) in relazione ai fatti del ***** e rigettò la domanda per quelli del *****, stante l’eccezionalità dell’evento atmosferico;
la Corte di Appello di Messina ha riformato la sentenza, affermando la responsabilità del Comune e condannandolo al pagamento di quasi 90.000,00 Euro, oltre accessori e spese di lite;
ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Terme Vigliatore, affidandosi a sette motivi; ad esso ha resistito, con controricorso, il C.;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.;
il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
col primo motivo (che denuncia la violazione del T.U. n. 1775 del 1933, art. 140 e del T.U. n. 523 del 1904, art. 2, lett. E) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2), il ricorrente assume l’incompetenza per materia del giudice adito in favore del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Palermo;
il motivo è infondato alla luce della stessa giurisprudenza richiamata dal ricorrente, atteso che – come correttamente osservato dalla sentenza impugnata – la domanda del C. non metteva in discussione scelte relative alla esecuzione, alla manutenzione e al funzionamento dell’opera idraulica, ma il danno dalla stessa prodotto a causa della presenza di rovi, alberi e sterpaglie che, in conseguenza di eventi temporaleschi, aveva determinato la rottura degli argini è la tracimazione delle acque;
il secondo motivo censura, sotto il profilo della violazione e della falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., il mancato riconoscimento del caso fortuito a fronte dell’esistenza di provvedimenti dichiarativi dello stato di calamità naturale e “nonostante l’assenza di un puntuale accertamento tecnico scientifico fondato su dati pluviometrici e/o statistici”;
il motivo va disatteso giacché:
la Corte ha dato esatta applicazione ai principi enunciati da Cass. n. 2482/2018, secondo cui:
“in tema di responsabilità per danno cagionato da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., l’adozione, da parte dell’autorità amministrativa, di delibere dichiarative dello stato di calamità non costituisce di per sé prova dell’eccezionalità ed imprevedibilità degli eventi meteorici che abbiano causato danni alla popolazione, in quanto il concetto di “calamità naturale” espresso nelle leggi sulla protezione civile si riferisce al danno o al pericolo di danno e alla straordinarietà degli interventi tecnici destinati a farvi fronte, non alle caratteristiche intrinseche degli eventi naturali che di quel danno siano stati la causa o la concausa”;
“le precipitazioni atmosferiche integrano l’ipotesi di caso fortuito, ai sensi dell’art. 2051 c.c., allorquando assumano i caratteri dell’imprevedibilità oggettiva e dell’eccezionalità, da accertarsi con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i cd. dati pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della “res” oggetto di custodia, la quale va considerata nello stato in cui si presenta al momento dell’evento atmosferico” (conforme Cass. n. 30521/2019);
sulla base di tali principi, la Corte territoriale ha correttamente escluso ogni automatismo fra il riconoscimento dello stato di emergenza e l’integrazione del fortuito ed ha evidenziato che l’accertamento di quest’ultimo, in relazione all’evento naturale costituito dalle precipitazioni atmosferiche, avrebbe dovuto essere suffragato da dati scientifici di stampo statistico (segnatamente pluviometrici) relativi alla specifica localizzazione della res in custodia;
rispetto a ciò, risulta evidentemente infondato l’assunto secondo cui la Corte non avrebbe potuto escludere la ricorrenza del caso fortuito “senza supportare la propria decisione con una apposita indagine tecnica, fondata (…) su dati scientifici di tipo statistico (i c.d. dati pluviometrici), al fine di appurare l’imprevedibilità oggettiva e l’eccezionalità dei due eventi atmosferici denunciati da parte attrice, il tutto secondo i criteri indicati dalla Suprema Corte”: atteso che la prova del fortuito gravava sul convenuto, che avrebbe dunque dovuto fornire i dati pluviometrici da sottoporre alla valutazione del giudice di merito, il Comune non può oggi dolersi per la mancata considerazione di elementi che egli stesso aveva omesso di provare;
peraltro, il motivo nella parte finale rivela sua vera natura, che non è quella di denunciare, come preannunciato dall’intestazione, un vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, bensì di non avere disposto una “apposita indagine tecnica”, sicché si contesta in effetti il mancato esercizio del potere di disporre un incombente istruttorio, senza tuttavia precisare se e come esso fosse stato sollecitato e, soprattutto, se lo fosse stato in appello e che cosa in concreto lo rendesse opportuno.
La doglianza non ha dunque la struttura della denuncia di un vizio in iure, ma lamenta il mancato esercizio di un potere istruttorio e con le carenze appena indicate, particolarmente per quanto attiene alle norme sul procedimento che quel potere avrebbero regolato e a quelle sulla devoluzione della questione del suo esercizio in appello e secondo le regole dell’istruzione in appello.
