L’esame e la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n. 37821 del 01/12/2021
(Dott. GORJAN Sergio – Presidente; Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere)
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con sentenza n. 2924 del 7. 7. 2016 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, confermò la revoca del decreto ingiuntivo che aveva intimato alla società Advanced Global Solution il pagamento della somma di Euro 136.912,00 in favore della società Level One per l’attività di collaborazione commerciale prestata da quest’ultima nell’anno 2007 e determinò il credito dovuto dalla opponente nella somma di Euro 119.860,00, da aggiungersi a quella liquidata dal Tribunale di Euro 1.752,00, condannandola al relativo pagamento e rigettando la domanda di risarcimento dei danni dalla stessa avanzata. Il giudice di secondo grado pervenne a tali conclusioni rilevando che dagli accordi verbali delle parti risultava che per la collaborazione commerciale in esclusiva svolta dalla società Level One dal 2001 al marzo 2008 era previsto un compenso, oltre che in misura fissa, anche in misura variabile in proporzione al fatturato procurato; che sulla base delle testimonianze e della bozza di contratto inviato dalla società AGS, unitamente al fatturato di riferimento procurato nell’anno 2007, il compenso variabile era stato fissato nella misura del 2,7%, oltre iva, del fatturato della mandante relativo ai clienti gestiti dalla Level One; che non vi era prova che tale misura fosse stata rinegoziata; che di nessuna rilevanza ai fini del riconoscimento del credito della opposta andava attribuito agli errori materiali presenti nelle fatture originariamente trasmesse dalla Level One, poi dalla stessa corretti; che la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dalla società AGS in ragione del recesso senza preavviso dal rapporto della Level One era infondata, non avendo le parti convenuto un obbligo di disdetta ed essendo esso anzi escluso dal concreto atteggiarsi, del tutto informale, del rapporto contrattuale intrattenuto dalle parti, che si era negli ultimi mesi progressivamente affievolito in guisa tale da prefigurarne l’interruzione.
Per la cassazione di questa decisione ricorre, con atto notificato il 22.9.2016, la s.p.a. Advanced Global Solution, sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso la s.r.l. Level One.
La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il primo motivo di ricorso, nel denunziare violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 2222, 2225 e 2697 c.c., lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto provata la conclusione di un accordo tra le parti relativo al compenso variabile in misura del 2,7% del fatturato, sulla base della sola testimonianza del teste B.L., liquidando in modo sbrigativo la questione della sua attendibilità, che afferma corroborata dalla bozza di contratto scritto prodotto dalla controparte, nonostante che tale bozza non fosse sottoscritta dalla AGS e fosse stata dalla stessa contestata. Si assume inoltre che non risultano esaminate le testimonianze rese dai testi R. e N., che avevano riferito che la misura del compenso variabile veniva determinata di volta in volta e che è errato l’argomento utilizzato dal giudicante che ha tratto elementi di prova dal fatto che la stessa AGS non aveva nemmeno indicato la misura del compenso variabile convenuta per l’ultimo periodo, atteso che la prova avrebbe dovuto essere fornita dalla controparte.
Il mezzo appare inammissibile ed in parte anche infondato.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che l’esame e la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 19011 del 2017; 16056 del 2016).
Le censure sollevate con il motivo che investono la valutazione delle prove e in particolare delle dichiarazioni dei testi e la ricostruzione dei fatti ritenuti rilevanti ai fini della decisione adottata sono pertanto inammissibili, non essendo tali apprezzamenti e giudizi sindacabili in sede di giudizio di legittimità.
Il mezzo è altresì infondato con riferimento alla valutazione del documento costituito dalla bozza di contratto, che indicava la misura del compenso variabile nel 2,7% del fatturato, che la Corte di appello ha ritenuto rilevante sotto il profilo probatorio in ragione della sua non contestata provenienza dalla AGS, nonché in relazione alla censura di violazione delle regole sull’onere della prova, atteso che la Corte di appello non ha affatto affermato che la misura del compenso variabile dovesse essere provata dalla AGS, ma ha solo tratto argomenti di prova al riguardo dal fatto che la parte suddetta, pur essendo pacifico che il compenso era stato convenuto per una parte in misura fissa e per una parte in misura variabile, avesse contestato la misura della parte variabile senza però indicare quale, secondo lei, sarebbe stata la quota pattuita.
Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 2222, 2225, 2697, 2702, 2709 e 2710 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere attribuito valore probatorio alle fatture prodotte dalla Level One, che invece erano tate contestate e che comunque, in quanto atti di parte, non hanno tale valore, disattendendo invece le prove prodotte dalla odierna ricorrente, ritenendo le prime affette soltanto da errore materiale.
Il motivo appare palesemente infondato, atteso che la Corte di appello ha calcolato la misura del compenso variabile, determinata nel 2,7/0 del fatturato, in base al doc. n. 5, espressamente richiamato, contenente nell’allegato D il fatturato di riferimento procurato nel 2007, e non già in forza delle fatture emesse dalla Level One, limitandosi sul punto a precisare che tale compenso non poteva essere negato per il solo fatto che le fatture originariamente emesse dalla mandataria fossero affette da errori materiali, successivamente corretti dalla stessa emittente.
Con il terzo motivo di ricorso la società ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1176,1223,1226,1374 e 1375 c.c., lamenta il rigetto della propria domanda di risarcimento dei danni da essa subiti a causa del recesso immediato dal rapporto della Level One, trascurando di considerare che quest’ultima, violando il principio di buona fede, aveva omesso ogni collaborazione e informazione sullo stato delle commesse e dei rapporti con i clienti e che tale comportamento aveva determinato a carico della mandante ritardi nella emissione delle fatture, costi aggiuntivi per proseguire i rapporti con la clientela, adeguatamente documentati, ed un danno all’immagine.
Il mezzo appare inammissibile in quanto non attacca in modo specifico la ratio decidendi fatta propria della Corte di appello, che ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni sulla base della considerazione, che integra un apprezzamento di fatto, che le parti non avevano convenuto un obbligo precostituito di disdetta, che esso anzi era da ritenersi escluso dal concreto atteggiarsi, del tutto informale, del rapporto contrattuale intrattenuto dalle parti, che agivano con la massima libertà di intervento e tempistica, e che comunque le relazioni intrattenute dalle stesse negli ultimi mesi si erano notevolmente affievolite, sicché non poteva nemmeno ritenersi che il recesso della mandataria fosse avvenuto “di punto in bianco”, aggiungendo comunque che non poteva costituire una voce di danno i costi lamentati dalla AGS per la formazione del personale e la raccolta dati, che sarebbero stati comunque sostenuti nel caso di cessazione della collaborazione.
Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115,244,245 e 356 c.p.c., lamentando la mancata ammissione della propria richiesta di prova testimoniale, volta a dimostrare i danni subiti dalla odierna ricorrente a causa del comportamento della controparte.
Il motivo deve ritenersi assorbito alla luce delle ragioni che hanno portato al rigetto del motivo precedente.
Il ricorso in definitiva è respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021.
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