Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.374 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13716/2016 proposto da:

P.B., B.L., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato Antonio Bertoli, giusta procura in calce al ricorso;

-ricorrenti –

contro

Banca Popolare dell’Alto Adige S.c.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Maiolino, giusto procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Banca Popolare di Marostica S.c.a.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 223/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, pubblicata il 04/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/10/2020 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Bassano del Grappa, con sentenza del 10 febbraio 2005, giudicando sull’opposizione di B. Trasporti Srl e, quali fideiussori, di P.B. e B.L., revocava il decreto ingiuntivo ottenuto dalla Banca Popolare di Marostica per il pagamento del dovuto in relazione ad un conto corrente bancario (n. *****) e condannava glì opponenti a corrispondere l’importo di Euro 161998,31, risultante dal ricalcolo degli interessi a debito dei correntisti capitalizzati con cadenza semestrale (anzichè trimestrale), oltre interessi convenzionali di mora, commissioni di massimo scoperto (c.m.s.) e spese.

In parziale accoglimento del gravame di P. e B., la Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 4 febbraio 2016, eliminava la capitalizzazione degli interessi e riduceva la condanna a Euro 135745,72, oltre interessi convenzionali di mora e c.m.s. e compensava parzialmente le spese.

Avverso questa sentenza P. e B.L. propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi, resistito dalla Banca Popolare dell’Alto Adige Soc. coop. (subentrata alla Banca Popolare di Marostica).

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 112 c.p.c., art. 2697 c.c. e art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, per omessa pronuncia sull’eccezione di mancato assolvimento dell’onere probatorio inerente al credito azionato dalla Banca, la quale aveva prodotto estratti conto incompleti e ricostruito in modo approssimativo la movimentazione operata sul conto corrente in questione, violando il principio che pone a carico di chi agisce in giudizio l’onere di provare il credito.

Il motivo è inammissibile per le seguenti ragioni.

In primo luogo, perchè la documentazione contestata è stata posta a base delle indagini del consulente d’ufficio e della sentenza di primo grado che, in tal modo, ha implicitamente riconosciuto la completezza o sufficienza della stessa: la relativa statuizione non è stata investita da specifico e tempestivo motivo di gravame in appello (essendo tardiva la relativa doglianza proposta nella seconda comparsa conclusionale depositata in appello il 26 novembre 2014) e, dunque, si è consolidata, avendo gli attuali ricorrenti impugnato la predetta sentenza solo in relazione ad altri profili (sulla illegittimità della capitalizzazione semestrale e sulla mancata valutazione delle c.m.s. nel calcolo del TAEG). Ne consegue che la questione della incompletezza della documentazione prodotta dalla Banca a sostegno del credito azionato è nuova e non può essere introdotta in sede di legittimità.

In secondo luogo, il motivo in esame impropriamente denuncia, in sostanza, omessa pronuncia in relazione non già a domande o eccezioni di merito, cui è confinato il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c. (ex plurimis Cass. n. 321 e 13716 del 2016), ma a una questione processuale inerente alle (o alla completezza delle) produzioni documentali; nè è pertinente il riferimento all’art. 2697 c.c., la cui violazione è censurabile per cassazione soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non, invece, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (ex plurimis Cass. n. 13395 del 2018, n. 18092 del 2020), nell’improprio tentativo, come nella specie, di sollecitare in sede di legittimità una rivisitazione di giudizi di fatto compiuti dai giudici di merito.

In terzo luogo, il motivo non coglie la ratio decidendi con la quale la Corte d’appello ha comunque esaminato la segnalata questione, osservando che “le operazioni peritali si sono regolarmente svolte con l’analisi della documentazione concordemente integrata dalle parti, nel costante contraddittorio delle parti e sulla base di criteri ragionevoli e anch’essi condivisi senza riserve tempestivamente esplicitate (…), ricondotti alla media delle uscite e delle entrate del periodo, peraltro assai limitato se riferito alla complessiva durata del rapporto (…), laddove nessuna analoga censura era stata mossa in appello alla c.t.u. espletata in primo grado, fondata sui medesimi criteri e su documentazione più limitata”; la Corte ha aggiunto che “il c.t.u. ha effettuato una completa verifica applicando al complesso del rapporto (…) i parametri più restrittivi previsti dalla legge per le anticipazioni in conto corrente, concludendo in ogni caso per il rispetto dei limiti del tasso soglia per tutti i trimestri considerati (…)”.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1346 e 1418 c.c., per avere rigettato l’eccezione, avanzata nel giudizio di appello, di nullità della clausola contrattuale relativa alla pattuizione delle c.m.s. per mancanza di causa e indeterminatezza dell’oggetto, essendo priva di indicazioni circa la base di calcolo, i criteri e la periodicità dell’addebito.

Il motivo è inammissibile, sia perchè è privo di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., in ordine alle ragioni della eccepita nullità della pattuizione relativa alle c.m.s., sia perchè ha ad oggetto una questione nuova, non trattata nella sentenza impugnata nè dedotta nell’atto di appello avverso la sentenza del tribunale che aveva riconosciuto le c.m.s. (nella misura dello 0,125%), avendo i ricorrenti proposto in appello solo le questioni della illegittima capitalizzazione semestrale e della usurarietà degli interessi per mancata inclusione delle c.m.s. nel tasso soglia (del resto, i ricorrenti nel chiedere di includere tale accessorio nel calcolo del predetto tasso ne hanno implicitamente confermato la debenza). Ne consegue che sulla statuizione del primo giudice relativa alla debenza delle c.m.s. è calato il giudicato.

Il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 5600,00, di cui Euro 5400,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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