Sicché, sotto tale profilo si rivela inammissibile il terzo motivo insiste sullo stesso tema, censurando la sentenza, sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo, per il “mancato accertamento dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità dei due eventi atmosferici lamentati e costituenti caso fortuito nonostante una specifica richiesta di indagini e di approfondimento tecnico in merito”; il ricorrente lamenta che non sia stata accolta la sua richiesta formulata anche in secondo grado – di rinnovare la c.t.u. al fine di compiere approfondimenti tecnici rispetto a quelli svolti in sede di A.T.P., rilevando come il rinnovo della consulenza costituisse l’unico mezzo possibile per accertare la sussistenza del caso fortuito;
il motivo è inammissibile, in quanto ciò che si riproduce del contenuto della comparsa di costituzione in appello (particolarmente al punto 2) non è idoneo a evidenziare adeguatamente la richiesta di rinnovo della c.t.u. e anche di un ulteriore approfondimento sotto il profilo su cui il motivo si sofferma e che riprende quanto detto con il secondo motivo;
non solo: parte ricorrente omette di indicare se in sede di precisazione delle conclusioni avesse insistito con quanto a suo dire postulava la pretesa rinnovazione; la sentenza impugnata non si occupa della questione e, dunque, competeva al ricorrente di chiarire come e perché se ne dovesse occupare in ragione di una richiesta del ricorrente;
va considerato, peraltro, che la natura degli eventi atmosferici (che si assumono imprevedibili ed eccezionali) avrebbe ben potuto essere dimostrata dal Comune mediante documentazione dei dati pluviometrici, sicché deve escludersi che il mancato rinnovo della consulenza abbia determinato l’omesso esame di fatti decisivi;
il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 61,115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 1223,1226 e 2697 c.c. per “erronea liquidazione del danno in favore di parte attrice nonostante il mancato assolvimento dell’onere della prova e sulla base di una semplice perizia di parte”: premesso che l’onere della prova dei danni incombeva su parte attrice, il ricorrente rileva che “deve escludersi che essa abbia assolto al relativo onere probatorio depositando una perizia giurata di parte contenente una mera elencazione quantitativa delle piante asseritamente presenti nel vivaio e danneggiate, priva di alcun riscontro documentale e fatta propria, in maniera acritica, dal CTU e dal giudice di appello”; evidenzia che “la valutazione e la liquidazione del danno patrimoniale costituito dalla perdita delle piantine, presupponeva, comunque, la prova della sua effettiva esistenza, per cui il C. avrebbe dovuto dimostrare, anche per tale voce di danno, con idonea documentazione (fatture, bolle, documenti di spesa, ecc.), o anche mediante prova testimoniale l’effettiva presenza nel vivaio delle piantine di cui ha lamentato il danneggiamento”;
il motivo è inammissibile per inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che il ricorrente nulla riporta sul contenuto della perizia giurata e non consente pertanto di escludere che il c.t.u. (prima) e la Corte (poi) potessero farvi affidamento; per di più, la censura investe un apprezzamento di merito – sulla attendibilità della prova atipica, costituita dalla perizia giurata – che non risulta censurabile sotto il profilo della violazione di legge;
col quinto motivo, il ricorrente censura, sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, l'”omesso riconoscimento del fatto colposo del danneggiato idoneo a determinare una diminuzione del risarcimento secondo la gravità della colpa o l’entità delle conseguenze ai sensi degli artt. 2051 e 1227 del c.c.”: rileva che il c.t.u. aveva accertato che lungo il confine del fondo condotto dal C. esiste un canale di raccolta a cielo aperto delle acque reflue di irrigazione e piovane “che al momento del sopralluogo risultava intasato da vegetazione varia” e aveva rilevato, altresì, che il fondo occupato dal vivaio è posto ad una quota più bassa rispetto ai terreni circostanti, ritenendo “opportuno anche prevedere più adeguate e numerose vie di scolo dell’intera area oltre che tenere sempre pulite le vie di scolo anche private”; tanto premesso, evidenzia che “la condotta dell’odierno danneggiato che ha realizzato un vivaio in zona disagiata e sottomessa rispetto ai fondi limitrofi, senza dotarlo di vie di scolo e lasciando l’unico canale privato di raccolta delle acque reflue e piovane in pessime condizioni di manutenzione, non appare certo rispettosa dei principi generali di ragionevole cautela” e avrebbe dovuto essere valutata dalla Corte ai sensi dell’art. 1227 c.c.;
