LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4308/2019 proposto da:
G.M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO ALBERTO RACCHIA 2, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA CANTONI, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO DAL PIAZ;
– ricorrente –
contro
Z.E.G.;
– intimata –
nonché da:
Z.E.G., elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA, 163/171, presso il suo studio legale, rappresentata e difesa dall’avvocato TULLIO CRISTAUDO, e da sé
medesima;
– ricorrente incidentale –
contro
G.M.S.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2642/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 30/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
FATTI DI CAUSA
Nel 2016 Z.E.G. adì il Tribunale di Firenze con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., esponendo di essere conduttrice dal 2007 di un appartamento di proprietà di G.M.S. sito in *****. Alla luce dei dedotti vizi dell’immobile, l’attrice chiese accertarsi l’inadempimento della locatrice e condannarsi la stessa al risarcimento dei danni, quantificati in complessivi Euro 11.601,15; chiese, altresì, che il Tribunale adito diminuisse il canone di locazione a far data dall’inizio del rapporto e, conseguentemente, che la G. venisse condannata alla restituzione della parte di canone ritenuta eccedente, anche sulla scorta delle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo già espletato prima dell’introduzione del giudizio.
Si costituì in giudizio la resistente, contestando quanto affermato dall’attrice e proponendo domanda riconvenzionale volta al risarcimento di tutti i danni riscontrati nell’immobile al momento dell’effettivo rilascio da parte della conduttrice, avvenuto nel marzo 2016; chiese inoltre che, nella denegata ipotesi di accoglimento dell’avversa domanda di diminuzione del canone, il termine iniziale della riduzione venisse fissato al mese di luglio 2015, momento in cui la conduttrice aveva per la prima volta denunziato la situazione di presunta parziale agibilità dell’immobile.
Il Tribunale di Firenze rigettò le domande della Z. e accolse la domanda riconvenzionale della G.. Il Giudice di primo grado ritenne, in sintesi, che al denunziato deterioramento del bene locato avrebbe dovuto fare fronte la stessa ricorrente, richiedendo esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria.
Avverso detta sentenza interpose appello la Z., deducendo, in sintesi, l’erronea interpretazione o l’omessa considerazione delle risultanze probatorie,1 vizio della motivazione, l’erronea interpretazione della domanda proposta oltre che l’errata statuizione sulle spese di lite.
Si costituì la G., chiedendo il rigetto dell’appello e, per l’effetto, la conferma della decisione di prime cure.
La Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 2642/2018, pubblicata il 30/11/2018, accolse parzialmente il gravame e, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannò la G. al pagamento della somma di Euro 8.118,00 a titolo di restituzione dei canoni pagati in eccedenza dalla conduttrice, al pagamento della somma di Euro 557,40 a titolo di restituzione della cauzione e di ulteriori Euro 7.590,00 quale restituzione della somma pagata in virtù della sentenza di prime cure; rigettò la domanda di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da lite temeraria ex art. 96 c.p.c., proposta dalla Z. e, infine, compensò le spese di entrambi i gradi per un terzo e condannò l’appellante alla rifusione della parte residua; collocò le spese dell’accertamento tecnico preventivo per un terzo a carico della G. e per i restanti due terzi a carico della Z..
Per quanto in questa sede rileva, la Corte territoriale ritenne, venendo di contrario avviso rispetto al giudice di prime cure, che dovesse essere posta a carico della locatrice la spesa della riparazione del caminetto, avendo il C.T.U. ritenuto che il cattivo funzionamento dello stesso dipendesse non dalla mancata pulizia della canna fumaria, bensì dalla mancanza di prese d’aria adeguate e dalla collocazione della canna stessa.
Quanto alla domanda di riduzione del canone, la Corte di appello reputò sussistenti i presupposti per l’applicazione dell’art. 1578 c.c., in quanto i vizi denunziati dalla Z. erano occulti, idonei a diminuire l’idoneità dell’immobile all’uso pattuito e già presenti al momento della consegna dell’immobile; quella Corte, quindi, esclusa la responsabilità della G. ai sensi dell’art. 2051 c.c., ritenne che l’importo versato dalla conduttrice dovesse essere ridotto del 10%, tenendo conto che la stessa, con comportamenti rilevanti ai sensi dell’art. 1227 c.c., commi 1 e 2, avesse concorso alla determinazione del danno.
Quanto alla domanda di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, il Giudice di secondo grado la rigettò, ritenendo che non fosse stata fornita prova alcuna del pregiudizio asseritamente patito.
La Corte d’appello ridusse inoltre la somma liquidata dal Tribunale in accoglimento della riconvenzionale, in ragione della ritenuta concorrente responsabilità di conduttrice e locatrice rispettivamente per un terzo e due terzi, nella determinazione del danno.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione G.M.S. basato su due motivi e illustrato da memoria.
Z.E.G. ha resistito con controricorso contenente altresì ricorso incidentale articolato in dodici motivi, pure illustrato da memoria.