riguardo alle condizioni del fondo, la sentenza impugnata ha osservato che non rileva la mancata verifica, da parte del c.t.u., della natura argillosa del terreno, del sistema di drenaggio e della presenza di tubazioni impermeabili tali da impedire lo scarico delle acque, giacché “tali circostanze, anche ove esistenti, non deporrebbero per la configurabilità di una concorrente responsabilità del C. in relazione ai danni subiti, nessun obbligo incombendo sul vivaista in ordine alla natura del terreno od alla predisposizione di sistemi di drenaggio”; ha aggiunto che, “quanto poi alla peculiare posizione del fondo, da essa può semmai derivare la necessità di ricevere le acque provenienti dai fondi posti a quota superiore per deflusso naturale, ma non certo quelle derivanti dall’incuria del custode nella manutenzione delle saie”;
il motivo va disatteso: la denuncia di omesso esame è infondata, in quanto il fatto è stato esaminato, mentre la censura in iure si arresta nuovamente alla deduzione effettuata con la comparsa di costituzione in appello, ma omette di dire se la richiesta di rinnovo della c.t.u. fosse stata ribadita in sede di conclusioni;
il sesto motivo denuncia, sotto il profilo della violazione degli artt. 2051 e 2055 c.c., il “mancato accertamento da parte del giudice del merito dell’entità delle conseguenze e dell’incidenza causale, nella produzione dei danni, della *****, non appartenente al Comune di Terme Vigliatore”;
al riguardo, la Corte territoriale, dopo aver rilevato che non vi era prova della proprietà della ***** in capo al Comune, ha affermato che l’allagamento era “riconducibile alle autonome condotte colpose dei proprietari di entrambe le saie”, solidalmente responsabili ai sensi dell’art. 2055 c.c., ma che, non avendo il Comune “evocato alcuno in giudizio, nemmeno in via di regresso, a carico di questo va posto l’integrale risarcimento”; ha aggiunto che “non è possibile procedere alla quantificazione dei danni derivanti dalla esondazione della ***** (…), trattandosi di accertamento che non risulta essere stato chiesto espressamente nel corso del primo grado del giudizio, né potendo tale domanda ricavarsi dalle eccezioni con cui il convenuto ha escluso la sua responsabilità nel diverso rapporto con il danneggiato”;
il ricorrente assume di avere richiesto fin dal primo grado di “ritenere e dichiarare che eventuali danni sono stati causati dalla *****, con conseguente esclusione e/o diminuzione della responsabilità del convenuto in proporzione dell’incidenza causale di questa saia nella causazione dei danni” e invoca, sul punto, il principio espresso da Cass. n. 32930/2018, secondo cui, “in tema di fatto illecito imputabile a più persone, la questione della gravità delle rispettive colpe e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate può essere oggetto di esame da parte del giudice del merito, adito dal danneggiato, solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o, in vista del regresso, abbia chiesto espressamente tale accertamento in funzione della ripartizione interna del peso del risarcimento con i corresponsabili; tale domanda, tuttavia, non può ricavarsi dalle eccezioni con le quali il condebitore abbia escluso la sua responsabilità nel diverso rapporto con il danneggiato”;
il motivo è inammissibile, in quanto la corte territoriale ha adottato sul punto una prima ratio decidendi nel senso che l’accertamento non risultava essere stato chiesto espressamente in primo grado e ha aggiunto che nemmeno poteva ricavarsi dalle eccezioni con cui il Comune aveva contestato la propria responsabilità e sostenuto quella altrui; per contestare la prima affermazione, da sola sufficiente a giustificare la decisione, il ricorrente avrebbe dovuto far valere un vizio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 con il mezzo della revocazione ordinaria;
peraltro, la citazione di Cass. n. 32930/2018 (riguardante una situazione in cui i coobbligati erano coinvolti nello stesso giudizio) non è pertinente, giacché da quanto trascritto dal ricorrente non emerge che il Comune avesse chiesto “espressamente” e “in vista del regresso” l’accertamento delle conseguenze dannose imputabili alla *****, il cui proprietario non era parte in causa, ma aveva svolto delle eccezioni con cui mirava ad escludere o ridurre la propria responsabilità;
il settimo motivo (sulla condanna alle spese) è inammissibile, in quanto non prospetta effettivi profili di censura in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c., ma si limita a postulare una diversa regolamentazione delle spese di lite quale conseguenza della dedotta erroneità della sentenza impugnata;
le spese del presente giudizio seguono la soccombenza;
sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2021
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