Fissati per l’udienza pubblica del 19 maggio 2021, i ricorsi sono stati trattati in Camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
Il P.G., in prossimità della Camera di consiglio, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso principale 1. Con il primo motivo è denunziata la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, art. 116 c.p.c. e art. 1578 c.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe “attribuito alla consulenza tecnica resa in sede di a.t.p. risultanze non corrispondenti al suo contenuto” e, conseguentemente, avrebbe ritenuto che l’immobile fosse affetto da vizi occulti e originari ed avrebbe, quindi, “erroneamente ricostruito il fatto, e sulla base di tale presupposto… (avrebbe) erroneamente applicato l’art. 1578 c.c., con conseguente ingiusta condanna della Sig.ra G. alla restituzione di una parte (15%) del canone locativo percepito in ben otto anni di svolgimento del rapporto”.
Ad avviso della ricorrente principale, premesso che la detenzione dell’immobile da parte della conduttrice era iniziata nel 2007 e che l’accertamento tecnico preventivo è stato effettuato nel 2015, a distanza di oltre otto anni, non potrebbe ritenersi dimostrato che i vizi accertati dell’immobile fossero già presenti al momento della consegna del bene. Conseguentemente, ritiene la G. non potersi dire soddisfatto l’onere probatorio gravante sull’attrice in base al combinato disposto degli artt. 1578 e 2697 c.c., in quanto la prima delle due disposizioni dà diritto alla diminuzione del corrispettivo per vizi (occulti) sussistenti al momento della consegna del bene. La ricorrente principale denunzia, quindi, la falsa applicazione dell’art. 1578 c.c..
La G., inoltre, rappresenta che, nei propri scritti difensivi, la conduttrice non avrebbe mai proposto domanda ai sensi dell’art. 1578 c.c.: avendo quest’ultima concluso nel ricorso introduttivo per “l’accertamento dell’inadempimento e/o dell’inesatto adempimento colpevole della locatrice”, e cioè per l’accertamento della responsabilità della locatrice ai sensi dell’art. 1576 c.c., sicché la sentenza della Corte territoriale sarebbe “viziata addirittura da ultra petizione, attesa la specificità del titolo dell’azione (responsabilità del locatore per inadempimento dell’obbligazione di eseguire riparazioni eccedenti l’ordinaria manutenzione), la quale esclude che essa possa ritenersi proposta per implicito in una domanda fondata su altro titolo”.
1.1. Come pure sostenuto dal P.G., il motivo è inammissibile, in quanto, lungi da sottoporre a critica i criteri logico-giuridici adottati dal giudice d’appello per l’interpretazione delle risultanze della c.t.u. e del materiale probatorio, investe, al contrario, il risultato dell’accertamento compiuto dalla Corte territoriale, introducendo, di fatto, una questione di merito. In particolare, con il mezzo all’esame, viene solo apparentemente dedotta una violazione di norme di legge, ma, in realtà, con lo stesso si tende alla rivalutazione dei fatti già operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., sez. un., 27/12/2019, n. 34476; Cass., ord., 4/04/2017 n. 8758), con conseguente inammissibilità delle censure proposte.
In particolare, si evidenzia pure che la Corte territoriale con accertamento in punto di fatto non ridiscutibile in sede di legittimità, ha affermato che la conduttrice avrebbe dato fin dal 2008 avviso alla ricorrente della necessità di riparazioni a suo carico, relativamente al malfunzionamento del camino, alla muffa e all’umidità delle pareti (v. sentenza impugnata, pag. 7, penultimo capoverso); ha inoltre ritenuto che tali vizi, idonei a ridurre apprezzabilmente l’idoneità dell’immobile all’uso pattuito, erano già presenti al momento della consegna, essendo lo stesso caratterizzato da murature in pietrame e laterizio e, quindi, non adeguatamente isolato.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il locatore è tenuto a consegnare e mantenere la cosa in buono stato locativo al fine di servire all’uso convenuto, in base alle pattuizioni in concreto intercorse tra le parti, conseguentemente rispondendo ove la cosa al momento della consegna o successivamente risulti affetta da vizi occulti, tali da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la pattuita destinazione contrattuale (Cass., 1/07/2005, n. 14094).
Neppure si riscontra nella specie alcuna violazione dell’art. 1578 c.c., avendo correttamente il giudice ricostruito in astratto la fattispecie; né è possibile, in sede di legittimità, contestare la valutazione in punto di fatto sulla natura occulta o meno dei vizi che affliggevano il bene locato. Ed invero, la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa, come nel caso all’esame, la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (Cass., ord., 13/03/2018, n. 6035).
Quanto alla parte della censura relativa all’ultrapetizione, si osserva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in judicando, in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, o al vizio di error facti, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., ord. n. 11103/2020; v. anche Cass., Sez. Un., n. 3041/2007; Cass., n. 3041/2007; Cass., n. 2148/2004).
Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto che la domanda avesse invocato anche il titolo di responsabilità di cui all’art. 1578 c.c.; tale esito interpretativo non è peraltro contraddetto dalle conclusioni rassegnate dall’attrice e riportate nel ricorso, ove può leggersi un riferimento agli artt. 1575 c.c. e segg. (v. ricorso p. 12).
Il motivo e’, quindi, complessivamente inammissibile.
2. Con il secondo motivo la ricorrente principale lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Ad avviso della G., la Corte di merito avrebbe omesso di considerare:
– che i vizi dell’immobile sarebbero stati denunciati dalla Z. per la prima volta nel luglio 2015, e accertati solo all’esito del seguente accertamento tecnico preventivo;
– che il canone mensile di locazione era stato già ridotto con decorrenza marzo 2013 di circa il 13% rispetto al valore originariamente pattuito, per circostanze estranee alle lamentele della Z..
Si tratterebbe di fatti decisivi per il giudizio in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che i vizi fossero sussistenti sin dall’inizio del rapporto di locazione e, conseguentemente, avrebbe individuato il mese di novembre 2007 (anziché il luglio 2015) quale termine a quo della restituzione del canone pagato in eccesso rispetto al valore del bene; inoltre, quella medesima Corte avrebbe determinato l’importo sul falso presupposto che l’importo del canone pagato fosse quello originariamente pattuito.
2.1. Il motivo è inammissibile nella parte in cui tende ad ottenere una rivalutazione delle circostanze di fatto diversa da quella accertata dalla Corte territoriale.
Peraltro, con particolare riferimento alla parte della censura con cui la ricorrente principale, esaminando le risultanze istruttorie, sostiene che la causa del deterioramento dell’immobile sia da imputare alla conduttrice, la quale non avrebbe svolto alcuna attività di manutenzione, in relazione al vizio del caminetto, alla formazione di muffa e decadimento dell’intonaco, si precisa che la censura è inammissibile anche laddove con la stessa si deduce che la Corte di merito avrebbe omesso di esaminare una circostanza decisiva, in quanto il c.t.u. non avrebbe indicato in alcun passaggio della propria relazione peritale che le pareti dell’immobile avrebbero necessitato un intervento di impermeabilizzazione. La c.t.u., infatti, costituisce nel caso di specie ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) e non un fatto storico il cui omesso esame sia rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione vigente dal 2012 (Cass., ord. 24/06/2020, n. 12387; Cass., 26/07/2017, n. 18391).
Per mera completezza si evidenzia, con riferimento ai fatti storici di cui si denunzia l’omesso esame, che la Corte territoriale, ancorché deducendone conseguenze diverse rispetto a quelle invocate dall’odierna ricorrente principale, ne ha tenuto conto. Infatti, essa ha preso in considerazione il fatto che la conduttrice, malgrado la denunzia del vizio di malfunzionamento del camino e presenza di umidità e muffa nel 2008, è rimasta nell’immobile per oltre otto anni (e ne ha tratto la conseguenza, ad esempio, di rigettare la domanda risarcitoria), in sostanza disattendendo la prospettazione dell’odierna ricorrente che riteneva la prima denunzia fosse datata al 2015.
In ogni caso, la Corte ha ritenuto – si ribadisce, con accertamento in fatto che non appare ulteriormente discutibile in questa sede – che vizi lamentati dalla conduttrice fossero presenti in quanto occulti fin dal momento dell’inizio della locazione: tale ragionamento esclude logicamente la possibilità di limitare la riduzione dei canoni al periodo successivo al 2015, nel quale sarebbe asseritamente (nella prospettiva dell’odierna ricorrente) avvenuta la prima denunzia degli stessi.
Quanto, infine, alle doglianze con cui si deduce che nella determinazione dell’importo da restituire a carico della G. non si è tenuto in conto che il canone mensile dal marzo 2013 era stato ridotto, su richiesta della conduttrice, ad Euro 720,00, le stesse sono inammissibili in questa sede, in quanto, così come formulate, costituiscono motivo di revocazione ex art. 395 c.p.c..
3. In conclusione il ricorso principale va dichiarato inammissibile. Ricorso incidentale.
4. Il ricorso incidentale, notificato in data 18 marzo 2019, è tardivo, considerato che la sentenza impugnata è stata notificata dalla stessa ricorrente incidentale in data 10 dicembre 2018.
5. Stante l’inammissibilità del ricorso principale, va dichiarata l’inefficacia dell’impugnazione incidentale tardiva (Cass., ord., 16/11/2018, n. 29593; Cass., 27/06/2014, n. 14609; Cass. 11 giugno 2008, n. 15483).
Conclusivamente.
6. Il ricorso principale va dichiarato inammissibile e quello incidentale va dichiarato inefficace.
7. Tenuto conto dell’esito alterno del giudizio nei gradi di merito, le spese del presente giudizio di cassazione ben possono essere compensate, per intero, tra le parti.
8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della sola ricorrente principale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
Ed invero, la parte controricorrente, il cui ricorso incidentale tardivo sia dichiarato inefficace a seguito di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, non può essere condannata al pagamento del doppio del contributo unificato, trattandosi di sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (Cass., ord., 18/01/2019, n. 1343; Cass., ord., 25/07/2017, n. 18348).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e inefficace il ricorso incidentale; compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della sola ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2021
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